martedì 21 giugno 2016

Decreti: 115 Beati e 7 Venerabili

 


BEATI
- il martirio dei Servi di Dio Giuseppe Álvarez-Benavides y de la Torre, Decano del Capitolo della Cattedrale di Almería, e 114 Compagni, uccisi in odio alla Fede tra il 1936 e il 1938;

VENERABILI
- le virtù eroiche del Servo di Dio Antonio Cirillo Stojan, Arcivescovo di Olomouc; nato il 22 maggio 1851 e morto il 29 settembre 1923;

- le virtù eroiche del Servo di Dio Vincenzo Garrido Pastor, Sacerdote diocesano e Fondatore dell’Istituto Secolare delle Operaie della Croce; nato il 12 novembre 1896 e morto il 16 aprile 1975;

- le virtù eroiche del Servo di Dio Paolo Maria Guzmán Figueroa (al secolo: Giuseppe Bardomiano di Gesù), Sacerdote professo dei Missionari dello Spirito Santo e Fondatore delle Missionarie Eucaristiche della Santissima Trinità; nato il 25 settembre 1897 e morto il 17 febbraio 1967;

- le virtù eroiche del Servo di Dio Luigi Lo Verde (al secolo: Filippo), Chierico professo dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali; nato il 20 dicembre 1910 e morto il 12 febbraio 1932;

- le virtù eroiche del Servo di Dio Bernardo dell’Annunziazione (al secolo: Bernardo de Vasconcelos), Chierico professo dell’Ordine di San Benedetto; nato il 7 luglio 1902 e morto il 4 luglio 1932;

- le virtù eroiche della Serva di Dio Maria Elisa Oliver Molina, Fondatrice della Congregazione delle Suore delle Vergine Maria di Monte Carmelo; nata il 9 luglio 1869 e morta il 17 dicembre 1931;

- le virtù eroiche della Serva di Dio Maria di Gesù dell’Amore Misericordioso (al secolo: Maria di Gesù Guízar Barragán), Fondatrice delle Ancelle Guadalupane di Cristo Sacerdote; nata l’11 novembre 1899 e morta il 6 gennaio 1973.

lunedì 20 giugno 2016

Santi... il prossimo 16 ottobre 2016!





- Giuseppe (José) Sánchez del Río, ragazzo della Diocesi di Zamora (Messico), martire;

- Gabriele del Rosario “El Cura” Brochero, sacerdote dell’Arcidiocesi di Cordoba (Argentina);

- Salomone Leclercq (al secolo: Guglielmo Nicola Ludovico), dei Fratelli delle Scuole Cristiane, martire;

- Emmanuele (Manuel) González García, vescovo di Palencia, fondatore dell’Unione Eucaristica Riparatrice e della Congregazione delle Suore Missionarie Eucaristiche di Nazareth;

- Lodovico Pavoni, sacerdote, fondatore della Congregazione dei Figli di Maria Immacolata;

- Alfonso Maria Fusco, sacerdote, fondatore della Congregazione delle Suore di San Giovanni Battista;

- Elisabetta della Santissima Trinità (al secolo: Elisabetta Catez), monaca professa dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi.

San Berillo di Catania





Il Santino più famoso di San Berillo fu stampato nel 2002, in occasione del XXV anniversario "passato all'ombra di così immensa schiera di testimoni".
All'epoca era l'unico santino del "protovescovo" di Catania, sono però passati ben 14 anni da allora, e qualcosa è stato stampato.
La vita di San Berillo è tratta da un bell'articolo scritto su cattedralecatania.it. Certo smonta un po' la storicità del Santo, ma è fatto molto bene.
Buona lettura!
* * *

L’Annuario diocesano 2010, nell’affermare che il cristianesimo a Catania si è diffuso rapidamente e che sotto le persecuzioni di Decio e di Diocleziano, nel sec. III, ha versato il suo sangue, per la fede, la vergine Agata e agli inizi del sec. IV ne ha seguito l’esempio il diacono Euplo, precisa che “recenti studi critici dichiarano priva di ogni valido fondamento la tradizione locale che dice primo vescovo di Catania S. Berillo di Antiochia (di Siria), ordinato da S. Pietro e venuto in questa città etnea nel 42”, mentre la diocesi è storicamente documentata a cominciare dal sec. V. L’edizione del 2000, in occasione del Grande Giubileo, riportava che, nonostante per la sede episcopale catanese, come per le altre dell’isola, non si hanno notizie certe se non tra gli inizi del 4° secolo e le soglie del 6°, la tradizione, tuttavia, consolidatasi in seguito alla conquista bizantina, ha ritenuto come primo vescovo Berillo inviato dall’apostolo Pietro ad evangelizzare Catania, nel 42.

