giovedì 26 dicembre 2019

Santo Stefano, preghi per la nostra perseveranza!





La testimonianza di Stefano avviene liturgicamente dopo il Natale, nella realtà molti decenni dopo.
Cosa ci racconta la Parola di Dio su Stefano e per noi oggi?

1. non riuscivano a resistere alla sapienza e allo Spirito con cui egli parlava …  gli piombarono addosso, lo catturarono e lo condussero davanti al Sinedrio
Quando non riesce a vivere un vero confronto si arriva sempre alle mani, anzi si arriva ad annientare l’interlocutore, a farlo fuori, perché la Verità, se è tale, non può tacere.
Nel nostro oggi questo metodo è molto in uso, basta vedere i comportamenti in Tv o sui social, o tra le persone, tanto che spesso per non entrare in questo vortice si tace.
Come essere per la Verità ed evitare tutto questo?
2. non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell'ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi.
C’è una parte che tocca a ciascuno, e una parte che tocca al Signore. Confidiamo in questo! È vero che nel confronto si esce con amarezza, se non si è concluso per la verità, ma la Verità si fa strada oltre noi… basta vedere la vicenda di Stefano.
3. E i testimoni deposero i loro mantelli ai piedi di un giovane, chiamato Saulo. E lapidavano Stefano, che pregava….
La vicenda di Stefano è strettamente legata a quella di Paolo\Saulo. Sono legati da una preghiera: Stefano conformato in tutto a Gesù, prega per i suoi carnefici. È lo stesso che accade per Alessandro Serenelli e Maria Goretti. La preghiera del giusto è sorgente di salvezza.
Si muore sempre, per come si ha vissuto. Il resto è Grazia!
4. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato.
Non confondiamo l’odio che nasce per la non sintonia, o per l’appartenenza politica, o per questioni umane con l’odio perché si è di Cristo.
Metti in conto che se sei di Cristo, se sei per la Verità, sei odiato.
La perseveranza è la strada per accogliere la salvezza, per non perdere la bussola del cammino.
Afferma il Santo Padre:
La vita cristiana non è un carnevale, non è festa e gioia continua; la vita cristiana ha dei momenti bellissimi e dei momenti brutti, dei momenti di tepore, di distacco, come ho detto, dove tutto non ha senso … il momento della desolazione. E in questo momento, sia per le persecuzioni interne sia per lo stato interiore dell’anima, l’autore della Lettera agli Ebrei dice: “Avete solo bisogno di perseveranza”. Sì. Ma perseveranza, perché? “Perché fatta la volontà di Dio, otteniate ciò che vi è stato promesso”. Perseveranza per arrivare alla promessa.
Anche oggi, tanti, tanti uomini e donne che stanno soffrendo per la fede ma ricordano il primo incontro con Gesù, hanno speranza e vanno avanti. Questo è un consiglio che dà l’autore della Lettera agli Ebrei per i momenti anche di persecuzione, quando i cristiani sono perseguitati, attaccati: “Abbiate perseveranza”.
E anche “quando il diavolo ci attacca con le tentazioni”, conclude, “con le nostre miserie”, bisogna “sempre guardare il Signore”, avere “la perseveranza della Croce ricordando i primi momenti belli dell’amore, dell’incontro con il Signore e la speranza che ci spetta”.
Santo Stefano, preghi per la nostra perseveranza! Amen.

mercoledì 25 dicembre 2019

A Natale puoi!





A Natale puoi!
Recita una famosa pubblicità, mentre un ragazzo in tutti modi cerca di conquistare l’attenzione di un uomo che vorrebbe fare incontrare con la sua mamma.
È il desiderio di amare e farsi amare. Che non è solo una esigenza natalizia!
Il Natale è la festa cristiana dove questo desiderio si fa carne. In Gesù, l’eterno Dio, creatore e liberatore, si rende figlio, bambino, per renderci nuovamente figli, per liberarci da quella malata libertà che ci ha resi schiavi. Solo amando siamo liberi, liberati e liberatori.
Gesù è venuto a ridarci tutto questo!
La Parola di Dio questa festività ci racconta molte cose, uno stile.

- Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo.
Siamo tutti della stessa stirpe, siamo tutti dello stesso popolo: quello umano, e nutrendoci del sangue di Cristo, in noi scorre stesso sangue.
Se a Natale puoi, vorrei una Chiesa che da questo Natale, bandisca dal suo linguaggio ogni parola che separa, che divide, che sottomette, che discrimina l’uomo per qualunque motivo. Per come è la sua accento, per come mangia, per come vive la sua affettività, per come è il colore della sua pelle, come Giuseppe, che era uomo giusto, lasciamo a Dio di giudicare il cuore di ogni persona, a noi invece spetta portare nel modo la giustizia di Dio e compiere " il disegno del Padre, fare di Cristo il cuore del mondo" (Ant. Liturgia delle Ore).

