sabato 30 ottobre 2021

Ti amerei lo stesso

 

E se come sembra fosse vero che eri un inganno
ti amerei lo stesso
Ti amerei lo stesso
E se come temo tu finissi per amare l'altro
ti amerei lo stesso
Ti amerei lo stesso
E se tu stringessi il nome di un estraneo
ti amerei
E se per anni non capissi che io ti ho visto
Ti amerei
E se per anni non capissi come io ti guardo
E se sputassi ancora sul cuore che ti ho dato
Ti amerei lo stesso.



giovedì 14 ottobre 2021

A BOLOGNA IN UN GIORNO

 














Nel tuo Sì, Maria, il nostro si!


Una faccia incompleta, 
in cui spicca l'arazzo della beatificazione
nella parte incompleta ... 
la nostra pienezza e completezza è nella santità!



La carità che salva!




“Diffidare delle proprie forze, cioè, senza alcun dubbio, dare per certo che mai da sole si possa fare una qualunque cosa buona, secondo l'affermazione di Cristo Gesù: «Nulla potete fare senza di me»; né, tantomeno, si possa resistere alla furia dei nemici infernali e alla loro astuta malizia”.




LA VITA S. CATERINA VIGRI



Lo strazio di don Marella per la dolorosa pena inflitta dal suo Vescovo lo devasta, ma trova ancora più forza e speranza in Cristo, per il sacrificio che gli è chiesto.

«Durante il canto del Credo – tra istupidito, sdegnato e addolorato – io cercavo di mantenermi presente a me stesso. Uno dei poveri bambini venuti con me in chiesa mi si buttò al collo e mi coprì di carezze affettuose. Io gli appoggiai la guancia sul capo: era l’angelo del Signore che mi off riva il calice amaro e la consolazione ineffabile, tutti e due per mano umana, ma tutti e due per parte di Dio.

Gli premetti un momento le labbra sul capo e mormorai “Fiat voluntas Tua – sia fatta la tua volontà”.

Le parole dell’eternità mi parvero sollevarmi da terra e non potei rispondere con la voce, che mi si ruppe, bensì col cuore al “sursum corda – in alto i cuori”. E ringraziai il Signore.

Ripresi il filo della Messa al canone quando, nella ripetizione delle prime parole sostai per ritrovare il nome da aggiungere ad “antistite nostro” Antonio.

Era lui che mi aveva maledetto e vituperato; fui contento d’essermi interrotto e pregai per lui più volentieri; più volentieri per tutti i circostanti, tra cui c’erano i bambini rimasti feriti per me e tanto lieti di tali ferite.

E piansi, piansi tanto nello svolgersi del Sacrificio. E lo sdegno lo sentii sempre più svanire per cedere il posto al senso del nuovo sacrificio che mi domandava Cristo, al dovere di unire la mia umiliazione a quella che Egli misticamente compiva di sé sull’altare, donde mi parve Egli ripetesse “Preghiamo per il bene dei miei fratelli”.

E con questa certezza, tutta di fede e carità, innalzai e ripetei il Padre Nostro e poi risposi alle parole della benedizione finale e sentii che la benedizione invocata su tutti dal Padre Onnipotente Dio potevo sperare discendesse, nonostante tutto, anche su di me.»



LA VITA DEL BEATO OLINTO


Il percorso di don Marella si compie, trovando la salvezza nella carità e dedicandovi tutta la sua vita.

«Posso dire con tutta verità che la strada della mia salvezza è stata la carità. L’orgoglio mi avrebbe perduto. La carità mi ha salvato.

Dio mi ha forgiato non nella dolcezza, ma nelle prove difficili che potevano rischiare di mettere in discussione tutta la mia vita spirituale.

Il perdono fu per me il più soave dei sentimenti, la più importante delle virtù, il più spontaneo degli atti. Da quando sono andato in pensione, mi sono applicato costantemente ai poveri e ho accolto nella mia casa in via San Mamolo i primi orfani. Ho aperto asili, ho fondato altre opere caritative, associazioni, case rifugio e ho aiutato molti ebrei perseguitati e anche soldati sbandati.