 Si deve tener presente quanto afferma lo storico della Chiesa mons. Gaetano Zito, preside dello Studio Teologico interdiocesano di Catania, autore dell’opera “Storia delle Chiese di Sicilia” (LEV, 2009). “La fondazione delle diocesi e l’istituzione della gerarchia ecclesiastica in Sicilia”, scrive a pag. 29, “per secoli sono state datate alla prima metà del primo secolo dell’era cristiana e attribuite a una precisa decisione dell’apostolo Pietro che avrebbe ‘ordinato’ alcuni suoi discepoli per inviarli appositamente ad evangelizzare l’isola: Berillo a Catania, Marciano a Siracusa, Pancrazio a Taormina”. “A favore di tale attribuzione”, prosegue il professore, “può supporsi che abbia influito l’affermazione di papa Innocenzo I (401-417)…: anche in Sicilia nessuno ha fondato Chiese se non coloro che l’apostolo Pietro o i suoi successori hanno costituito vescovi. Da tempo ormai la storiografia ha ampiamente dimostrato inconsistente tale ipotesi ed ha acquisito la certezza che, allo stato delle fonti, la struttura ecclesiastica della Sicilia, con vescovi e sedi episcopali ad oggi storicamente certi, va data ad un periodo successivo all’età apostolica”. “La tradizione retrodata fino al 42 … poggia su un apparato documentario risalente al VII-IX secolo, nel periodo cioè della piena bizantinizzazione dell’isola. Tale tradizione ha supporti assai dubbi e appartiene ad un preciso genere letterario, elaborato per attribuirsi l’apostolicità della sede episcopale nel confronto con le Chiese bizantine, per determinare la supremazia della propria sede sulle altre dell’isola e per sostenere che la loro fondazione precedeva anche quella della comunità cristiana di Roma”.

“Né è possibile ricavare dati certi dalla scarna notizia di Luca sulla sosta dell’apostolo Paolo a Siracusa (Atti 28,12) nel suo viaggio verso Roma, nel 59”, aggiunge lo storico, “Nei tre giorni di sosta vi avrà certamente predicato Gesù Cristo. L’episodio, però, non è prova della diffusione del cristianesimo. Non riconsegna la certezza di una locale comunità cristiana, sia all’arrivo di Paolo che dopo la sua partenza, al contrario di quanto il testo degli Atti degli apostoli annota per Pozzuoli, dove ‘trovammo alcuni fratelli’ (28,12). Indicazione che sarebbe stata annotata anche per Siracusa se la predicazione di Marciano, per incarico di Pietro, vi fosse effettivamente accaduta prima, come ritiene la tradizione”. Lo studioso, a proposito della diocesi di Catania, a pag. 357, conferma quanto già affermato: “La tradizione ha identificato il primo vescovo con un certo Berillo, del quale si afferma che nel 42 sia stato ordinato vescovo ad Antiochia da Pietro e da questi appositamente inviato ad evangelizzare Catania. Di lui si fa menzione come protovescovo catanese nella vita di Leone il Taumaturgo dell’VIII secolo, nella Vita di Pancrazio di Taormina, in due testi liturgici del IX secolo (Canoni attribuiti a Teofane Siciliano e a Giuseppe Innografo) che lo esaltavano come primo vescovo petrino. E’ ormai acquisito che la datazione di Berillo non è sostenibile: sia per la cronologia più accreditata della vita di S. Pietro, sia per le difficoltà interne alla comunità apostolica in merito all’apertura ai pagani. La tradizione su Berillo, di conseguenza, è priva di certezza e si presenta come una ricostruzione agiografica redatta nella Catania di fine sec. VIII e inizio sec. IX, quando ormai la città era pienamente soggetta al patriarcato di Costantinopoli e mirava accreditare, presso le Chiese d’Oriente, la fondazione apostolica della sua Chiesa per ottenere l’elevazione a sede arcivescovile e metropolitana. Tuttavia, alla luce di quanto accaduto per Marciano di Siracusa, storicamente attestato ma non come vescovo ordinato anche lui da Pietro ad Antiochia bensì in un tempo successivo a quello sancito dalla tradizione, e cioè almeno tra il sec. III e il sec. IV, potrebbe non escludersi del tutto la storicità di Berillo, collocandolo però nello stesso periodo di Marciano”.

