lunedì 30 novembre 2015

Santi Martiri del Messico (+ XX secolo)

 
 
 
 
CRISTIADA - TRAMA
Cristiada (noto anche come For Greater Glory) è un film storico diretto da Dean Wright, scritto da Michael James Love e basato sulla Guerra Cristera (o Cristiada, da cui il titolo) (1926 - 1929). Il film è stato distribuito nelle sale italiane dal 15 ottobre 2014. Distruito in Italia, con coraggio e lungimiranza culturale, da Dominus Production.
Il film è aperto dai titoli che descrivono gli articoli anticlericali presenti nella Costituzione del Messico del 1917. Quando il neoeletto presidente messicano, Plutarco Elías Calles (Rubén Blades), avvia una violenta e implacabile repressione contro la fede cattolica, nel paese scoppia una guerra civile (indicata successivamente come guerra Cristera). Le chiese sono date alle fiamme, si verificano omicidi di preti e contadini, i cui corpi vengono poi appesi ai pali del telegrafo quale monito.
La storia si sposta allora su Padre Christopher (Peter O'Toole), prete cattolico spietatamente ucciso dai Federales. Il tredicenne José Luis Sanchez (Mauricio Kuri), testimone del delitto, si unisce ai ribelli, i Cristeros, guidati dal generale in pensione Enrique Gorostieta Velarde (Andy Garcia), ateo, che prende il ragazzo come suo protetto. Catturato durante uno scontro con i Federales, José è sottoposto a tortura. Il ragazzo, però, non rinuncia alla sua fede e per questo è messo a morte. L'anno seguente anche il generale Gorostieta muore in battaglia, nello stato di Jalisco.
Nel 1929, accordi tra le due fazioni pongono fine ai combattimenti e viene ristabilita la libertà religiosa. Papa Benedetto XVI ha beatificato José nel 2005, con altri dodici martiri tra i Cristeros.


