venerdì 14 dicembre 2012

San Giovanni della Croce

Venerdì della II settimana di Avvento






«A chi posso paragonare questa generazione?». (Mt 11)

La generazione a cui riferisce Gesù è quella di sempre. Ieri come oggi.
In ogni tempo c’è sempre un malcontento per quello che è passato.
C’è sempre una nostalgia idealizzata di ciò che si è vissuto.
Spesso quanta sofferenza vivono i sacerdoti a causa dei fedeli che hanno la nostalgia del passato.
E magari quando quel passato era presente si lamentavano ugualmente.

Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto!” (Mt 11)

Voglia sempre quello che non c’è!
Oggi nevica vogliamo l’estate. Arriva la calura di agosto e voglio la neve di dicembre, siamo sempre incapaci di accogliere il presente come la possibilità che abbiamo.

“È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: “È indemoniato”. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: “Ecco, è un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori” (Mt 11)

Giudichiamo con i paraocchi: Giovanni non era solo colui che faceva penitenza, ma era anche colui che invita ad accogliere il Figlio dell’uomo che stava arrivando, eppure l’hanno giudicato come un folle (“è indemoniato”); Gesù era il Figlio dell’uomo eppure lo hanno giudicato come poco di buono perché “mangia e beve”.
Così facciamo con i sacerdoti: se mangia è un ciccione; se non mangia è un mal mostoso.
Non abbiamo mai criteri sapienti: che sappiano vedere oltre la possibiletà che ci è data.

“Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie” (Mt 11)

Eppure il bene che si nascondeva in Gesù e in Giovanni si è rivelato: chi l’ha voluto incontrare, senza anteporre un pregiudizio, ha conosciuto la salvezza che si rilevava in quell’incontro.

Siamo così richiamati a non cercare quello che non c’è!
Siamo richiamati a vivere il tempo che ci è dato come tempo di salvezza!

Facciamo guidare dal Signore, come abbiamo ascoltato nella prima lettura:
“Io sono il Signore tuo Dio che ti insegno per il tuo bene, che ti guido per la strada su cui devi andare” (Is 48)

Giovanni della Croce, che oggi ricordiamo, in questo venerdì della II settimana di Avvento, ebbe a subisse dolorose incomprensioni da parte dei confratelli di Ordine e di Riforma a causa della sua vocazione e del suo ruolo profetico nella Chiesa del XVI secolo.

Giovanni (nato a Fontiveros, Spagna, nel 1542 – morto a Ubeda, Spagna, il 14 dicembre 1591: cioè 421 anni fa) è fra i grandi maestri e testimoni dell’esperienza mistica del secolo d’oro della Chiesa di Spagna.
Entrato nel Carmelo con il nome di Fra Giovanni di San Mattia, ebbe un’accurata formazione umanistica e teologica.
Poco prima di essere ordinato sacerdote, l’incontro provvidenziale con una monaca carmelitana di nome Teresa di Gesù (Teresa d’Avila), di quasi trent’anni più anziana di lui.
Teresa espose a Giovanni il proprio progetto di riforma. Giovanni accettò.

Nel 1568, Teresa finalmente riuscì a fondare il primo convento maschile, a Duruelo, presso Avila. Giovanni (che da questo momento si chiamerà Giovanni della Croce) iniziava così una forma di vita religiosa, condividendo con Teresa l’ideale di riforma della vita carmelitana. Anzi fu lei stessa a cucirgli il primo saio di lana grezza. Nascevano così i Carmelitani Scalzi.

Tutto questo, che oggi è dono di Dio, fu visto all’epoca come follia e opera diabolica.
Ma come dice il Vangelo di oggi:
“Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie” (Mt 11)

Bisognerebbe qui spiegare tutta l’opera riformatrice di Teresa d’Avila, ma possiamo dire che se Teresa (che aveva protettori molto in alto, addirittura il re Filippo II) non venne toccata, la cattiveria umana si scatenò contro il povero Giovanni.

Per ordine superiore, sotto l’accusa di essere un frate ribelle e disobbediente, fu arrestato e incarcerato in un convento a Toledo. Gli lasciarono in mano solo il breviario. Fu maltrattato, umiliato e segregato in un’angusta prigione, con poca luce e molto freddo. Nove mesi di prigione: a pane e acqua (e qualche sardina), con una sola tonaca che gli marciva addosso, con il supplemento di sofferenza (flagellazione) ogni venerdì nel refettorio davanti a tutti.
Divorato dalla fame e dai pidocchi, consumato dalla febbre e dalla debolezza, dimenticato da tutti.

Ma non dimenticato da Teresa – che protestava con chi di dovere - e lo stesso Signore era misticamente con lui.
Alla vigilia dell’Assunta del 1578, fuggì coraggiosamente dal carcere, rischiando seriamente la vita, qualora fosse stato preso.
Le sofferenze inaudite di 9 mesi di carcere non furono vane. Infatti, due anni dopo, i Carmelitani Scalzi ottennero il riconoscimento da Roma, che significava autonomia.

“Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie” (Mt 11)

Giovanni della Croce era finalmente libero di espletare il suo ministero con tutte le sue qualità di cui era dotato, influendo positivamente tutti.

Dopo il suo cammino di croce, abbracciato per puro amore, ebbe le più alte illuminazioni mistiche di cui è cantore e dottore nelle sue opere: «La salita al monte Carmelo», «La notte oscura dell’anima», «Il cantico spirituale» e «La fiamma viva di amore».

Giovanni della Croce consumato nell’amore per Dio e per la Chiesa, arrivo a vederlo faccia a faccia 14 dicembre 1591 in Andalusia, a Ubeda.

Fu canonizzato da Benedetto XIII nel 1726, dichiarato dottore della Chiesa da Pio XI nel 1926, e Giovanni Paolo Il nel 1993 lo ha nominato patrono dei poeti in lingua spagnola.

Concludo. Ad una monaca che gli aveva scritto accennando alle difficoltà che egli aveva sofferto rispose:
“Non pensi ad altro se non che tutto è disposto da Dio. E dove non c’è amore, metta amore e ne riceverà amore”.
Un consiglio decisamente valido ancora oggi, per tutti.