Giuseppe Murabito, postulatore generale dei Missionari oblati di Maria Immacolata, alla voce “Berillo” della Bibliotheca Sanctorum risalente agli inizi degli anni Sessanta del Novecento, scrive che “secondo il Martirologio Romano, che lo commemora il 21 marzo, e i sinassari greci, Berillo, originario di Antiochia, sarebbe stato ordinato vescovo da S. Pietro e mandato a governare la Chiesa di Catania”. “Ma”, continua l’agiografo, “queste notizie hanno come fonte la ‘Vita e martirio di s. Pancrazio vescovo di Taormina’, composta tra il sec. VIII e il IX (dopo il 776, prima dell’826), che il Lanzoni definisce un ‘romanzo agiografico’ prolisso e bizzarro; ma prima di esso non si ha alcuna menzione di Berillo”. “E’ significativo”, aggiunge, “che s. Gregorio, in tante lettere scritte ai vescovi siciliani, non abbia mai fatto cenno all’origine apostolica … Mentre, pertanto, è da escludersi che Berillo sia vissuto nell’età apostolica, egli potrebbe essere stato vescovo, forse anche il primo, di Catania, alla fine del III secolo o al principio del IV”. Anche le ultime edizioni dell’Annuario Pontificio collocano la fondazione della diocesi Catanensis al sec. I., come Palermo, mentre Siracusa al II e Messina al V. La rubrica del 4 maggio relativa alle Messe proprie delle diocesi di Sicilia (1981), confermata dalla Liturgia delle Ore del Proprio delle Chiese di Sicilia (2004), a proposito della memoria obbligatoria a Catania di S. Berillo, così recita: “Catania onora in s. Berillo il suo primo vescovo. Ciò trova conferma in un panegirico del sec. VIII in onore di s. Leone vescovo di Catania, nel quale l’anonimo autore esalta quel santo come persona degna di sedere sulla cattedra del vescovo Berillo”.

La prof. Maria Stelladoro, perfezionata in Studi Patristici e Tardo Antichi presso l’Università Lateranense, nel saggio “Studi sull’Oriente Cristiano” (Accademia Angelica-Costantiniana di Lettere Arti e Scienze, 5/1, Roma 2001) è del parere dell’origine apostolica pietrina del cristianesimo ellenofono della Sicilia orientale prima ancora che paolina e ritiene attendibili la leggenda di Berillo, che accompagnò S. Pietro “nel suo viaggio in Occidente assieme ad altri vescovi inviati poi ad evangelizzare la Sicilia e l’Italia”, e i legami delle chiese dell’Italia meridionale con Costantinopoli anziché con Roma, come suffragherebbe l’ipotesi di una rotta per mare che da Antiochia avrebbe condotto Pietro a Roma attraverso la Sicilia.

Nel segnalare che in Cattedrale si trovano diverse memorie iconografiche di s. Berillo, sia nel presbiterio maggiore, che in un altare laterale e nelle due facciate della basilica, oltre che in altre chiese della città (in quella monastica S. Giuliano ai Crociferi e nella parrocchiale eponima), si accenna alla secolare tradizione del culto di s. Berillo, il cui nome originario si riteneva fosse Cirillo o Nerillo. Il martirologio dell’imperatore Basilio II (948-988) ne compendia la vita il 21 marzo, in cui ancora è ricordato dai calendari liturgici greco-bizantini, cattolici e ortodossi. La vita di S. Berillo, ricordano i sacerdoti Giuseppe Consoli e Gaetano Amadio in “Santi ed eroi della carità in Catania” (1950), si trova anche nell’inno composto dal santo siracusano Giuseppe Innografo nella prima metà del sec. IX, dove si riferisce che il protoepiscopo avrebbe tramutato una sorgente di acqua amara in dolce e potabile. S. Berillo sarebbe morto, forse anche martire, a tarda età e non si sa dove fu seppellito, anche se le sue reliquie sarebbero state venerate degnamente. La cappella di S. Berillo che alla fine del Cinquecento esisteva alle spalle del tempio primaziale S. Agata la Vetere presso l’oratorio S. Pietro –oggi santuario di S. Agata al carcere- distrutta dal terremoto del 1693, venne ricostruita nel 1795, fuori le mura di levante.

sabato 18 giugno 2016

Madonna della Cella e dintorni vercellesi





Le fonti documentarie attestano la presenza della Cella di Meoglio tra i possedimenti del Monastero di Lucedio. Secondo la tradizione nel 1001 San Bononio vi operò un miracolo. Con il termine "Cella" si indicava una piccola casa retta da un monaco sacerdote coadiuvato da frati conversi e coloni per la coltivazione dei campi.