 
MARTIRI TRA I CRISTEROS
Nel corso del Novecento, dolorosamente percorso da immani tragedie conseguenza soprattutto del clima ideologico segnato dall'odio anticristiano, si è verificato anche un episodio ancor oggi poco conosciuto di martirio. Si trattò di una tremenda persecuzione, che si trascinò poi ancora per moltissimo tempo dopo il triennio cruento (1926-1929), lasciando effetti duraturi sulla struttura politica e sociale del Messico, determinando in maniera irreversibile il destino forse anche dell'intero sub-continente latino-americano. Fu un conflitto scatenato contro una società contadina, tradizionale, cattolica, un'aggressione perpetrata da uno Stato autoritario uscito da un processo rivoluzionario. Sarà papa Giovanni Paolo II (1978-2005) ad elevare agli onori degli altari alcuni martiri della persecuzione messicana: sacerdoti e laici, militanti delle organizzazioni cattoliche, tra cui san Manuel Morales, presidente della Lega Nazionale per la difesa della libertà religiosa. Uomini e donne che testimoniarono con coraggio la loro fede contro un governo che nella propria Costituzione affermava, tra l'altro, che «L'esistenza di qualsiasi ordine e congregazione religiosa resta proibito» (art. 5); «ogni culto è proibito fuori delle chiese, e nelle chiese il culto sarà sempre sottomesso all'ispezione dell'autorità civile» (art. 24); «le chiese sono proprietà dello Stato. Tutte le associazioni religiose sono incapaci di acquistare, possedere o amministrare beni immobili».
L'epopea della Cristiada annovera come suoi protomartiri Joaquim Silva e Manuel Melgarejo, il primo di 27 anni, il secondo di soli 17, entrambi militanti della Gioventù cattolica. Dopo il provvedimento della sospensione del culto pubblico voluto dai vescovi messicani per protestare contro le misure del governo, Silva aveva cominciato, insieme all'amico, a percorrere il paese e a tenere conferenze nelle quali, grazie ad una solida cultura, una fede appassionata e una concezione della vita come milizia, sapeva accendere gli animi dell'uditorio e spronarlo alla lotta. Domenica 12 settembre 1925, mentre si dirigevano in treno a Zamora per tenervi uno di questi incontri, vennero arrestati e condannati a morte senza nemmeno un processo. Inutilmente Silva chiese che almeno l'amico minorenne fosse risparmiato. Entrambi furono condotti al muro, dove i soldati non riuscirono a strappare dalle loro mani le corone del Rosario. Di fronte al plotone d'esecuzione Joaquim Silva tenne un discorso talmente toccante per sentimenti religiosi e patriottici, che gli stessi soldati ne furono commossi. Uno di essi si rifiutò di prender parte all'esecuzione, così che venne a sua volta arrestato e passato per le armi il giorno seguente. Joaquim disse con fermezza al comandante: «Non siamo dei criminali, né abbiamo paura della morte. lo stesso vi darò il segnale di sparare, quando griderò viva Cristo Re, viva la Vergine di Guadalupe». Così avvenne: al grido di battaglia e di vittoria lanciato dai due giovani partì la scarica di fucileria che li abbatté.
I corpi dei due eroi furono esposti più tardi nel cimitero: stringevano ancora tra le mani i rosari, e furono rivestiti di bianche vesti, dopo che i loro abiti insanguinati erano stati divisi in frammenti, come reliquie, tra i fedeli del paese. Tra i martiri si poterono annoverare anche amministratori pubblici, come Luis Navarro Origel, il sindaco terziario francescano della città di Peniamo, fondatore nella sua regione dell'Ordine dei Cavalieri di Colombo, di società di mutuo soccorso, casse rurali, sezioni della Gioventù Cattolica, circoli culturali, scuole di catechismo, propagatore instancabile dell'adorazione eucaristica notturna. Dopo quattro anni di amministrazione corretta e vantaggiosa per la popolazione, venne destituito di forza dal governo, prima di essere assassinato. Un'altra figura commovente della persecuzione fu Tomàs de la Mora, di Colima, un ragazzo di soli sedici anni, uno dei più attivi membri del locale Circolo Cattolico, che svolgeva l'attività di catechista tra i bambini più poveri. Il 15 agosto 1927 fu arrestato per il semplice motivo che portava uno scapolare, ossia un pezzo di stoffa con una immagine sacra, simbolo di una confraternita religiosa. Il comandante della caserma gli domandò se avesse rapporti con "i fanatici", ovvero preti, frati, cattolici e briganti. «Non fanatici – rispose il ragazzo – ma liberatori della Chiesa e della Patria dai tiranni». Tomàs fu allora frustato, affinché fornisse informazioni sui ribelli, ma fu tutto inutile. Il comandante ordinò allora che venisse impiccato all'Albero della libertà che era stato eretto, cupo retaggio della Rivoluzione Francese, nella piazza principale della città.
Un esempio di eroismo femminile è quello di Eleonora Garduno, arrestata per complicità coi ribelli. Interrogata dal generale Ortiz, uno dei principali collaboratori di Calles, che aveva per motto "Il mio dio è il diavolo", la cui figura portava tatuata sul petto, ricevette dal militare l'offerta della scarcerazione, in cambio di una docile collaborazione. La ragazza rispose: «Lei mi chiede una cosa impossibile: io continuerò a lavorare finché questo governo cadrà». Anche lei finì davanti al plotone d'esecuzione.
Quando portarono alla moglie dell'avvocato Gonzales, una delle guide dell'insurrezione, il cadavere straziato del marito, la donna chiamò vicino i figli e disse: «Guardatelo, è vostro padre. È un martire della Fede. Promettetegli che anche voi sarete degni figli e continuerete un giorno la sua opera».
Accanto a questi uomini, donne e ragazzi, occorre ricordare il tanto sangue sacerdotale versato. Furono centinaia i sacerdoti uccisi: poveri parroci di villaggio, giovani strappati dal seminario (con l'intenzione di "liberarli"!) monaci uccisi nei loro conventi. Fra di essi il più celebre è senz'altro il beato padre Miguel Augustin Pro, gesuita, di Guadalupe, assassinato a soli trentasette anni nel 1927, riconosciuto come martire dalla Chiesa il 25 settembre 1988.
Ma non solo lui. Il beato padre Elia Nieves, agostiniano: nonostante il divieto, continuò a esercitare il suo ministero, recandosi ovunque era necessario confortare, aiutare, amministrare i sacramenti. La polizia, venuta a conoscenza dei fatti, lo fece pedinare e arrestare mentre, in una soffitta, celebrava la Messa. Condannato a morte, venne condotto sul luogo dell'esecuzione. Dopo essersi inginocchiato a pregare, si rivolse ai soldati del plotone di esecuzione: «In ginocchio, figli miei. Prima di morire voglio darvi la mia benedizione». I soldati obbedirono e si inchinarono riverenti al gesto del sacerdote. Mentre padre Nieves tracciava il segno di croce, l'ufficiale che comandava il picchetto, infuriato, gli sparò al petto, uccidendolo mentre ancora benediva.
A volte gli aguzzini si divertivano a infierire sui sacerdoti senza ucciderli; venivano loro tagliate le braccia per impedire che in futuro potessero celebrare la Messa. Don Pablo Garcia subì una sorte atroce: parroco zelante, anch'egli sfidava le leggi e ogni pericolo. Volle celebrare con grande solennità la festa nazionale di Nostra Signora di Guadalupe e il 12 dicembre raccolse il suo popolo in un luogo solitario sulla montagna di S. Juan de los Lagos. Scoperto, arrestato, venne orribilmente torturato per giorni. «La morte, ma mai tradire» ripeteva il sacerdote, finché fu finito a colpi di pistola. San David Uribe, annoverato nel gruppo di martiri canonizzati da papa Giovanni Paolo II, fu strappato al suo gregge, dopo essere stato rinchiuso in un campo di concentramento. Riuscì tuttavia ad evadere e tornò alla sua parrocchia di Iguala, continuando ad esercitare, in forma clandestina, il suo ministero. Finì per essere nuovamente arrestato. Il generale governativo Castrejon propose ai parrocchiani di riscattare il sacerdote consegnando tremila pesos. Furono raccolti immediatamente, a costo anche di enormi sacrifici, ma il parroco non fu rilasciato: si pretendeva da lui un pubblico atto di apostasia e di adesione alla scismatica chiesa patriottica. Pabre Uribe rifiutò decisamente e fu allora sottoposto a lunghe torture, tra le quali il supplizio della graticola. La Domenica delle Palme del 1927 spirò dopo i terribili tormenti subiti.
Le sue ultime parole furono: «la morte piuttosto che rinnegare il Vicario di Cristo, lo amo il Papa! Viva il Papa!». Il suo corpo, gettato per strada, venne raccolto e gli fu data sepoltura con grandi onori.
Padre Christopher (San Cristobal Magallanes Jara, Sacerdote, 25 maggio) è stato canonizzato il 21 maggio 2000, mentre Josè del Rio (Beato José Sanchez Del Rio, Laico, 10 febbraio) è stato beatificato nel 2005.


