giovedì 27 febbraio 2025

santi Mauro e compagni a Lavello

 


Un caso abbastanza tipico rispetto agli altri considerati in questa rassegno, è quello dei patroni di Lavello, diocesi fino al 1818, suffraganea di Bari. Mauro, insieme ad altri sette compagni1052, è uno dei santi africani martirizzati a Roma nel III secolo, sotto Numeriano. Tra i vari racconti che compongono il dossier di Mauro, quello che ci interessa più da vicino è stato scritto da un non altrimenti noto agostiniano vissuto nel XV secolo circa, Giacomo da Venosa (BHL 5791f), che narra della vita e delle due traslazioni delle reliquie di questi personaggi da Roma a Gallipoli (dove, a differenza che negli altri testi, avviene il martirio, «in loco vocato Lapis siccus seu salebrosus»1053, pur senza esplicitare la data di morte) e poi a Lavello, è contenuto in un codice manoscritto della BNNa del XV secolo (VI.E.17), e fu edito per la prima volta da Poncelet nel 19111054; è organizzato in dodici lezioni mattutinali, cosa che suggerisce il suo uso prettamente liturgico. Non essendo riscontrabili dei solidi elementi di datazione del testo possiamo solamente accettare come terminus post quem, definendosi il compilatore, nel colophon, come frate agostiniano, il XIII secolo. Giovanni non riferisce né il giorno della morte né quello dell’elevazione delle reliquie, ma indica solamente il mese di maggio come mese festivo del santo e dei suoi compagni. La ricorrenza della traslazione fu fissata al 2 maggio dai vescovi lavellesi in età moderna, mentre la tradizione greca e gallipolina commemora la traslazione delle reliquie il 1 maggio. 

Tutte le Chiese, comunque, festeggiano il dies natalis il 22 novembre. Una parte della tradizione fissa l’anno della traslazione al 10421055. Non è possibile stabilire allo stato attuale degli studi se il Mauro di Lavello sia lo stesso di quello di Bisceglie1056, o dell’Istria, o di Fleury o di altre zone d’Italia o d’Europa. Di certo, l’inizio del culto è da collocarsi attorno al IX secolo, quando Rabano Mauro ne compone un racconto agiografico, che poi si andrà arricchendo e caratterizzando secondo le varianti locali.

Ecco la leggenda così come si è sedimentata nella tradizione lavellese divulgata da Giuseppe Solimene, derivata dal summenzionato Giacomo da Venosa e poi leggermente modificata e arricchita su influsso delle altre recensiones dalla fine del basso Medioevo in poi. Attorno al 1060, sotto il primo vescovo di Lavello, Vincenzo1057, avvenne la traslazione lavellese delle reliquie di san Mauro e compagni Leonzio, Domno, Panunzio, Passarione, Domenzio, Terenzio e Patamone, uccisi dall’imperatore Numeriano il 22 novembre del 283 (anche se l’anno corretto potrebbe essere solamente il 284, come ha notato la critica1058). Quei corpi santi furono inizialmente gettati nel foro di Roma, proibita ogni sepoltura dal prefetto Celerino, ma in seguito alcuni correligionari di Mauro trafugarono i resti e li portarono via nave prima in Libia, e poi, inseguiti dagli emissari imperiali, in Salento, nei pressi di Gallipoli. I cristiani che furono protagonisti della rocambolesca fuga furono uccisi, ma le reliquie, nonostante fossero state gettate nel fuoco, si salvarono, e proprio lì, nei pressi di Gallipoli, sorse una chiesa dedicata ai martiri. Quando l’iniziale devozione dei salentini si affievolì, i resti e la chiesetta finirono sotto la custodia di un eremita. Nell’XI secolo, poi, l’arcidiacono di Conza Gerardo, imbattutosi, in qualità di delegato apostolico, nelle reliquie, decise di portarle in patria. Durante il tragitto, giunto avanti la chiesa della Madonna della Speranza, nei pressi di Lavello, il cavallo su cui erano trasportate le reliquie misteriosamente si rifiuta di avanzare, in modo inamovibile. Allora, chiamato il vescovo Vincenzo, giunto con gran folla di popolo dalla cittadina, si decide di caricare i venerandi corpi sul giogo di una coppia di giovenche trovate nei campi vicini, e di far scegliere ai due animali il luogo in cui depositare il sacro peso. Giunti alle porte della città dove sarà eretto l’arco di S. Mauro, dopo una pausa, i buoi proseguono fino alle porte della cattedrale, dedicata alla Vergine, inginocchiandosi miracolosamente. Tutti, a quel punto, interpretano l’accaduto come il segno della volontà divina, e così le reliquie restano sull’altare maggiore della chiesa madre fino alla costruzione della nuova cattedrale, dove saranno onorevolmente collocate. L’evento prodigioso fu annunciato dall’apparizione di una stella, che riappare ogni anno in occasione della festa, che si tiene il 2 maggio, giorno anniversario dell’accadimento1059.