Il santuario sorge sulle preesistenze dell'antico abitato di Meoglio, e alla chiesa della Cella si giunge mediante una strada di campagna che attraversa una zona boschiva, raggiungendo il grande prato che accoglie al centro la chiesa e il sagrato, affiancati dalle rovine dell'antico complesso monastico: da qui si diparte il percorso della Via Crucis. L'edificio è a navata unica ed è ha come tutte le chiese antiche l’abside ad este l’ingresso da ovest preceduto da un portico non voltato con tetto a padiglione. La chiesa è costituita da struttura muraria in pietra, fatta esclusione per il campanile in laterizio a vista. Gli interni sono decorati a motivi vegetali e simboli cristologici. Si venera un affresco seicentesco posto sull'altare maggiore raffigurante la Vergine Maria in Cielo Assunta con alcuni Santi, tra cui San Pietro e un Santo Vescovo o Abate (S. Bononio?), e benefattore.
Chi era S. Bononio?
Nasce a Bologna nella seconda metà del X secolo. Trascorre la giovinezza nella sua città e successivamente parte per l'oriente; decide di stabilirsi a Il Cairo per fare l'eremita. Qui Bononio si dedica a opere di carità a sostegno delle popolazione, con cui costruisce anche alcune chiese. Contribuisce alla liberazione del vescovo di Vercelli, Pietro, fatto prigioniero dagli arabi dopo la sconfitta subita da Ottone II a Stilo. Ritornato in patria il vescovo in segno di riconoscenza nomina Bononio - che nel frattempo si ritira sul Sinai - abate del monastero di Lucedio. Il santo risponde alla chiamata del vescovo e accetta il nuovo incarico. A Bononio si attribuiscono alcuni miracoli compiuti a Bologna, la sua città natale, dove fa tappa durante il viaggio verso Lucedio. Si ferma anche in Toscana, nel monastero di San Michele di Marturi nel territorio di Poggibonsi. A Lucedio, forte della sua profonda spiritualità, il santo ripristina la disciplina dei religiosi e si adopera per aiutare la popolazione locale. Bononio muore il 30 agosto del 1026; le sue reliquie si trovano nella chiesa di Fontanetto Po, in provincia di Vercelli. È canonizzato da papa Giovanni XIX.
Un piccolo viaggio-pellegrinaggio tra fede e arte potrebbe essere:
Santhià (VC), con la bella chiesa di S. Agata, dove fu battezzato S. Ignazio di Santhià
Tronzano Vercellese (VC), nella cui chiesa parrocchiale è custodita la memoria e le reliquie del beato Giacomo Abbondo, parroco, beatificato l’11 giugno 2016 a Vercelli.
Fontanetto Po (VC), nella cui parrocchiale è custodita la memoria e le reliquie dell’abate San Bononio di Lucedio.
Borgo d'Ale (VC), nel cui comune è il Santuario della Madonna della Cella.
Ed ecco, gli si presentò un angelo del Signore e una luce sfolgorò nella cella. Egli toccò il fianco di Pietro, lo destò e disse: «Àlzati, in fretta!». E le catene gli caddero dalle mani. (At 12,7)

tra le FONTI

giovedì 16 giugno 2016

Paolo o Antonio?





Leggendo la pagina mi è sorto un dubbio: ma l'immagine del Servo di Dio Paolo da Paternò non è quella di Servo di Dio Antonio da Fiumefreddo?

Così ho verificato ed ho scoperto che c'è un errore.

L'iconografia usata per Paolo Rendace da Paternò in realtà appartiene ad Antonio De Bello da Fiumefreddo.








martedì 14 giugno 2016

Pellegrino all'Arcella





La chiesa santuario dell’Arcella ha una storia molto lunga e travagliata. Ai tempi di Sant'Antonio era un borgo non lontano dalle mura cittadine, chiamato Capo di Ponte, dove c’era una chiesetta intitolata a Santa Maria de Cela (o de Arcella) che comprendeva il monastero delle Clarisse ed il convento dei Frati minori. Secondo un'antica tradizione, che trova conferma in più fonti, tale primitivo convento francescano dell'Arcella sarebbe stato fondato intorno al 1220 dallo stesso S. Francesco d'Assisi, che di ritorno dalla Terra Santa, diretto verso Assisi, passò per Padova e vi fondò il convento.
All'Arcella giungerà per la prima volta, nel 1227, anche S. Antonio, che nelle successive visite alla città farà riferimento al conventino di "S. Maria Mater Domini", che costituirà il futuro nucleo primitivo dell'attuale Basilica dei Santo.