 
MESSICANI MARTIRI NEL CALENDARIO LITURGICO
I martiri messicani non sono solo gloria della Chiesa messicana, ma soprattutto della Chiesa universale, perché hanno seguito le orme di Gesù morto in croce. Questi santi e beati, sono prima di tutto sacerdoti, e sono stati uccisi a causa dell'esercizio del loro ministero, coscienti delle circostanze persecutorie contro la Chiesa del Messico. Ci sono anche tre giovani entusiasti e profondamente impegnati nel lavoro pastorale del loro parroco, che hanno accompagnato nell'esercizio del ministero della Parola durante la loro vita, e nel sacrificio supremo della morte.
Non sono stati alcuni soltanto i difensori della Chiesa e della libertà, ma tutta la Nazione Messicana ha reso la testimonianza eloquente e silenziosa del suo sangue sparso per Cristo Re. La Chiesa e il mondo ha bisogno di santità, santità in tutti gli stati di vita e cioè i giovani, gli sposati, i religiosi ed i sacerdoti.
Chiediamo al Signore per l'intercessione e l'esempio di questi martiri che ci aiuti ad affrontare con più gioia e fortezza le difficoltà della nostra vita, essendo ogni giorno più convinti che possiamo essere santi, che oggi ci sono dei santi.
La Chiesa di Milano ricorda i Santi Martiri del Messico il 21 maggio.
 
FONTI:
Sito web dominusproduction.com
Sito web it.wikipedia.org
Sito web filmgarantiti.it

domenica 22 novembre 2015

Cristo Re dell'Universo - XXXIV per annum (B)






Questa solennità fu introdotta da papa Pio XI (Achille Ratti, il papa di Desio), con l’enciclica “Quas primas” dell’11 dicembre 1925, a coronamento del Giubileo che si celebrava in quell’anno.