Una comparazione è possibile tra questo gruppo di martiri e il nostro sant’Eustachio: anche in questo caso, infatti, siamo in presenza di una scelta effettuata dall’autorità ecclesiastica (un vescovo da una parte e un cenobio benedettino quantomeno appoggiato dal metropolita dall’altra), scelta che comportò l’elezione a patrono di santi martiri, non chierici, provenienti da un contesto cultuale discretamente distante, e tutto ciò nello stesso periodo, cioè l’XI secolo, con poco range di scarto anche volendo dare credito alle ipotesi sull’esistenza del monastero materano di Eustachio già verso la fine del X secolo. Le stesse considerazioni potrebbero farsi riguardo a Laverio, se non fosse che quest’ultimo si configura come un santo totalmente locale e il cui culto ha subito una vera accelerazione solo molto più tardi rispetto a tutti gli altri casi incontrati. Ci torneremo in conclusione.


(...)

Abbiamo visto le ragioni che portarono in Basilicata il culto del martire atellano, ma ancora abbastanza oscure restano quelle che videro l’importazione della devozione eustachiana a Matera, in una situazione paragonabile a quella che riguarda Mauro e compagni martiri patroni di Lavello: in entrambi i casi si tratta di santi antichi la cui fortuna agiografica non è del tutto chiara, tanto da presentare dei problemi di identificazione/sovrapposizione nel caso dei santi gallipolini, confondibili con un altro gruppo di santi con a capo sempre un Mauro, ma vescovo (venerati a Bisceglie). A differenza del patrono secondario materano, però, possediamo il testo della translatio delle spoglie di questi otto “morti eccezionali” a Lavello, di epoca bassomedievale certo, ma comunque ben inserita nel contesto locale, ricca di dettagli toponomastici e generosa anche riguardo al nome del traslatore, pur senza fornire riferimenti più precisi.

Appare chiaro che il genere della translatio e la connessa elevazione di reliquie sante (anche in assenza di un testo che ne custodisca la memoria) potrebbe costituire una chiave di lettura privilegiata, il trait d’union che possa caratterizzare tutti i santi studiati. La santità basilicatese e acheruntina nel periodo che abbiamo trattato è una santità poco aggiornata alle più recenti battaglie ideologico-religiose che la curia romana porta avanti, nonostante i tentativi arnaldiani, pur non certo falliti, di installare due nuovi culti ad Acerenza e Matera. Era questa la via per fornire una propulsione identitaria a due centri demici in ascesa, in quanto uno era il nuovo e unico centro metropolitico basilicatese e l’altro un importante caposaldo nella costellazione dei dominati normanni, tanto notevole da attirare la visita papale.

(...)

Purtroppo non conosciamo ancora molti dei volti che portarono avanti, tra alti e bassi, questi culti nuovi o recuperati, e a questo proposito sarebbe cruciale l’edizione delle pergamene ancora custodite negli archivi di Acerenza (ormai scansionate e attualmente consultabili online sul sito della Soprintendenza archivistica e bibliografica della Puglia), Potenza (oggi in parte visionabili sul sito monasterium.net) e Matera (nel cui caso si dovranno considerare anche le varie cronache ancora inedite), o nell’ASNa e nella SNSP, relative specialmente ai capitoli cattedrali, dove effettivamente si prendevano quelle decisioni ecclesiali i cui esiti sono in parte riconoscibili, anche a distanza di secoli, nella fortuna o meno di certe figure sante. Pur non avendo riscontrato, infine, delle significative concordanze a livello strettamente testuale ed ecdotico con le compilazioni agiografiche dei santi limitrofi, degli approfondimenti filologici specifici e dedicati ad ogni singolo testo potrebbero dare dei risultati interessanti e utili a stabilire dei rapporti di dipendenza genetica con le fonti letterarie dei santi patroni di Basilicata.