- A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio.
Accogliere il Natale, con il mistero di vita, significa diventare figli di Dio, cioè pian piano assumere quei lineamenti di umanità che Gesù, il figlio di Dio, ci ha insegnato. Avere i suoi sentimenti, la sua umanità.
Se a Natale puoi, vorrei una Chiesa che da questo Natale, bandisca dal suo linguaggio e dal suo stile ogni disumanità. Cari cristiani, noi siamo la Chiesa dell’ormai vicino 2020, che non è la chiesa marziana, come certi film del passato, sognavano, ma una chiesa umana e umanizzante. Mettiamo al bando ogni atteggiamento e linguaggio che ci rende cattivi testimoni sia dentro la comunità credente e sia con la comunità umana, di cui facciamo parte.
Ricordiamoci cosa dice la liturgia offertoriale: “L’acqua unita al vino sia segno della nostra unione con la vita divina di colui che ha voluto assumere la nostra natura umana”.

- I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto.
In ogni Natale incontriamo i pastori, che all'inizio vegliano con il gregge, poi li vediamo andare senza indugio a vedere il Bambino adagiato nella mangiatoria, ed infine li scopriamo annunciatori di un annunzio ricevuto.
Cari cristiani, anche noi in avvento proviamo a vegliare nell'attesa, poi veniamo alla Messa del Natale del Signore, e poi?
Se a Natale puoi, vorrei una Chiesa che da questo Natale, viva dello stupore dell’incontro con il Signore, quello dei pastori; che spenga la Tv quando questa approfondisce le miserie umane o le banalità dell’odierno vivere. Una Chiesa, noi, cari cristiani, che stupita dall'incontro non ricordi il freddo della veglia con il gregge, ma che ricordi la semplicità e la gloria che ha visto e ha ascoltato nella Notte Santa, come i pastori che glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto. Uno stupore che sia contagioso: Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori.

- In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra.
Mi piace questa annotazione storica. La nascita di Gesù è un fatto storico, ed accade dentro un preciso tempo.
Se a Natale puoi, vorrei una Chiesa che da questo Natale, sappia accogliere i tempi di Dio, sappia accogliere la fantasia dello Spirito che la rende viva, sappia dare ragione ai semplici e ai dotti, perché come ci ricorda l’Apostolo Pietro: adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto.
Ecco il nostro augurio vicendevole:
«Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama». Amen.




martedì 24 dicembre 2019

È Natale, ma è già Pasqua!