È poco noto e, forse, un po’ dimenticato, che non appena elevato al soglio pontificio, nel 1922, papa Pio XI condannò in primo luogo esplicitamente il liberalismo “cattolico” nella sua enciclica “Ubi arcano Dei”. Egli comprese, però, che una disapprovazione in un’enciclica non sarebbe valsa a molto, visto che il popolo cristiano non leggeva i messaggi papali – visto che erano anche in latino!. Qual saggio pontefice pensò allora che il miglior modo di istruirlo fosse quello di utilizzare la liturgia. Di qui l’origine della “Quas primas”, nella quale egli dimostrava che la regalità di Cristo implicava (ed implica) necessariamente il dovere per i cattolici di fare quanto in loro potere per tendere verso l’ideale dello Stato cattolico: “Accelerare e affrettare questo ritorno [alla regalità sociale di Cristo] coll’azione e coll’opera loro, sarebbe dovere dei cattolici”. Dichiarava, quindi, di istituire la festa di Cristo Re, spiegando la sua intenzione di opporre così “un rimedio efficacissimo a quella peste, che pervade l'umana società. La peste della età nostra è il così detto laicismo, coi suoi errori e i suoi empi incentivi”.

Lo stesso Giovanni Paolo II il 22 ottobre 1978 affermava:

Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!

Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa “cosa è dentro l’uomo”. Solo lui lo sa!

Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro, nel profondo del suo animo, del suo cuore. Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra. È invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione. Permettete, quindi – vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia – permettete a Cristo di parlare all’uomo. Solo lui ha parole di vita, sì! di vita eterna.

Infine. Il Regno di Dio, in Cristo Gesù, non è un regno secondo lo schema di questo mondo.

Se lo fosse, dice Gesù, “i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato …; ma il mio regno non è di quaggiù”.

Pensiamo a tutte le volte che Gesù fugge perché vogliono farlo re secondo lo schema di questo mondo!

 Tutto questo ci fa pensare che esiste una dimensione “alta” della vita, quella secondo il Regno di Dio, che non è di quaggiù.

Come accoglierla?

Come viverla?

Come permettere a Cristo di regnare?

Lo dice lo stesso Vangelo: “Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”.

Tale festività coincide con l’ultima domenica dell’anno liturgico, con ciò vuole farci capire che Cristo Redentore è Signore della storia e del tempo, a cui tutti gli uomini e le altre creature sono soggetti. Egli è l’Alfa e l’Omega, come canta l’Apocalisse. Gesù stesso, dinanzi a Pilato, ha affermato categoricamente la sua regalità. Alla domanda di Pilato: “Allora tu sei re?”, il Redentore rispose: “Tu lo dici, io sono re”. Pio XI insegnava che Cristo è veramente Re. Egli solo, infatti, Dio e uomo – scriveva il successore Pio XII, nell’enciclica “Ad caeli Reginam” dell’11 ottobre 1954 – “in senso pieno, proprio e assoluto, … è re”.

Tutti i discepoli di Gesù sono chiamati a condividere la sua regalità, se “ascoltano la sua voce” (Gv 18,37). È veramente re colui che la verità ha reso libero (Gv 8,32).

Santi Martiri Armeni (+ 1915)



locandina del Film

La masseria delle allodole è il 18° film diretto dai fratelli Taviani, tratto dall'omonimo romanzo di Antonia Arslan. Narra le vicende di una famiglia armena dell'Anatolia all'epoca del genocidio armeno (1915). Il film è uscito nelle sale italiane nel 2007.
scena del film
 