La storia ecclesiastica di Acerenza, assieme alle sue suffraganee medievali Matera e Potenza, non potrà che trarre giovamento e acquistare respiro da una futura indagine che parta dalle premesse che abbiamo tentato di porre qui.


Da: Per una “Basilicata sacra”. La santità patronale latina nel pieno Medioevo acheruntino: quattro casi di studio del Dott. Biagio Luca Guarnaccio


CHE RINGRAZIO PER LA CONDIVISIONE SUL WEB!!!

mercoledì 26 febbraio 2025

Santa Iris vergine (di Gerapoli o di Efeso) ... ERMIONE

 



Riprendendo il post del 15/02/12

La stessa Biblioteca Sanctorum, riporta un altro nome, Irais vergine figlia di S. Filippo, e dice che corrisponde alla figlia Ermione.

Detto questo il nome Iris, può derivare da Irais o da Iraide, ma è comunque una delle figlie del diacono san Filippo.

Le sante sorelle, figlie del diacono S. Filippo vengono ricordate il 4 settembre.

Preghiera

Padre di Misericordia, fonte di ogni dono, che nella potenza dello Spirito Santo doni ai semplici il dono della profezia e l’ardore per annunciare Cristo “Via, Verità e Vita”, concedici per i meriti e l’intercessione di Santa Iris, figlia del diacono ed evangelista San Filippo, le grazie necessarie per il nostro stato, affinché nella nostra vita “sia santificato il tuo nome”. Amen.

aggiungo qui una bella iconografia acquista nel 2025.

martedì 25 febbraio 2025

Un giorno a Roma ... ANNO GIUBILARE

 


Partenza ore 6:25 Milano Rogoredo


ore 10.15 cammino verso la PORTA SANTA


ore 13.00 pranzo


ore 14.30 passeggiata sul lungo Tevere verso S. Bartolomeo



sosta a S. Salvatore in Onda
(tomba della Beata Elisabetta Sanna)

ore 16.00 messa e visita al Memoriale dei Nuovi Martiri

ore 18.40 partenza per il rientro .. ore 22.02 Milano Rogoredo

mercoledì 5 febbraio 2025

Venerabile Bernardo de Vasconcelos


Bernardo Vaz Teixeira de Vasconcelos, figlio di Manuel Joaquim da Cunha Maia Teixeira de Vasconcelos e D. Filomena da Conceição Vaz Lobo, era il settimo di otto fratelli. Nacque il 7 luglio 1902 nella parrocchia di S. Romão do Corgo, Celorico de Basto. Questo villaggio si trova ai margini della verde provincia del Minho, alle porte del Douro e del Trás-os-Montes, ed è caratterizzato dalla sua ruralità, dalla sua posizione interna e dal suo isolamento.




Bernardo venne battezzato il 5 agosto dello stesso anno, nella chiesa parrocchiale della sua città natale. Nacque in una famiglia profondamente cristiana, dalla quale ricevette insegnamenti di principi morali ed etici, ma soprattutto l'esempio di una fede profonda. Fin dai primi mesi manifestò una salute molto cagionevole, debolezza che si sarebbe manifestata, nel corso dei quasi trent'anni della sua vita, in molti e vari modi. La sua infanzia fu come quella di ogni bambino del suo villaggio: giocava, andava a scuola, cresceva in età e saggezza “davanti a Dio e agli uomini”! Ma fin da piccolo si rivelò un bambino docile, gentile, intelligente, pio, amico di tutti e con una sensibilità molto spiccata verso i poveri.