S. Natale 2019


È un’opera di Georges de La Tour, pittore del Seicento, che richiama il Caravaggio, per i suoi chiaro e scuri, luce e tenebre. Molte opere del pittore francese hanno tra i simboli un lume o una candela o una lanterna.
Nei nostri presepi spesso c’è il pastore con la lanterna o anche S. Giuseppe.
L’opera in questione, Adorazione dei pastori, è del 1644, ed è conservata al Museo del Louvre.
La scena si apre a semicerchio intorno alla culla del Bambino Gesù. Immaginatela. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi.
Due donne e tre uomini. Alternati: 1 donna, due uomini, 1 donna, 1 uomo.
Sono illuminati dalla luce che sii irradia dal quel centro: Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
Il Divino Infante è adagiato sulla paglia: avvolto in strette fasce, una candida cuffia sul capo, dorme placido e serio, come solo i neonati sanno fare.
A tratti, quasi sembra giacere nel dolce sonno della morte, quasi a prefigurare quei tre giorni nel sepolcro. È poi è fasciato, non con le braccia fuori, come ma era usanza e costume in occidente, fino alla metà del ‘900, di rivestire gli infanti, ma è fasciato come un defunto secondo l’usanza e il costume orientale, e ricorda molto le immagini di Lazzaro che esce dal sepolcro, solo manca un dettaglio: il sudario, perché qui è nella mangiatoia e non nel sepolcro.
A sostegno di questa scena, è Natale o è già Pasqua, un piccolo agnello: ed è lui che si avvicina più di tutti al volto del Bambinello. Immagine di infinita tenerezza, ma allo stesso tempo segno che prefigura il sacrificio pasquale, a cui del resto anche le bende, e il sonno stesso di Gesù, direttamente alludono.
Ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore.
Una gioia che traspare in alcuni dei cinque personaggi raccolti a semicerchio attorno a Divin Salvatore.
Eretta come una scultura, la prima donna, difronte all’uomo solo che chiude il semicerchio, eppure morbida e tenera proprio come una madre, Maria è raffigurata sulla sinistra, le mani giunte in adorazione di quel suo Figlio divino, lo sguardo grave e pensoso di chi medita nella quiete del proprio cuore il compiersi del prodigio annunciato.
Maria che diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia.
È adorante. Quel Bimbo pare un’Ostia bianca e luminosa, come quelle che si vedono nelle nostre chiese esposte nei luminosissimi ostensori a raggera. Ma è Natale o è già Pasqua?
Accanto a lei vi è un giovane pastore, umile eppure dallo sguardo fiero, con quei baffetti alla moschettiera e il colletto della camicia vezzosamente ricamato, la mano chiusa sul bastone.
Ecco, vi annuncio una grande gioia!
Sorride invece il personaggio alla sua destra, ed una è delle poche figure in tutta la pittura di La Tour, in verità, a regalarci un simile sorriso. L’uomo stringe lieto fra le dita un flauto, quasi fosse pronto anch’egli ad unirsi, con semplicità, agli angelici cori e alla musica celestiale di questa notte santa.
E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».
Ma il pastore gioioso, coll’altra mano, invece, sale alla tesa del cappello, come per un saluto, e ci ricorda quei personaggi dei nostri presepi di casa, che hanno il pastorello genuflesso e che come il pastorello gioioso di La Tour, compie un saluto gioviale e riverente insieme, a questo Re dei Re che ha scelto una stalla per venire al mondo: ma anche soltanto come un benvenuto a una nuova vita.
Vicino a lui una seconda donna, con in testa una specie di turbante. Un’annotazione di vita contadina, ma che ai nostri occhi diventa quasi un elemento esotico. La scodella scotta, e lo capisce da quelli mani che sorreggono, rimanendo sollevate, e non afferrano la stessa. E poi la delicatezza con cui le sue mani recano l’offerta di una pentola di coccio coperta da un piatto, a contenere forse un po’ di latte per l’infante o un po’ di cibo caldo per confortare i suoi genitori in quella notte, diventa già come il gesto stesso dei Magi che presto giungeranno da Oriente con i loro doni, così simbolici e preziosi: oro, incenso e mirra.
Infine, a chiudere il semicerchio, un uomo di spalle, la barba candida e soffice: il buon Giuseppe. Lo sguardo fisso su quel neonato di cui è padre putativo, stupito per ciò che sta accadendo, ma sinceramente lieto, intimamente felice, come rivela quella scintilla nei suoi occhi che non è solo il riverbero della candela della quale con la mano copre in parte la fiamma, quasi con una sorta di premuroso pudore.
Come se dicesse, Giuseppe: non guardate voi spettatori questo piccolo lume, non confondete lucciole per lanterne, il lume per il Sole, ma volgete piuttosto il vostro sguardo a quella grande luce che è sorta a rischiarare il mondo.
Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo.
Si tratta di cinque figure dai volti così vivi, così realistici, da sembrare dei veri e propri ritratti, probabilmente di compaesani, e forse di amici, del pittore. Ognuno di essi è come rapito da quello spettacolo che gli si svela dinnanzi, che è al tempo stesso ordinario e straordinario, di questa creatura nata da qualche ora, che giace sotto i loro occhi senza nessuna enfasi, e che rinnova lo stupore per il miracolo della vita.
Sì, tutto in questo dipinto è essenziale. Non ci sono angeli, non ci sono stelle e neppure il bue e l’asino della tradizione.
Sono in semicerchio, ai lati Maria e Giuseppe, uno spettacolo per il mondo, non solo per loro, non solo per pochi.
Fermati, e contempla questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere.
In un semicerchio, perché spalancato, senza barriere. Diceva don Primo Mazzolari nell’omelia di Natale del 1931: «Non ascoltate chi vuole dimostrarvi che le barriere sono necessarie e che senza una guerra non si rimette a posto nulla. Guardate il Presepio o il Calvario e troverete la risposta all’incosciente menzogna. E con la risposta, una grande speranza, perché è dal Presepio e dal Calvario che incomincia la Redenzione».
In semicerchio, come un orecchio in ascolto, attendendo all’annuncio degli angeli. Ecco cosa scrive papa Benedetto XVI nella sua omelia nella Notte Santa del 2005: Il Vangelo [dell’annuncio ai pastori di Betlemme.], mette in luce una caratteristica che poi, nelle parole di Gesù, avrà un ruolo importante: erano persone vigilanti. Questo vale dapprima nel senso esteriore: di notte vegliavano vicino alle loro pecore. Ma vale anche in un senso più profondo: erano disponibili per la parola di Dio, per l’Annuncio dell’angelo. La loro vita non era chiusa in sé stessa; il loro cuore era aperto. In qualche modo, nel più profondo, erano in attesa di qualcosa, in attesa finalmente di Dio. La loro vigilanza era disponibilità, disponibilità ad ascoltare, disponibilità ad incamminarsi; era attesa della luce che indicasse loro la via. È questo che a Dio interessa. Egli ama tutti perché tutti sono creature sue. … Chiediamogli di far sì che non trovi chiuso il nostro cuore. Facciamo in modo di essere in grado di diventare portatori attivi della sua pace, proprio nel nostro tempo».
È Natale, ma è già Pasqua!