È all'Arcella che S. Antonio arriverà morente la sera dei 13 giugno 1231 accompagnato anche da Frate Luca Belludi che lo assisterà negli ultimi istanti di vita.
Dopo la morte del santo, la salma fu trasferita alla Basilica di Sant’Antonio, ma l'Arcella, pur se privata del corpo del Santo, continuò ad essere uno dei luoghi più venerati della città, sia perché vi era morto il Santo e sia per la venerazione ed il culto popolare verso Elena Enselmini, annoverata tra i Patroni minori della città di Padova, vissuta e morta nel monastero della "Cella" in cui ancor oggi è conservato il suo corpo.
A metà del XIII secolo il Consiglio maggiore del libero Comune Patavino prese sotto la sua diretta protezione il luogo venerato deliberando di ricostruire a proprie spese l'intero complesso conventuale.
Il Monastero, dopo essere stato gravemente danneggiato durante la presa della città da parte dei veneziani dall’incendio nell’inverno tra il 1494 e 1495, fu poi ricostruito grazie a offerte e a lasciti.
Nel 1509 l'imperatore Massimiliano d'Asburgo, alla guida della lega di Cambrai contro la Repubblica Veneta, collocò nel monastero il suo quartier generale e più tardi, a seguito della peste, il monastero fu trasformato in lazzaretto.
Nel secondo decennio del 1500 fu distrutto su ordine del Senato Veneto e in seguito venne ricostruito un piccolo capitello porticato identificato come la cella in cui mori S. Antonio.
 
 

 ll capitello continuò ad essere uno dei luoghi più venerati della città, a testimoniarlo anche il lascito testamentario di Baldassarre Dondi Dall’Orologio nel 1649 che destinò la somma di cinquecento ducati d'oro per "Ampliare e rendere più degno il sacro luogo".
Tra il 1674 e il 1675 diviene una piccola ma dignitosa chiesetta e nel 1792 l'Abadessa Elisabetta Speroni, delle Clarisse della Beata Elena Enselmini, proprietarie dei terreni dell'antico monastero distrutto e di quello chiamato popolarmente "Oratorio di Sant'Antonin", promuoveva una campagna di lavori e di restauri del Santuario attraverso una sottoscrizione alla quale, tra gli altri, partecipava il Cardinale Chiaromonti, futuro Papa Pio VII.
        
Austero e solenne, ma al tempo stesso caldo e luminoso per le pareti e le strutture in cotto, il santuario attuale, una tra le più interessanti opere architettoniche neogotiche di chiara ispirazione francescana, è opera degli architetti Eugenio Maestri e Nino Gallimberti che si succedettero nella progettazione e direzione dei lavori tra il 1886 al 1931.
La torre campanaria, che si affianca alla chiesa, venne progettata tra il 1898 e il 1899 dall'architetto padovano Agostino Mozzo.
Nel 1922, quando fu inaugurata, alla sommità della cuspide venne collocata la grande statua di S. Antonio, opera dello scultore veronese Silvio Righetti.
All'interno del Santuario l'intrecciarsi delle volte a crociera della navata e dei transetti scandisce lo spazio assorbito verso l'alto dal luminosissimo volume della cupola, alta 40 metri, per poi chiudersi nella grande abside contenente il coro conventuale.
 
 
 

 La cella dove morì Sant’Antonio, vero fulcro del tempio, è ornata solo da una statua del santo morente scolpita dal Rinaldi nel 1808.
 

lunedì 13 giugno 2016

1998 - 13 giugno - 2016

 
 
 
Parlami!!!


Deus mihi dixit! 
 


Sono qua io ...
  
 

 

A Gesù con Maria
 
G. Madre di Cristo,
T. al Messia Sacerdotale hai dato
il corpo di carne
per l' Unzione dello Spirito Santo
per la Salvezza dei poveri e contriti di cuore,
custodisci nel Tuo Cuore e nella Chiesa
i sacerdoti, "Madre del Salvatore".
G. Madre della fede,
T. hai accompagnato al Tempio
il Figlio dell' uomo,
compimento delle promesse date
ai Padri, consegna al Padre
per la Sua Gloria i Sacerdoti del Figlio Tuo,
"Arca dell' Alleanza".
G. Madre della Chiesa,
T. tra i discepoli nel Cenacolo pregavi lo Spirito per il popolo nuovo e i Suoi Pastori,
ottieni all'ordine dei presbiteri
la pienezza dei doni, "Regina degli Apostoli".
G. Madre di Gesù Cristo,
T. eri con Lui agli inizi della Sua Vita e della Sua Missione,
lo hai cercato Maestro tra la folla,
lo hai assistito, innalzato da terra,
consumato per il Sacrificio Unico Eterno,
e avevi Giovanni vicino,
accogli fin dall' inizio i chiamati,
proteggi la loro crescita,
accompagna nella vita e nel ministero i Tuoi figli, " Madre dei Sacerdoti".  Amen
(San Giovanni Paolo II)
 



 
 

sabato 11 giugno 2016

Due San Getulio?




Oggi il TG3 Regione dava la notizia della processione di San Getulio Martire a Gambolò in Lomellina.

La cosa mi ha incuriosito e sono andato a cercare, su libri e sul web.