Il suo soggiorno a Coimbra: Dopo aver trascorso quasi 5 anni al collegio Lamego, per gli studi secondari, si trasferì a Coimbra. Bernardo de Vasconcelos visse a Coimbra per un periodo di circa 4 anni, non consecutivi, tra l'ottobre 1918 e l'ottobre 1920 e tra l'ottobre 1922 e il maggio 1924. Coimbra fu la città che lo accolse per la sua formazione accademica, ma, per disegno di Dio, sarebbe stata la città di tutte le sue decisioni e della sua crescita umana, intellettuale, morale e religiosa. Sarà lì che prenderai la grande decisione della tua vita: diventare monaco benedettino.

Il tuo soggiorno a Porto: Possiamo dire che il primo periodo della tua formazione nella città degli studenti non avrebbe raggiunto i suoi obiettivi. Fece scalo e si trasferì nella città di Porto, dove visse dall'ottobre del 1920 fino all'estate del 1922. Nella città di Invicta frequentò un corso commerciale e lavorò al Banco do Espírito Santo. Sempre desideroso di servire Dio e i fratelli, aiutò i poveri e, con l'aiuto di padre José Lourenço (OP), collaborò alle sue prime poesie in Flores Espirituais. Unisciti alla Congregazione dei Figli di Maria do Carmo.

La scuola CADC: Il CADC, Centro Accademico per la Democrazia Cristiana, si proponeva di provare a ricristianizzare l'ambiente universitario di Coimbra e, attraverso esso, la società portoghese. Nel 1922, la rivista Estudos fu lanciata e pubblicata ininterrottamente fino al 1970. 14 marzo 1920 – Entrò a far parte del Centro Académico da Democracia Cristã (CADC) con il numero 398. Con il suo trasferimento a Porto, interruppe la sua partecipazione al CADC. Ritornato a Coimbra nell'ottobre 1922, riprese la sua partecipazione a questa istituzione. Il suo impegno e il suo entusiasmo furono tali che il 3 maggio 1923 fu nominato segretario del Consiglio di redazione della rivista Estudos del CADC e il 27 maggio 1923 fu nominato vicepresidente del Consiglio di amministrazione del CADC, con José Augusto Vaz Pinto come presidente. Questi due ruoli dimostrano chiaramente la fruttuosa partecipazione di Bernardo a questa Associazione Accademica. Possiamo dire che il CADC è stato come un “laboratorio” dove Bernardo de Vasconcelos si è lasciato formare e ha collaborato alla formazione di centinaia di Associati.

Era una scuola in cui le sue responsabilità richiedevano uno studio approfondito della dottrina della Chiesa. La sua conferenza, tenuta al CADC, intitolata “L’ideale cristiano” rivela la sua conoscenza biblica, teologica e mistica.

L'apostolo Bernardo all'università: In tutto ciò che faceva, Bernardo aveva una sola preoccupazione: che Dio fosse conosciuto e amato. Non fece nulla, dalla semplice poesia all'opera più ardua e lunga, che non rendesse gloria a Dio e che i suoi compagni provassero lo stesso sentimento. La salvezza delle anime era l’ideale che muoveva le sue energie fisiche, spirituali e intellettuali. A testimonianza di quanto ho appena detto, vale la pena menzionare non solo il suo impegno, come già ricordato sopra nel CADC, ma anche la sua iscrizione, il 21 gennaio 1923, alla Conferenza di San Vincenzo de' Paoli, della Facoltà di Giurisprudenza, dove due mesi dopo fu nominato vicepresidente; la creazione, su sua iniziativa, della Lega Eucaristica per gli studenti universitari; la sua partecipazione, come barelliere, al pellegrinaggio nazionale a Lourdes, nel settembre 1923, dove il suo aiuto ai malati fu una straordinaria testimonianza di affetto e affabilità.