<< La scena più commovente del film dei fratelli Taviani. La scrittrice Antonia Arslan e Alice Tachdjian Polgrossi nel suo libro "Pietre sul cuore" ci raccontano che la pratica di risparmiare ai propri bambini le sofferenze del genocidio uccidendoli in questo modo era piuttosto diffusa durante quei terribili anni.
Dal diario di Varvar, madre di Alice Tachdjian, pag.93-94: "il nostro piccolo di due mesi piangeva perché aveva fame, non c'era più latte nei seni di Hripsimé, l'erba che si mangiava lungo le strade provocava delle coliche atroci al bambino, povera creatura comunque destinato a morire di fame, di diarrea o per la spada. Per non farci scoprire dai suoi pianti, nostra madre e nostra sorella soffocarono il neonato in mezzo alle loro schiene, l'una contro l'altra, senza guardarsi. Si spense come una..."
Vittorio Taviani: Nel libro non c'era la scena delle due donne costrette a liberarsi del bambino. Abbiamo trovato gli appunti di una donna armena che raccontava queste cose. La uccidevano schiacciandolo schiena contro schiena per non guardarlo e quasi confonderlo nel ventre della madre. (Dall’intervista di Nicola Falcinella per l'Osservatorio sui Balcani 02-04-07).
TRAMA DEL FILM. È il 1915. In una cittadina della Turchia vive la benestante famiglia armena degli Avakian. Alla morte dell'anziano capofamiglia, vengono invitati alle esequie anche alcuni Turchi, tra cui il colonnello Arkan, capo della guarnigione locale, nella speranza che i passati contrasti tra Turchi e Armeni siano ormai superati, e che si possa instaurare un rapporto di rispetto reciproco tra le due comunità. I funerali sono così l'occasione per la bella armena Nunik di rivedere il suo amato, l'ufficiale turco Egon. Quest'ultimo, pur appartenendo all'organizzazione dei Giovani Turchi, non ne condivide le posizioni anti-armene, e progetta di fuggire all'estero con Nunik.
Intanto Assadur, il figlio maggiore del patriarca, che da molti anni vive a Padova e a cui il padre aveva vietato di tornare in patria, apprende che quest'ultimo ha comunque lasciato a lui la vecchia Masseria delle Allodole. Assadur decide che è venuto il momento di tornare in Anatolia e riunire di nuovo tutta la famiglia. La masseria viene così rimessa a nuovo, e inaugurata con una splendida festa, mentre Assadur inizia i preparativi per il viaggio.
Questi momenti di felicità sono però bruscamente interrotti. Le autorità turche contattano il generale Arkan, dicendogli senza mezzi termini che è arrivato il momento di sbarazzarsi degli Armeni, una volta per tutte: tutti i maschi devono essere uccisi, le donne deportate. Arkan è inorridito, ma deve obbedire agli ordini. Spera tuttavia di salvare la vita perlomeno degli Avakian, ma i suoi ordini non vengono rispettati, e una squadra di soldati turchi si presenta alla masseria, massacrando tutti gli uomini. Alla notizia della strage, Assadur vorrebbe affrettare il ritorno per aiutare gli Armeni, ma la notizia dell'ingresso in guerra dell'Italia lo fa desistere. Intanto il tentativo di fuga di Egon e Nunik è scoperto, ed Egon viene spedito al fronte contro i Russi.
Sotto la stretta sorveglianza dei soldati turchi, inizia così per le donne armene una lunga ed estenuante marcia verso il deserto. Qui le donne armene vengono maltrattate sotto le porte di Aleppo finché non verranno uccise tutte. Durante la sosta sotto le mura Nunik, la nipote del patriarca morto all'inizio del film, tenta di prostituirsi ad un soldato (Yasuf) per avere del cibo per i bambini. Quest'ultimo la riveste e le dà del cibo per nulla in cambio, quindi si crea un rapporto tra i due nel quale ci sarà la promessa del soldato che in casi estremi avrebbe dovuto uccidere Nunik per evitarle la sofferenza della tortura di cui lei aveva paura. Terrà questa promessa quando lei tenterà di scappare e verrà fermata e per non finire al rogo, verrà quindi decapitata da Yasuf. Quattro anni dopo, la guerra finisce e lui stesso denuncia se stesso per quest'atto cruento durante un processo.
* Giovani Turchi. Giovani Turchi (turco Genç Türkler o Yeni Türkler o Jön Türkler) è la denominazione con cui la storiografia fa riferimento agli appartenenti a un movimento politico della fine del XIX secolo (prima noti col nome di Giovani Ottomani) affermatosi nell'Impero ottomano, ispirato dalla mazziniana Giovine Italia, costituito allo scopo di trasformare l'Impero, allora autocratico e inefficiente, in una monarchia costituzionale, con un esercito modernamente addestrato ed equipaggiato. Ma i Giovani turchi attuarono un ordinamento amministrativo più centralistico di quello, autoritario ma inefficiente, del vecchio regime ottomano, e ottennero l'effetto di accentuare le spinte indipendentiste e di accelerare la dissoluzione della maggior parte di quanto restava della presenza turca (impero ottomano) in Europa. Inoltre i suoi dirigenti, in particolare Talat Paşa, si macchiarono delle colpe del genocidio armeno, condotto durante la prima guerra mondiale.
 