Libri e web dicono che: “È il santo patrono di Gambolò, comune della provincia di Pavia, dal 1672. Una parte delle reliquie del santo si trovano a Roma, sotto l'altare maggiore della chiesa di Sant'Angelo in Pescheria”.

Però la notizia non quadra, perché sulle reliquie di San Getulio si legge altrove:

“I resti del Santo si trovano oggi a Roma, all’altare maggiore della chiesa di Sant’Angelo in Pescheria. Le reliquie di San Getulio, insieme a quelle di Santa Sinforosa ed i 7 figli, furono rinvenute proprio a Sant’Angelo in Pescheria da Pio IV (1560-1565) che le fece esporre alla venerazione dei fedeli in una urna di vetro.

Nel 1584 parte delle loro reliquie, tra queste il capo di Getulio, furono donate da Gregorio XIII ai Gesuiti, oggi sono in una cappella presso Villa d’Este. Altre vennero portate nei collegi gesuiti dell’India e della Spagna (25 giugno 1572), altre ancora in alcune chiese di Roma. Per frenare questa emorragia, il 26 settembre 1587 il governatore di Roma Mariano Perbenedetti le fece chiudere nel sarcofago di marmo, oggi posto all’altare maggiore. Nello stesso sarcofago vennero collocati anche i resti dei santi Ciro e Giovanni”.



1587 e 1672, due date che fanno venire un dubbio. Non è che San Getulio di Gambolò è un corpo santo o martire delle catacombe, e non è il martire Getulio, sposo di Sinfosoa? È solo una omonimia?

La Chiesa di Dio - che è in Milano - ha 26 nuovi presbiteri!





A Gesù con Maria

 
Madre di Cristo,

 al Messia Sacerdotale hai dato

il corpo di carne

per l' Unzione dello Spirito Santo

per la Salvezza dei poveri e contriti di cuore,

custodisci nel Tuo Cuore e nella Chiesa

i sacerdoti novelli, "Madre del Salvatore".

Madre della fede,

hai accompagnato al Tempio

il Figlio dell' uomo,

compimento delle promesse date

ai Padri, consegna al Padre

per la Sua Gloria i Sacerdoti del Figlio Tuo,
 



"Arca dell' Alleanza".

Madre della Chiesa,

tra i discepoli nel Cenacolo pregavi lo Spirito per il popolo nuovo e i Suoi Pastori,

ottieni all'ordine dei presbiteri

la pienezza dei doni, "Regina degli Apostoli".

Madre di Gesù Cristo,

eri con Lui agli inizi della Sua Vita e della Sua Missione,

lo hai cercato Maestro tra la folla,

lo hai assistito, innalzato da terra,

consumato per il Sacrificio Unico Eterno,

e avevi Giovanni vicino,

accogli fin dall' inizio i chiamati,

proteggi la loro crescita,

accompagna nella vita e nel ministero i Tuoi figli, " Madre dei Sacerdoti".  Amen

(San Giovanni Paolo II)

 
 
 
 
 

venerdì 10 giugno 2016

Due beati padovani dei Benedettini Bianchi




BEATO ANTONIO MANZONI

Oblato dei benedettini bianchi

Memoria liturgica: 30 gennaio

Padovano di origine (secolo XIII), indossato l’abito del pellegrino, si recò ancor giovane in un paese presso Bologna, e si prese cura di un sacerdote anziano e ammalato.

Quindi, visitò molti luoghi sacri: in Italia (Assisi, Loreto, Roma) e all’estero (San Giacomo di Campostella, Colonia), portandosi fino in Terra Santa.



Diede esempio non solo di carità verso i poveri, ma anche di umiltà, pazienza, mortificazione e grande spirito di preghiera. Tornato a Padova, fu accolto come «oblato» nel monastero di Santa Maria di Porciglia (oggi demolito). Morì il 30 gennaio 1267, lasciando un vivo ricordo della sua vita virtuosa. Il suo corpo ora riposa nell’altare omonimo della chiesa parrocchiale dell’Immacolata, a Padova.

 

BEATO COMPAGNO ONGARELLO

Abate

Memoria liturgica (non presente)

Benedettino nel monastero dei benedettini bianchi di Santa Maria di Porciglia a Padova, pare di nome Compagno, e pare appartenete alla nobile famiglia padovana degli Ongarello.



Primo abate di Santa Maria di Porciglia, fondata nel 1219. Un monastero, quello dei benedettini bianchi, doppio: maschile e femminile. Creo anche un ramo laico, di ablati, uomini e donne, che conducevano vita casta, povera e obbediente. Morì il 12 luglio 1261, dopo aver reto il monastero per oltre quarantaquattro anni. Fu sepolto nel monastero e anche da morto la sua salma seguì le vicende dalla comunità monastica come per il corpo del Beato Pellegrino (Antonio Manzoni). Dal 1864 il corpo è custodito nella parrocchia dell’Immacolata, presso l’altare di S. Antonio, ma non gode in diocesi di propria festa e ufficiatura.