Bernardo lo scrittore: Bernardo de Vasconcelos evangelizzò non solo con le sue attività apostoliche, sopra menzionate, ma all'interno della clausura (1924-1932), già senza molti contatti con il mondo, fu il suo momento di più profonda evangelizzazione: 1-attraverso l'Oblazione della sua vita; 2-offrendo le sue numerose sofferenze per la Chiesa in generale e per la riforma dell'Ordine benedettino in particolare; 3- scrivendo. Bernardo de Vasconcelos non aveva mai avuto intenzione di diventare uno scrittore, ma la sua vita da recluso lo portò a mettere per iscritto i suoi pensieri e le sue conoscenze. I libri a lui attribuiti sono otto: “Do Ideal Cristão” - 1924; “Life in Peace” 1927 - traduzione di un'opera di D. Idesbald; “La vita di San Benedetto raccontata alle anime semplici” - 1930; “Cântico de Amor” - 1932, un'opera che era stata appena stampata pochi giorni prima della sua morte e che lui desiderava ardentemente avere tra le mani, ma che gli fu spedita il giorno stesso della sua morte. Si tratta dell'opera letteraria più nota e rivela Bernardo come poeta mistico. Si tratta di un'opera composta da 32 poesie scritte tra il 1920 e il 1932. Due anni dopo la sua morte, nel 1934, uscì “Vida de Amor”, una specie di autobiografia poiché il suo contenuto era tratto dalle diverse centinaia di lettere da lui scritte. “Le nostre feste” – 1934 che è una raccolta di articoli pubblicati sulla rivista “Opus Dei”; “Poesias Dispersas” – 1935 che è una raccolta di altre poesie scritte da Bernardo de Vasconcelos e realizzate da P. Luís Cabral (SJ); “La Messa e la vita interiore” – raccolta di articoli di Bernardo de Vasconcelos sull’Eucaristia, pubblicati sulla rivista “Opus Dei”, del 1936.

Bernardo, dal monaco al Paradiso: Bernardo de Vasconcelos si è lasciato plasmare dalla parola di Dio. Desiderava ardentemente fare, solo e in tutto, la volontà del Signore. Scelse come mezzo la via della rinuncia, rinunciando a tutto ciò che avrebbe potuto distoglierlo da questo ideale.

Un momento decisivo per la sua maturazione spirituale fu il ritiro a cui partecipò dall'11 al 13 febbraio 1923 a Luso, guidato dai sacerdoti della Compagnia di Gesù. Bernardo non pensava di diventare un prete o un religioso. Cultiva fortemente l'idea del matrimonio. Dio sorprende sempre nei suoi modi.

Il 10 novembre 1923 ebbe il suo primo incontro con il dottor Manuel Gonçalves Cerejeira sulla vocazione sacerdotale. Il 10 febbraio 1924 ricevette lo scapolare degli Oblati Benedettini dal dottor Pereira dos Reis. L'assistente del CADC era padre Luiz Lopes de Melo, che lo incoraggiò non solo a diventare sacerdote, ma anche religioso e benedettino. Poi conobbe D. António Coelho OSB, che fu per Bernardo come un vero padre, amico, maestro e sostegno costante. Poi inizia il tuo cammino da monaco:

Il 15 agosto 1924 (venerdì), giorno dell'Assunzione della Madonna, lascia definitivamente la sua famiglia e la sua terra. Il 16 dello stesso mese iniziò il postulato presso il Priorato di Singeverga. L'11 settembre dello stesso anno partì per Samos, in Galizia, dove completò il noviziato. Il 24 settembre dello stesso anno ricevette l'abito benedettino nell'abbazia di Samo e assunse il nome di fra Bernardo da Anunciada.

L'11 ottobre 1924 (sabato) la sua cella venne consacrata alla Madonna. L'8 dicembre 1924 fece voto di castità di sua spontanea volontà e in obbedienza al suo padre spirituale. Il 29 settembre 1925, nel monastero benedettino di Samos, pronunciò i voti semplici come monaco del monastero di Singeverga. Il 7 luglio 1926 ritornò in Portogallo. Il 20 settembre dello stesso anno gli fu diagnosticata la malattia che gli costò la vita: la malattia di Pott! Il 26 dello stesso mese e anno partì per il Belgio per iniziare gli studi di teologia presso l'abbazia di Mont-César-Lovanio. Purtroppo la malattia peggiorò e non poté continuare gli studi; il 3 novembre di quell'anno tornò in Portogallo. Iniziò quindi il suo calvario durato circa sei anni, con periodi trascorsi nella Comunità, allora ubicata a Falperra-Braga, e la maggior parte del tempo in ospedali e case private a Porto e Póvoa de Varzim.