Ed ora senza vergogna, pur essendo stato un professore di filosofia, oggi stendo il mio nero cappello di feltro per avere qualche elemosina a favore dei miei poveri. Non mi vergogno di essere “mano di Dio”, mano di carità, mano di perdono.»


mercoledì 13 ottobre 2021

Ottobre Missionario e P. Mario Borzaga

 




- 17 ottobre 1943, a 11 anni parte per il seminario attraversando il "suo" ponte, ora "Ponte P. Mario";

- 1° ottobre 1956, inizia a scrivere il Diario;

- 31 ottobre 1957, salpa da Napoli per la missione in Laos con i suoi 5 confratelli oblati;

- 7 ottobre 2006, si apre a Trento la fase diocesana del Processo di Canonizzazione, sua e del suo catechista Xyooj;

- 17 ottobre 2008, si chiude la fase diocesana del Processo.


Prega per noi peccatori”. Con che faccia ripeterò queste parole quando diventerò ‘un grande santo’? Nell’Ave Maria vogliamo strappare alla Madonna la sua Grazia e perciò gli scopriamo i nostri stracci. Non siamo altro che peccatori… anche quando l’Amore in me sarà giunto ad alto grado: peccatore, sempre peccatore, indigente quanto mai dell’aiuto della Madonna. (Mario Borzaga, 23 novembre, 1956.)

Così oggi pomeriggio ho meditato tutto il rosario, né troppo attentamente né troppo distrattamente resistendo al sonno. Pregare, Dio mio, pregare per quelli che non pregano, per quando non pregherò io! (Mario Borzaga, 19 aprile 1957)

domenica 3 ottobre 2021

Beate Mariantonia Samà e Nuccia Tolomeo, pregate per noi!

 

La debolezza umana incontra la forza della grazia

 

Omelia nella beatificazione di Maria Antonia Samà e Gaetana (Nuccia) Tolomeo

 

  Considerando la figura delle due beate – Maria Antonia Samà e Nuccia Tolomeo – non ci è difficile riconoscere, nel cuore della loro imitatio Christi, un elemento comune, che ha un nome difficile, terribile: sofferenza. Vi sono entrate in modo diverso –in forme addirittura inquietanti, la beata Maria Antonia, e con un doloroso sviluppo naturale l’altra – ma ambedue in forma progressiva, in continua crescita sì da diventare, l’una e l’altra, somiglianti a Cristo, vir dolorum et sciens infirmitatem (cf. Is 53,3). Di lui – nel brano che abbiamo insieme ascoltato dalla lettera agli Ebrei – si dice che fu reso perfetto per mezzo delle sofferenze. Riflettiamo, allora, su questa espressione, giacché pure questa non ci è di facile e immediata intelligenza. Perché questo paradossale rapporto?

    Di Gesù l’Autore ci dice anzitutto che è un «capo che guida alla salvezza»; aggiunge, quindi, che egli è «colui che santifica» e conclude che lo stesso non si vergogna di chiamarci «fratelli»! C’è un crescendo in questi tre titoli sicché l’uno approfondisce e spiega l’altro. Gesù è per noi una guida, ma non di quelle che ci danno semplicemente delle indicazioni, bensì uno che ci prende per mano e ci accompagna nel cammino e questo lo fa perché ci vuole bene, ci ama.

    Lui, che è santo e santificatore, non si vergogna della nostra debolezza e nemmeno del nostro essere peccatori. Questa nostra condizione non lo spinge ad abbandonarci. Così, nel caso, ci comportiamo noi! Quando qualcuno ci dispiace, o ci delude, o ci offende allora prendiamo le distanze, interrompiamo i contatti, lo cancelliamo dalla nostra agenda … Gesù, al contrario, prende su di sé la sofferenza e giunge a dare la vita per noi. «Mi ha amato e ha consegnato se stesso per me», scriverà, colmo di stupore e gratitudine, san Paolo (cf. Gal 2,20).



S. Messa di beatificazione del 3 ottobre 2021


    L’Autore della Lettera agli Ebrei dice: non si vergogna. La «vergogna» nel racconto della creazione dell’uomo nasce col peccato, ma Gesù è l’Innocente, perciò non si vergogna; anzi salva e santifica. Sant’Agostino spiega: «Non si vergogna di chiamarli fratelli. Queste parole cos’altro significano se non che egli si è reso partecipe della loro stessa sorte? Difatti noi non saremmo mai diventati partecipi della sua divinità se egli non si fosse reso partecipe della nostra mortalità. E proprio perché si è reso partecipe della sorte dei propri fratelli, egli poté parlare di quel grano caduto per terra, che messo a morte portò frutto abbondante» (Esposizione sul salmo 118, Disc. 16, 6: PL 37, 1546-1547).