domenica 22 dicembre 2019

Giuseppe suo sposo...






L’ultima domenica di avvento ci propone nell'attesa e nel preparare il Natale, Giuseppe di Nazareth.
Poche cose definiscono questo personaggio del Vangelo.
Il luogo di abitazione, Nazareth; il luogo d’origine, Betlemme; il nome di suo padre, Giacobbe generò Giuseppe; la sua parentela, della casa di Davide; la sua paternità adottiva, Gesù era figlio, come si riteneva, di Giuseppe o in altro passo viene detto: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nazareth; il lavoro praticato, falegname o carpentiere; la situazione affettiva, sposo di Maria.
Il Vangelo odierno però lo definisce anche era uomo giusto.
Altri personaggi spiccano per essere giusti nella Bibbia, sempre di nome Giuseppe, l’egiziano e di Arimatea.
Cosa vuole dire essere giusto secondo la Bibbia.
Gesù è il giusto.
Possiamo dire che lo sposo di Maria, lascia a Dio di giudicare il cuore della sua promessa sposa, egli vuole così bene a Maria che scoprendo che è gravida, prima che andassero a vivere insieme, non si appella alla giustizia degli uomini, alla legge mosaica, ma lascia che Maria viva il suo destino, la sua libertà (così Giuseppe pensa!), e compie qualcosa di sconvolgente, di sorprendente, per proteggerla (è questa la forza del vero amore che non possiede, ma libera!), pensò di ripudiarla in segreto.
Quale festa nel cuore avrà avuto Giuseppe nel compiere questo gesto. Avere la festa nel cuore significa dare giusto valore ad ogni cosa, ad ogni fatto, ad ogni persona.
Signore aiutaci ad essere giusti, a rimandare a te i conti, le conclusioni, così che la domenica sia veramente la festa che misura i nostri giorni. Amen.




mercoledì 4 dicembre 2019

1990 - 2019: S. Barbara, prega per noi!



Parrocchia di S. Barbara V. M.
Davoli (CZ)
PREGHIERA A SANTA BARBARA

(Patrona della città e della diocesi di Rieti)
che hai sperimentato l’amore di Dio
e hai visto sempre la luce
dove il buio sembrava prevalere;
che hai saputo vedere il bene
quando il male sembrava trionfare,
intercedi con benevolenza a nostro favore.
Fa’ che la nostra Chiesa (di Rieti),
che ti venera quale patrona,
sia animata dalla tua stessa fede,
spinta dallo stesso tuo amore,
incoraggiata dalla stessa tua speranza.
Ascolta il grido di aiuto
che sale da tante famiglie
dilaniate dalle divisioni e dai conflitti,
dalla mancanza di lavoro e di serenità,
dalle malattie e dall’indifferenza.
Soprattutto ti chiediamo
di coltivare sempre la fede,
di ascoltare sempre la Parola di Gesù,
di accostarci con frequenza ai sacramenti,
di essere pronti a offrire noi stessi
per la causa del Vangelo, come facesti tu,
con libertà e generosità.

Amen.

+ Delio Lucarelli

Vescovo di Rieti



lunedì 2 dicembre 2019

Voi siete corpo di Cristo (1 Cor 12,27)