Il suo desiderio più grande era diventare sacerdote e, per questo, il 6 gennaio 1928 ricevette la Prima Tonsura dalle mani di D. Manuel Vieira de Matos, presso il Seminario di S. Barnabé, a Braga.

La sua professione solenne ebbe luogo nella chiesa di S. José de Ribamar-Póvoa de Varzim, il 29 settembre 1928.

Desiderando diventare sacerdote, il 5 e 6 febbraio 1929 ricevette gli Ordini Minori da D. António de Castro Meireles nella cappella del Paço da Torre da Marca, a Porto. Nella sua ricerca e nel suo desiderio di guarigione, partecipò, nell'agosto del 1929, a un pellegrinaggio per i malati a Sameiro, atto che aveva già compiuto a Fatima il 13 maggio dell'anno precedente.

Il 23 aprile 1932 ricevette il sacramento della Santa Unzione dalle mani di D. António Coelho, davanti al quale rinnovò la professione religiosa.

Il 3 luglio uscì la sua prima opera letteraria – Cântico de Amor – che aveva sognato e per la quale aveva lavorato tanto, ma che non arrivò in tempo perché la morte lo sorprese nelle prime ore del 4 luglio, a Foz do Douro, Rua S. Bartolomeu, nº29. Dopo il funerale, celebrato nella chiesa benedettina di Foz do Douro, fu sepolto provvisoriamente nel cimitero locale.

Il 5 settembre 1932 fu trasferito nel cimitero di Molares, Celorico de Basto, e sepolto nella tomba di padre Francisco Almeida Barreto, amico di famiglia.

Il 4 luglio 1933 le spoglie furono traslate nella chiesa di S. Romão do Corgo.

Il 4 luglio 1982 venne fondato il Bollettino Frei Bernardo.

Il 4 luglio 1983 ebbe luogo presso la Casa Vescovile di Braga l'apertura della fase diocesana del processo di beatificazione e canonizzazione.

Il 9 ottobre 1987 si concluse la fase diocesana del suddetto processo.

Il 25 marzo 2005 furono consegnati alla Congregazione delle Cause dei Santi a Roma due volumi contenenti il ​​processo di beatificazione/canonizzazione.

Papa Francesco, il 14 giugno 2016, ha approvato e firmato il decreto che dichiara ufficialmente “Venerabile” Fra Bernardo

P. José Granja (OSB) Vice-Postulatore

sabato 1 febbraio 2025

Dal Quaderno 156 “MANCU LI GATTI": Il gatto nella vita dei Santi

Introduzione

 

Nella mitologia greca e romana il gatto non è presente. Siamo invece abituati ad accostare il gatto all’Egitto. Erodoto narra che gli egiziani si raccoglievano con grande devozione nella città di Bubastis. Qui veneravano la dea Bastet, raffigurata con il corpo di donna e la testa di gatto. Il culto del gatto nella civiltà egizia è attestato già dal 1550 a.C.

La simbologia del gatto è ambivalente: è espressione del bene e del male.

Un gatto è presente nella scena dell’Annunciazione, opera di Vico Consorti, nella Porta Santa della Basilica Vaticana. È l’unico caso in San Pietro sul colle Vaticano. Nella Cabala ebraica il gatto è associato al serpente, simbolo del male, divenne automaticamente emblema della menzogna e del tradimento, tanto che i cristiani cominciarono a rappresentare un gatto ai piedi di Giuda. Anche nel buddismo il gatto è associato al serpente nel rimprovero per non aver pianto per alla morte di Buddha.

 

La tradizione patristica poco o nulla dice a riguardo del gatto, per di più la Sacra Scrittura sembra ignorarlo.