    Gesù fu reso perfetto per mezzo delle sofferenze. Lo fu certamente perché la via dolorosa è conseguente al mistero della sua incarnazione: si fece uomo nel grembo della Vergine, diciamo nel simbolo di fede. Qui però il testo sacro non si limita a dirci che il Figlio di Dio si è fatto uomo; si afferma, anzi, che si fatto fratello e questo sottolinea la presenza di un valore aggiunto, l’amore di Cristo per noi. «Mi ha amato e ha consegnato se stesso per me»: tra la sofferenza e la perfezione c’è l’amore. È l’amore che congiunge la sofferenza alla perfezione.


dal DVD documento su Mariantonia Samà

    Spiegando il nostro testo Benedetto XVI una volta disse: «il Figlio ha assunto la nostra umanità e per noi si è lasciato “educare” nel crogiuolo della sofferenza, si è lasciato trasformare da essa, come il chicco di grano che per portare frutto deve morire nella terra. Attraverso questo processo Gesù è stato “reso perfetto”, [termine che] indica il compimento di un cammino, cioè proprio il cammino di educazione e trasformazione del Figlio di Dio mediante la sofferenza, mediante la passione dolorosa» (Omelia nella solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, 3 giugno 2010). Nella medesima prospettiva di un cammino di educazione e trasformazione possiamo guardare pure alle nostre due Beate.

    Maria Antonia Samà, conosciuta come la monachella di san Bruno. Conformandosi in tutto alla divina volontà, ella amava ripetere: «Tutto per amore di Dio». E accadde che proprio la sua sofferenza offerta per amore produsse in quanti la conoscevano un potente impulso di carità sicché attorno a lei esplose l’amore. Lei accoglieva con gioia e umiltà chiunque volesse entrare nella sua casa e d’altra parte l’intero paese si mobilitava per soccorrerla e accudirla. Ci fu così un meraviglioso scambio di doni e questo perché l’amore fa nascere amore. Un antico assioma dice che la caratteristica propria del bene è di farsi conoscere e di essere comunicato ad altri, gratuitamente, come sua ragion d’essere, senza altro scopo che questo. Bonum est diffusivum et communicativum sui diceva anche san Tommaso d’Aquino e una volta aggiunse: «ed è per questo che il bene moltiplica la bontà» (Super Mt. [rep. Leodegarii Bissuntini], cap. 25 l. 2). È quanto si è verificato con la nostra Beata che ebbe da Dio la grazia di vivere tutto come dono, divenendo essa stessa dono per gli altri.

    Con lei c’è la beata Gaetana Tolomeo, da tutti conosciuta come Nuccia. Anche la sua fu una vita colma di sofferenza, ma fu pure una vita ricolmata e ricolma d’amore. Segnata come fu sin dai primi anni di vita da una paralisi progressiva e deformante, per amore di Cristo ella trasformò la sua disabilità in apostolato per la redenzione dell’uomo. Ripetendo: Ti ringrazio Gesù di avermi crocifissa per amore, divenne ella stessa un esempio di gratitudine per la vita ricevuta. «Sono Nuccia – diceva – una debole creatura in cui si degna operare ogni giorno la Potenza di Dio». In effetti la sua vita terrena fu ricca non di eventi e opere grandiose, ma di grazia e di adesione totale al volere di Dio nella semplicità quotidiana. Due mesi prima di morire lanciò ai giovani di Sassari questo messaggio: «Ho 60 anni, tutti trascorsi su un letto; il mio corpo è contorto, in tutto devo dipendere dagli altri, ma il mio spirito è rimasto giovane. Il segreto della mia giovinezza e della mia gioia di vivere è Gesù. Alleluia».



Vita e messaggio di Nuccia Tolomeo



Vita e messaggio di Mariantonia Samà

    «Conveniva che Dio rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza». Quello che Dio ha fatto nel capo lo ha fatto anche nelle membra di Lui. È questa la storia della santità: di queste due beate, ma non di loro soltanto.

    Quella della santità, infatti, è la storia della forza di Dio nella debolezza umana.

    Così è stato per la Vergine Maria: «Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente» (Lc 1,49); così per tutti.

    La santità è, come insegna Papa Francesco, proprio l’incontro della debolezza umana con la forza della grazia (cf. Gaudete et exsultate, n. 34).

 

    Catanzaro, Basilica dell’Immacolata, 3 ottobre 2021

Marcello Card. Semeraro