Icona (particolare) dei Santi Martiri Armeni
 
 
SANTI MARTIRI ARMENI. (1915 – 2015). Cent’anni orsono si consumava uno dei più sanguinosi eccidi dei tempi moderni che costò la vita ad un milione e mezzo di cristiani armeni. Domenica 12 aprile 2015, Papa Francesco, durante la Messa presieduta in Vaticano non ha esitato a riconoscere questo tragico evento quale un vero e proprio genocidio, che ne dicano coloro che ancora oggi si ostinano a non riconoscerlo come tale. Il 23 aprile 2015 la Chiesa Apostolica Armena ha canonizzato in massa questo milione e mezzo di uomini, donne e bambini morti a causa della loro appartenenza etnica e religiosa. Il giorno successivo, 24 aprile, a partire da quest’anno diviene così la “giornata della memoria” di queste vittime, come ha annunciato il patriarca armeno Karekin II nell’enciclica con cui ha aperto ufficialmente le celebrazioni del centenario del genocidio. Celebrazioni che si estenderanno per tutto l'anno, ha sottolineato, specificando che “ogni giorno del 2015 sarà un giorno di ricordo e di devozione al nostro popolo, un viaggio spirituale al memoriale dei nostri martiri. Nel 1915 e negli anni successivi un milione e mezzo di nostri figli e figlie ha subito la morte, la fame, la malattia; è stato deportato e costretto a camminare fino alla morte. Secoli di creatività e di obiettivi raggiunti sono stati distrutti in un istante. Migliaia di chiese e monasteri sono stati profanati e distrutti, le istituzioni nazionali e le scuole rase al suolo e demolite. I nostri tesori spirituali e culturali sono stati sradicati e cancellati”. In seguito, con il coraggio della fede e il genio che lo caratterizza, questo popolo ha potuto “risuscitare dalla morte” e tornare a brillare, come spiega il patriarca. “Riponendo la nostra speranza in Te, o Signore, il nostro popolo è stato illuminato e rafforzato. La tua luce ha acceso l'ingegno del nostro spirito. La tua forza ci ha orientati alle nostre vittorie. Abbiamo creato quando altri avevano distrutto le nostre creazioni. Abbiamo continuato a vivere quando altri ci volevano morti”. Il centenario permette di celebrare anche questa risurrezione. Anche la Chiesa Cattolica Armena ha già avviato le pratiche per la beatificazione di 43 suoi figli vittime del genocidio.
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Fonti:

* wikipedia.it
* zatik.com
* armenianchurch-ed.net


lunedì 16 novembre 2015

La "santa" di Sannicandro di Bari





 
 
Isabella Chimienti, giovane della diocesi di Bari-Bitonto, trascorse la sua esistenza nel paese natio, Sannicandro di Bari. Ragazza pia e provata dalla vita, interrompere la scuola per sostenere papà Raffaele e mamma Anna nella gestione della casa e per accudire i fratelli minori. Ebbe da subito il desiderio di entrare nella vita religiosa, iscritta nell’associazione delle Figlie di Maria, magari tra le clarisse cappuccine, ma la ostacolava a questa svolta vocazionale. Mal compresa dai suoi paesani che spesso la schernivano per il suo vestire dimesso e per la sua spiccata sensibilità religiosa. Morì all'improvviso di un male misterioso il 14 marzo 1902, secondo il sogno che quello stesso giorno aveva fatto.
 
 
 
 
Il funerale fu un trionfo e fu sepolta al cimitero di Sannicandro. La causa di canonizzazione è stata aperta il 7 novembre 1942 - secondo un santino dell'epoca il 1 gennaio 1935 - ma ad oggi la causa risulta sospesa in attesa che il Signore dia dal Cielo segni che la sua serva abbia un ruolo profetico in questo XXI secolo tanto da riavviare la causa di canonizzazione.

sabato 14 novembre 2015

Solo un requiem per chi è morto!