 

C’è solo un versetto nel libro di Baruc, in cui profetizzando la deportazione in Babilonia del popolo eletto, lo ammonisce di non cadere in balia dei culti pagani:


 

“State attenti dunque a non divenire in tutto simili agli stranieri; il timore dei loro dèi non si impadronisca di voi. Alla vista di una moltitudine che prostrandosi davanti e dietro a loro li adora, dite a voi stessi: "Te dobbiamo adorare, Signore". Poiché il mio angelo è con voi, ed è lui che si prende cura delle vostre vite. Essi hanno una lingua limata da un artefice, sono coperti d'oro e d'argento, ma sono simulacri falsi e non possono parlare. E come per una ragazza amante degli ornamenti, prendono oro e acconciano corone sulla testa dei loro dèi. Talvolta anche i sacerdoti, togliendo ai loro dèi oro e argento, lo spendono per sé, e lo danno anche alle prostitute nei postriboli. Adornano poi con vesti, come gli uomini, gli dèi d'argento, d'oro e di legno; ma essi non sono in grado di salvarsi dalla ruggine e dai tarli. Sono avvolti in una veste purpurea, ma bisogna pulire il loro volto per la polvere del tempio che si posa abbondante su di essi. Come il governatore di una regione, il dio ha lo scettro, ma non stermina colui che lo offende. Ha il pugnale e la scure nella destra, ma non si libererà dalla guerra e dai ladri. Per questo è evidente che essi non sono dèi; non temeteli, dunque! Come un vaso di terra una volta rotto diventa inutile, così sono i loro dèi, posti nei templi. I loro occhi sono pieni della polvere sollevata dai piedi di coloro che entrano. Come per uno che abbia offeso un re si tiene bene sbarrato il luogo dove è detenuto perché deve essere condotto a morte, così i sacerdoti assicurano i templi con porte, con serrature e con spranghe, perché non vengano saccheggiati dai ladri. Accendono lucerne, persino più numerose che per se stessi, ma gli dèi non possono vederne alcuna. Sono come una trave del tempio il cui interno, si dice, viene divorato, e anch'essi, senza accorgersene, insieme con le loro vesti sono divorati dagli insetti che strisciano fuori dalla terra. Il loro volto si annerisce per il fumo del tempio. Sul loro corpo e sulla testa si posano pipistrelli, rondini, gli uccelli, come anche i gatti. Di qui potrete conoscere che essi non sono dèi; non temeteli, dunque!” (Bar 6, 4-22)

 

Il gatto negli autori medievali è trattato con sospetto e ben poca benevolenza. Sarà colpa di quegli occhi che brillano al buio e che appaiono inquietanti? Oppure per la sua indole sensuale, che ancora oggi ci fa dire: sembri un gatto in calore?

Oppure ancora perché a differenza del cane non poco addestrabile così da renderlo modello di coloro che non voglioso sottomettersi alle leggi divine?

Troviamo poi l’accostamento del gatto – specialmente quello nero – al demonio, per cui alla stregoneria e alla blasfemia.

Il gatto appare nell’arte sacra. Come già accennato sopra, Giuda e il gatto. Un esempio è il Ghirlandaio con la sua Ultima Cena nel refettorio piccolo del convento domenicano di San Marco in Firenze (1481). Altre esempi sono in Lorenzo Lotto, in Leonardo da Vinci, in Pieter Huys, in Guido Reni, in Federico Barocci e molti altri.

Spesso il gatto è raffigurato in lotta con il cane con un chiaro rimando alla lotta fra il bene e il male.

Il gatto però ha sempre avuto la sua utilità nel tenere lontani i topi, veri animali da debellare perché portatori della temibile peste e di altre infezioni.

Questo rende il gatto un animale sempre più “di casa”, tanto che comincia ad essere presente nei monasteri, tra i monaci e le monache. Il più famoso è il così detto gatto certosino. Una leggenda narra che i Crociati che tornavano dalle spedizioni in Terra Santa venivano ospitati nelle certose. Per sdebitarsi con i monaci dell'ospitalità offerta, regalarono loro una coppia di gatti dall'esotico mantello grigio-blu. Avevano la fama d'essere dei grandi cacciatori di topi, per questo i monaci iniziarono ad allevarli, allo scopo di proteggere i granai e le scorte alimentari, come pure per evitare la distruzione di preziosi manoscritti. Ma è una leggenda. Il gatto certosino è una delle razze feline più antiche. È stato importato in Francia dall'Oriente dai cavalieri templari nel 1100 circa.