Nel coemeterium di san Callisto a Roma, sulla via Appia nell’Arenario, presso la cripta dei papi, una grande lapide fatta apporre da san Damaso ricorda ai pellegrini i martiri più insigni che ivi riposavano. Tra di essi menziona “i Santi Confessori inviati dalla Grecia”: Hic confessores sancti quos Graecia misit, ricordati nel Martirologio Romano il 2 dicembre: a Roma i santi Martiri Eusebio prete, Marcello Diacono, Ippolito, Massimo, Adria, Paolina, Neone, Maria, Martana ed Aurelia, i quali tutti compirono il martirio nella persecuzione di Valeriano, sotto il giudice Secondiano.
Denominati Martiri Greci, furono in grande venerazione nell’antica Roma cristiana. Sulle loro tombe, erano posti due elogi metrici, attribuiti a papa Damaso, nel secondo epitaffio è menzionata una passio che i cristiani leggevano nel dies natalis dei santi; di essa purtroppo ci resta solo la parte relativa al processo e al martirio, riportata da Cesare Baronio nei suoi “Annales Ecclesiastici”, tratta, come egli stesso annota, “da un antico manoscritto quasi distrutto per l’antichità, salvato dall’usura del tempo e corretto per quanto possibile da parecchie mende…”.
Nell’ottavo secolo, a causa delle scorrerie dei Barbari, i corpi dei santi Ippolito e della sorella Paolina, del marito di lei Adria e dei loro piccoli figli Maria e Neone, furono traslati nell’Urbe presso la Chiesa di Sant’Agata dei Goti, dove sono ancora oggi molto venerati.

Il beato Alfredo Ildefonso Schuster, cardinale arcivescovo di Milano, ottenuta una porzione rilevante delle loro sacre spoglie, le destinava alla nuova chiesa parrocchiale di Ronco Briantino il 5 aprile 1934 ed il 28 gennaio del 1939 alla chiesa parrocchiale di Mirabello di Cantù. Il beato Arcivescovo portava la Sacre Reliquie solennemente, collocandole di persona, sotto l'altare maggiore, e indicava le sacre reliquie come sorgente di grazie per tutta la zona.






4Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; 5vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; 6vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. 7A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune: 8a uno infatti, per mezzo dello Spirito, viene dato il linguaggio di sapienza; a un altro invece, dallo stesso Spirito, il linguaggio di conoscenza; 9a uno, nello stesso Spirito, la fede; a un altro, nell'unico Spirito, il dono delle guarigioni; 10a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di discernere gli spiriti; a un altro la varietà delle lingue; a un altro l'interpretazione delle lingue. 11Ma tutte queste cose le opera l'unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole.
12Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. 13Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito.
14E infatti il corpo non è formato da un membro solo, ma da molte membra. 15Se il piede dicesse: «Poiché non sono mano, non appartengo al corpo, non per questo non farebbe parte del corpo. 16E se l'orecchio dicesse: «Poiché non sono occhio, non appartengo al corpo, non per questo non farebbe parte del corpo. 17Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l'udito? Se tutto fosse udito, dove sarebbe l'odorato? 18Ora, invece, Dio ha disposto le membra del corpo in modo distinto, come egli ha voluto. 19Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? 20Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. 21Non può l'occhio dire alla mano: «Non ho bisogno di te; oppure la testa ai piedi: «Non ho bisogno di voi. 22Anzi proprio le membra del corpo che sembrano più deboli sono le più necessarie; 23e le parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggiore decenza, 24mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha disposto il corpo conferendo maggiore onore a ciò che non ne ha, 25perché nel corpo non vi sia divisione, ma anzi le varie membra abbiano cura le une delle altre. 26Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui.
27Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra. 
(1 Cor 12, 4-27)


domenica 1 dicembre 2019

AIDS e Santi





Quando agli inizi degli anni 1980 fece la sua comparsa una nuova terribile malattia – l’AIDS – ci si accorse che oltre alla mancanza (allora) di farmaci efficaci per prevenirla e curarla, v’era anche quella di un patrono per i malati di AIDS.
Ma non ci si perse d’animo. Così, dopo un decennio (1991), nel bel mezzo di un Congresso Internazionale sull’AIDS giunse provvidenziale la notizia che Papa, allora San Giovanni Paolo II, aveva “affidato” la malattia a Luigi Gonzaga perchè la gestisse nel migliore dei modi. Difatti, nel XVI secolo il giovane marchese Gonzaga aveva rinunziato alle allettanti ricchezze paterne per entrare nella Compagnia di Gesù, morendo a soli 23 anni per un’infezione contratta durante la terribile pestilenza che colpì Roma nel 1591 mentre, con grande abnegazione, si prodigava ad assistere i malati, al punto da prendere in braccio gli appestati che venivano abbandonati nelle strade, e idealmente estesa alle vittime dell’AIDS, malattia definita “la peste del XX secolo”.
Ma poi nel 2001 si anche aggiunto Luigi Scrosoppi.
Padre Luigi Scrosoppi, sacerdote friuliano, che per la sua intercessione la Congregazione per le cause dei santi ha riconosciuto la miracolosa guarigione dall' Aids di un giovane africano, Peter Changu Shitima.