Che PALLE tutte ste facce su Facebook con la bandiera della Francia! Dite ai media perché non vi dicono quello che l'Europa, gli USA , la CINA ecc... combinano in AFRICA ... dovreste mettere una bandiera al giorno per gli stati devastati dalla fame e dallo sfruttamento... perché già a scrivere questo post è MORTO un bambino in Eritrea per mal nutrizione. Dobbiamo smetterla di farci pilotare nei sentimenti da tutti i media. Non ho visto nessun telegiornale e nessun programma di approfondimento giornalistico in questi due giorni! So la notizia perchè ne parlano tutti ... Ma basta... Dite all'Inghilterra perché dopo la II guerra mondiale ha creato uno stato d'Israele lì dove c'era altro... ed ora il Medioriente è un bomba di guai per tutti... Ma basta con questi piagnistei collettivi pilotati dalla politica e dall'economia. Solo un requiem per chi è morto, per il resto non mi importa di nulla! BASTA! Ora i francesi sono fratelli, ma se un italiano su due non sopporta i cugini francesi, oggi sono fratelli!!! Sentimenti pilotati!!! Continuate a fare quelli che sono iper informati, ma con informazione spazzatura, alla fine sarete incapaci di vedere la realtà nella sua complessità... oppure vedrete sotto ogni cosa una verità nascosta! BASTA! Se esiste un DIO, non c'entra con queste beghe degli uomini, sono gli uomini che lo mettono in mezzo come facevano gli antichi greci e romani. Ma è paragonabile un Gesù di Nazaret a Marte o a Giove? Certo che l'Islam è una religione inventata, Maometto aveva tutti i suoi interessi per farlo. Maometto non era Gesù di Nazaret. Fonti islamiche parlano di lui non come uno stinco di buon uomo. Ma con questo io rispetto il senso religioso di un islamico come quello di un cattolico, o di un ortodosso o di un protestante o di un ebreo. La libertà individuale è il più grande dono di Dio, forse qualcuno ancora non l'ha capito e parla solo di libertà per il suo tornaconto, quando gli serve!!
 

venerdì 13 novembre 2015

Madre santa, figlio santo?




 
 
Francesco II di Borbone, battezzato Francesco d'Assisi Maria Leopoldo (Napoli, 16 gennaio 1836Arco, 27 dicembre 1894), fu l'ultimo re delle Due Sicilie, salito al trono il 22 maggio 1859 e deposto il 13 febbraio 1861 dopo l'annessione al Regno d'Italia.
 
 
 
Maria Cristina Carlotta Giuseppa Gaetana Efisia di Savoia (Cagliari, 14 novembre 1812 – Napoli, 31 gennaio 1836) fu una principessa del regno di Sardegna per nascita, e regina delle Due Sicilie per matrimonio. Nel 2014 la Chiesa cattolica le ha riconosciuto il titolo di beata.
 
 
 
 

mercoledì 11 novembre 2015

SAN MARTINO DI TOURS






Si legge nella famosa opera di Jacopo da Varagine (Varazze):

In quello stesso giorno Sant'Ambrogio, vescovo di Milano, mentre celebrava la Messa si addormentò fra la Profezia e l'Epistola. Poiché nessuno osava svegliarlo, il Santo rimase addormentato per due o tre ore. Infine i diaconi lo scossero dicendo: "Il tempo passa e il popolo è stanco di aspettare; signor nostro comanda che il chierico legga l'Epistola". E Ambrogio: "il fratello mio Martino è morto e io ho assistito ai suoi funerali, voi mi avete impedito di recitare le ultime preghiere!".

Lo stesso S. Ambrogio di lui disse: "San Martino distrusse i templi dell'errore, innalzò i vessilli della pietà; resuscitò i morti; scacciò i demoni dai corpi degli ossessi; risanò molti infermi e tanto grande fu la sua perfezione da essere ritenuto degno di vestire Cristo nella persona di un povero...".

Da questi scritti si può capire la grandezza di questo Santo, il primo ad essere venerato come “santo” dopo l’epoca dei Martiri.

La liturgia - dalle letture traspare – è delineato il volto di San Martino: un uomo abitato dalla carità.

Egli scelto da Dio, è in mezzo agli uomini come opera della grazia del Signore.