Il gatto nelle comunità monastiche diventa quasi specchio delle qualità proprie della vita monastica: adattamento, povertà, solitudine, discrezione e capacità di passare repentinamente dal sonno alla veglia.

Un esempio artistico è il gatto nel dipinto di Antonello da Messina, presso la National Gallery di Londra: San Girolamo nello studio. Qui il gatto evoca quella silenziosa complicità, muta ispirazione per pensatori e scrittori.

 Infine anche l’agiografia è presente il gatto. Una presenza sporadica, che va dallo strumento di tortura alla compagnia caritatevole.


( ... )


Il caso singolare di legame tra santi e gatti è nella vita di Maria Tuci.

 

Maria Tuci, vergine e martire, appartiene al gruppo dei Martiri Albanesi. I Servi di Dio Vincenzo Prennushi e 39 compagni delle chiese cattoliche di rito romano e greco-cattolico d’Albania sono solo alcuni dei numerosissimi cattolici albanesi che hanno subito prigionia, torture e falsi processi, nel tentativo di sradicare il Vangelo e la cultura di un intero popolo. Il processo diocesano per accertare il loro effettivo martirio in odio alla fede si è svolto presso la diocesi di Scutari dal 10 novembre 2002 all’8 dicembre 2010.

 

Maria Tuci nasce a Ndërfushaz-Mirdita il 12 marzo 1928, e muore in odium fidei a Scutari il 24 ottobre 1950.

La Tuci frequentò il collegio delle suore Stimmatine a Scutari e domandò di poter entrare nel loro Istituto religioso. Incaricata d’insegnare nelle scuole elementari di due paesi, trasmise clandestinamente anche il catechismo. Arrestata con alcuni familiari il 10 agosto 1949, fu condotta nel carcere di Scutari, dove, per non aver rivelato il nome dell’uccisore di un politico comunista e per non aver voluto concedersi a un membro della Sigurimi - la polizia di regime - subì torture atroci. Ad esempio, venne chiusa in un sacco, nuda, insieme a un gatto inferocito; nel frattempo, il sacco era preso a bastonate, dilaniando così le sue carni. A causa delle privazioni subite, venne ricoverata nell’ospedale civile di Scutari, dove morì il 24 ottobre 1950. I suoi resti mortali, riesumati dopo la caduta del regime comunista in Albania, riposano nella chiesa delle Stimmatine a Scutari. È l’unica donna presente nell’elenco dei 40 martiri albanesi.

Alla sua memoria è stato intitolato un collegio per ragazze, situato a Rreshen e gestito dalle suore Serve del Signore e della Vergine di Matará, ramo femminile dell’Istituto del Verbo Incarnato.


Bibliografia e siti

 

* AA. VV. - Biblioteca Sanctorum (Enciclopedia dei Santi) – Voll. 1-12 e I-II appendice – Ed. Città Nuova

* Barbagallo Sandro – Gli animali nell’arte religiosa. La basilica di San Pietro in Vaticano – LEV, 2010

* C.E.I. - Martirologio Romano - Libreria Editrice Vaticana – 2007 - pp. 1142

* Frigerio Luca – Bestiario medievale. Animali simbolici nell’arte cristiana – Ancora, 2014

* Grenci Damiano Marco – Archivio privato iconografico e agiografico: 1977 – 2015

* Jones D.M. – Animali e pensiero cristiano – EDB, 2013

* Maspero Francesco – Bestiario antico – Piemme, 1997

* Pisani Paolo – Santi, Beati e Venerabili nella provincia di Grosseto – Cantagalli. 1993

* Rossetti Felice - Un’amicizia coi baffi. Sorie di Santi e dei loro animali – Porziuncola, 2011

* Sito web ladanzadellacreativittravelandexplore.blogspot.it

* Sito web orthodoxie-celtique.net

* Sito web papalepapale.com

* Sito web wikipedia.org

 

Ed. D. M. G.

2 febbraio 2015