* * *


La chiesa della Madonna Immacolata conosciuta anche come chiesa di Santa Maria Iconia, è un edificio religioso che si erge in borgo Portello, ora via Belzoni a Padova.

L'attuale chiesa fu principiata nel 1854 per volere di don Antonio Troilo su progetto in tardo stile neoclassico dell'architetto Tosini. Si intendeva erigere una nuova sede parrocchiale a sostituzione della chiesa di Ognissanti (che ebbe il titolo di parrocchiale a seguito delle legislazioni napoleoniche) per agevolare quei fedeli che già negli anni '30 dell'Ottocento lamentavano dell'eccessivo decentramento della chiesa di Ognissanti. Si occupò in parte lo spazio della vecchia chiesa di Santa Maria Iconia, a cui i portellati erano molto legati, dando così un senso di continuità alla nuova costruzione che fu inaugurata il 28 novembre 1864. Prima fu titolata ad Ognissanti, ma poi assunse il nome di Immacolata. Nella chiesa confluirono gli arredi e suppellettili delle chiese di Ognissanti e della Beata Elena, tra cui i corpi del Beato Ongarello e del beato Antonio Manzoni detto "il Pellegrino". Oggi la parrocchiale appartenente al vicariato della Cattedrale. È assoggetta alla parrocchia la chiesa della Beata Elena con i titolo di oratorio e la cappella dell'istituto del Sacro Cuore.

 

FONTI:

* AA. VV. - Santi e Beati della Diocesi di Padova - Gregoriana Libreria Editrice

* Grenci Damiano Marco – archivio privato agiografico e iconografico (1977 – 2016)

* sito web, mattinopadova.gelocal.it

* sito web, diocesipadova.it

* sito web, wikiipedia.it

giovedì 9 giugno 2016

Santa Procula Martire, la santa di Gannat





"Sainte Procule", in francese, martire sconosciuta, ma venerata. A Gannat, in Alvernia, è venerata da tempo remotissimo. Una santa festeggiata ben due volte l’anno: il 9 luglio, giorno della traslazione delle reliquie, e il 13 ottobre, giorno del martirio, dies natalis.


Santa sconosciuta, perché di lei si sa molto poco, senza date e senza luoghi. Difatti, vergine cristiana, data in sposa dai genitori contro il suo volere, fugge in montagna. Raggiunta dal promesso sposo, si rifiuta di ritornare, e viene decapitata. Ella quindi, prende la sua testa e si reca da un certo sacerdote Paolo, di una vicina chiesa, ai cui piedi depone il suo capo.
 
 
Una santa cefalofora, di culto locale, di cui non si hanno altre notizie.

martedì 7 giugno 2016

San Giovanni il Russo, "amico di Cristo"





Apolitkion del Santo:

"Colui che ti ha chiamato dalle regioni terrestri a quelle celesti anche dopo la tua morte conserva il tuo corpo integro, o giusto. Mentre eri condotto prigioniero in Asia, sei divenuto amico di Cristo. Ora supplicalo di salvare le anime nostre".
 
per la vita, leggi QUI

lunedì 6 giugno 2016

Il Santo assassino: Carino Pietro da Balsamo

 
 
 
 
 
                                 
Con i suoi oltre 75 mila abitanti, Cinisello Balsamo è il terzo comune della provincia di Milano dopo il capoluogo e Sesto San Giovanni. Il suo sviluppo, dovuto alla fortissima immigrazione iniziata negli anni '50 per la vicinanza con le grandi industrie milanesi e le fabbriche di Sesto, ha in effetti stravolto l’identità e le caratteristiche fisiche dei due borghi agricoli originari, Cinisello e Balsamo, poi accorpati in un unico comune nel 1928 non senza resistenze degli abitanti soprattutto di Balsamo. Il primo borgo è l’erede della Cinixellum al tempo in cui le legioni romane conquistarono la Gallia Transpadana, mentre il secondo, circa tre miglia più a sud-est, deriverebbe il suo nome Balsemum o Balxanum da un’antica famiglia nobiliare milanese del X secolo. Tra i palazzoni moderni ancora resistono alcune vecchie case a corte, tipiche dei primitivi insediamenti.
 