Un uomo dalla sguardo pieno di Vangelo perché vede Gesù in ogni uomo.

Celebrare il suo ricordo significa chiedere al Signore la grazia di essere sempre rivestiti di carità, come il mantello di Martino rivesti il povero, così la grazia di Dio rivesta in noi le nostre povertà umane perché tutto in noi sia carità.

Infine. L’esperienza mistica di S. Ambrogio, partecipe alle esequie del suo amico, ci riporta al fatto che anche noi oggi qui stiamo ricordando i nostri cari defunti.

Il ricordo che possiamo vivere per dei nostri defunti è pregare per loro.

Noi cristiani abbiamo uno stile nuovo nel rapportarci con la morte e con i defunti.

Non le loro ceneri in casa, non eccesso di fiori alle loro esequie, non schiamazzi e applausi ai loro funerali: ma preghiera!

Essi si sono addormentati ed attendono la resurrezione della carne. Sappiamo che la morte non è la fine per una vita che ha cercato di vivere rivestita di carità.

La nostra preghiera, il celebrare l’Eucaristia è la carità che possiamo fare ai nostri cari defunti in attesa della venuta del Figlio dell’uomo che verrà nella sua gloria. Amen.

lunedì 9 novembre 2015

DEDICAZIONE DELLA BASILICA LATERANENSE




Quando l’imperatore romano Costantino si convertì alla religione cristiana, verso il 312, donò al papa Milziade il palazzo del Laterano, che egli aveva fatto costruire sul Celio per sua moglie Fausta. Verso il 320, vi aggiunse una chiesa, la chiesa del Laterano, la prima, per data e per dignità, di tutte le chiese d’Occidente. Essa è ritenuta madre di tutte le chiese dell’Urbe e dell’Orbe.

Consacrata dal papa Silvestro il 9 novembre 324, col nome di basilica del Santo Salvatore, essa fu la prima chiesa in assoluto ad essere pubblicamente consacrata. Nel corso del XII secolo, per via del suo battistero, che è il più antico di Roma, fu dedicata a san Giovanni Battista; donde la sua corrente denominazione di basilica di San Giovanni in Laterano.

Scrive San Paolo: voi siete edificio di Dio

Noi siamo l’edificio che il Signore ha posto in mezzo agli uomini: il popolo di Dio, che è raffigurato in questo edificio che oggi celebriamo.

Ciascuno stia attento a come costruisce: l’edificio è edificato secondo l’unico architetto, che è Dio. Nessuno può sostituirsi a Lui. Dio guida gli uomini ad edificare la sua Chiesa nella potenza dello Spirito Santo.

Lo Spirito che custodisce la sua Chiesa e la rende bella nella santità dei suoi figli: in parole, in opere e con una vita secondo lo Spirito di Cristo.

Noi dobbiamo avere la consapevolezza che la Chiesa è di Cristo e che il Signore è vincitore: Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere».

Mi viene in mente il discorso che ha fatto Padre Livio sugli ultimi scandali che hanno sconvolto la Chiesa di Dio. Parole fuori luogo, troppo mondane e non da discepoli di Gesù che credono nella sua vittoria.

Concludo con le parole del Papa dell’Angelus dell’8\11\2015:

Cari fratelli e sorelle,

So che molti di voi sono stati turbati dalle notizie circolate nei giorni scorsi a proposito di documenti riservati della Santa Sede che sono stati sottratti e pubblicati.

Per questo vorrei dirvi anzitutto che rubare quei documenti è un reato. E’ un atto deplorevole che non aiuta. Io stesso avevo chiesto di fare quello studio, e quei documenti io e i miei collaboratori già li conoscevamo bene, e sono state prese delle misure che hanno incominciato a dare dei frutti, anche alcuni visibili.

Perciò voglio assicurarvi che questo triste fatto non mi distoglie certamente dal lavoro di riforma che stiamo portando avanti con i miei collaboratori e con il sostegno di tutti voi. Sì, con il sostegno di tutta la Chiesa, perché la Chiesa si rinnova con la preghiera e con la santità quotidiana di ogni battezzato.

Quindi vi ringrazio e vi chiedo di continuare a pregare per il Papa e per la Chiesa, senza lasciarvi turbare ma andando avanti con fiducia e speranza.

Amen.