Non so quanti dei laboriosi abitanti di questo hinterland milanese sappiano riferire qualcosa delle lotte religiose che nel Duecento misero in subbuglio la Lombardia e la stessa Milano. Mi riferisco all’eresia dei catari (o “uomini puri”), che in alternativa alla Chiesa cattolica di quel tempo, inquinata dal potere e dalle ricchezze, professavano un messaggio di salvezza e liberazione dalla soggezione al male. Per il rigore morale che li contraddistingueva, i catari, che si consideravano la vera Chiesa di Cristo e degli apostoli, esercitavano un grande fascino su quanti erano disgustati dal clero cattolico, spesso mediocre e corrotto. Inoltre essi avevano semplificato la liturgia, ammettendo un solo sacramento: il battesimo che, impartito agli adulti in prossimità della morte, assicurava il perdono dei peccati e la salvezza eterna.
 
Quando il dilagare dell’eresia e l’emorragia di fedeli furono accompagnate da un fatto di sangue come l’uccisione, nel 1208, del legato pontificio Pietro di Castelnau, papa Innocenzo III reagì col tribunale dell’Inquisizione e promuovendo la crociata che avrebbe segnato l’annientamento del catarismo prima in Lombardia e poi in tutta Europa (anche se non la fine delle eresie, sempre ripullulanti, magari con nomi diversi, a causa della incoerenza evangelica dei cristiani). Grande nemico dei catari fu il podestà di Milano Oldrado da Tresseno, intimo amico dell’inquisitore per la Lombardia Pietro da Verona. Uno dei motivi di rinnovata persecuzione nei riguardi dei catari fu appunto l’uccisione efferata di quest’ultimo, uomo integerrimo stimato da papa Innocenzo IV, nato da famiglia catara ma poi entrato a far parte dell’Ordine dei Frati Predicatori (i domenicani).
 
A questo punto verrebbe da chiedersi: cosa c’entra Cinisello Balsamo? Centra, perché alcuni potenti partigiani dei catari, che avevano deciso la soppressione dello scomodo frate, avevano assoldato come killer un tal Carino originario proprio di Balsamo. Per Pietro, di ritorno da Como a Milano insieme a un confratello, l’agguato era stato preparato nella foresta di Barlassina. Inizialmente Carino aveva con sé un complice, venuto poi meno al suo compito all’ultimo momento. Fu quindi costretto a consumare da solo il delitto: armato di un falcastro, una specie di lunga roncola da contadino, assalì i due religiosi, colpendo più volte Pietro e ferendo l’altro. La tradizione dice che in punto di morte la sua vittima intinse un dito nel sangue e scrisse per terra: «Credo». Era il sabato in albis del 3 aprile 1252.
 
Carino non la fece franca: fu raggiunto e imprigionato, ma riuscì ben presto a evadere. In fuga verso il Sud senza amici e denaro, attraversò tutta l’Emilia  Romagna. Ma a Forlì, gravemente ammalato e roso dal rimorso, dovette ricoverarsi nell’ospedale di San Sebastiano, frequentato dai domenicani del vicino convento. Ormai in fin di vita, confessò il suo delitto al priore, che credette al suo pentimento e gli diede piena assoluzione. Non solo: concesse a Carino, dopo una sorprendente guarigione, di essere affiliato al convento in qualità di penitente. Del resto anche altri due famosi catari del tempo, dopo la conversione, avevano vestito l’abito di san Domenico. Nei successivi quarant’anni Carino si prestò ai servizi più umili, non sappiamo se come semplice penitente o reale fratello converso dell’Ordine. Ironia della sorte: nei suoi lavori di giardinaggio adoperava una roncola simile a quella usata per l’omicidio. Si narra che fino all’anno della morte, il 1293, condusse una vita esemplare.
 
Quando iniziò a prendere piede il suo culto, dalla chiesa del convento le spoglie di lui vennero traslate nel duomo di Forlì. Nell’era moderna furono in parte restituite alla nativa Balsamo, e nel 1964 qui definitivamente riunite nella chiesa parrocchiale di San Martino. A Seveso invece, non lontano da Cinisello Balsamo, sorge il santuario con le venerate reliquie di san Pietro da Verona. In una teca dell’altare si conserva il falcastro utilizzato dal suo uccisore.
 
 
 
 
La figura del beato Carino da Balsamo ricorda per certi versi quella, secoli dopo, dell’assassino di santa Maria Goretti, Alessandro Serenelli, che in seguito al perdono ricevuto da lei in punto di morte si convertì e, dopo 27 anni di carcere, visse come giardiniere e portinaio in un convento di frati cappuccini delle Marche.
Tutta la vicenda è minutamente ricostruita nel bel libro di Marco Bulgarelli Il santo assassino, edito dalla San Paolo.  Scrive nella prefazione il card. Angelo Scola, arcivescovo di Milano: «Il miracolo della conversione che genera comunione rende possibile che, a pochi chilometri di distanza, oggi siano venerati sia l’ucciso che il suo assassino, diventati “uno” in Colui che è il Volto stesso della misericordia».
 
 
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