mercoledì 25 febbraio 2015

"Il Signore come martiri li accolga"




“Sgozzati per il solo motivo di essere cristiani (…) Il Signore come martiri li accolga”.
(papa Francesco)
Agnelli condotti al macello, tutti rivestiti della tuta arancio squillante, il macabro abito sacrificale che il mondo ha imparato a conoscere. Avanzano in fila indiana sulla spiaggia, tenuti per il collo dagli aguzzini senza volto in tuta nera. Poi la marcia finisce nel punto in cui lo spettacolo della morte deve avere inizio, sullo sfondo da cartolina del Mediterraneo.
 
Set di morte
Chi guarda vede adesso uomini messi in ginocchio, la testa china, le labbra che si muovono nell’unica invocazione che può attenuare la paura e che diventa un atto di fede, di coraggio e di dignità senza misura. Quello che chi guarda non vede, ma non è difficile immaginare dalle inquadrature, è il raggelante dispiego di mezzi predisposto dalla regia. Movimenti di macchina, dolly, panoramiche frontali e dall’alto per riprendere in totale e in dettaglio, con la giusta luce e i giusti tempi della narrazione televisiva, lo sgozzamento a sangue freddo di 21 persone sulla riva del mare.
 
Erano solo cristiani
Questo, e purtroppo anche il resto, ha visto chi ha voluto guardare quei 4 crudeli minuti del video messo in rete. Una scena che ha colpito al cuore Papa Francesco, il quale – come promesso ieri – ha aperto la Messa del mattino con un nuovo pensiero per le vittime della ferocia jihadista:
“Offriamo questa Messa per i nostri 21 fratelli copti, sgozzati per il solo motivo di essere cristiani. Preghiamo per loro, che il Signore come martiri li accolga, per le loro famiglie, per il mio fratello Tawadros, che soffre tanto”.
 
La chiesa dei martiri egiziani
Tawadros II è il Patriarca della Chiesa Copta Ortodossa che ieri ha ricevuto la commossa telefonata di Francesco, ma anche la visita del presidente al-Sisi e di numerose altre personalità, fra cui l’incaricato d’affari della nunziatura vaticana. E se il Papa è e resta profondamente ferito da questo fatto di sangue, l’Egitto è sotto choc. Il governo ha stabilito il lutto nazionale per sette giorni. Il presidente al-Sisi ha disposto che lo Stato costruisca una chiesa dedicata ai martiri della Libia nella città di Minya, da dove provenivano gran parte dei copti decapitati.
 
Sussurrando il nome di Gesù
Ma sulle tante parole di dolore, che in tanti casi cercano sfogo nella vendetta, in queste ore, una su tutte – quella del vescovo copto cattolico di Giuzeh, Anba Antonios Aziz Mina – mostra una grande sintonia con Papa Francesco mentre si sofferma con grande rispetto sul sacrificio dei 21 cristiani, ripreso e lanciato all’Occidente come un sanguinoso insulto. “Il video che ritrae la loro esecuzione – riferisce il presule egiziano all’agenzia Fides – è stato costruito come un'agghiacciante messinscena cinematografica, con l'intento di spargere terrore. Eppure, in quel prodotto diabolico della finzione e dell'orrore sanguinario, si vede che alcuni dei martiri, nel momento della loro barbara esecuzione, ripetono ‘Signore Gesù Cristo’. Il nome di Gesù è stata l'ultima parola affiorata sulle loro labbra. Come nella passione dei primi martiri, si sono affidati a Colui che poco dopo li avrebbe accolti. E così hanno celebrato la loro vittoria, la vittoria che nessun carnefice potrà loro togliere. Quel nome sussurrato nell'ultimo istante è stato come il sigillo del loro martirio”.
“Sii per me difesa, o Dio, rocca e fortezza che mi salva, perché tu sei mio baluardo e mio rifugio; guidami per amore del tuo nome”.
 
 
I 21 cristiani copti uccisi dall'Isis saranno inseriti nel Sinassario, l’equivalente orientale del martirologio romano, una procedura che equivale alla canonizzazione nella Chiesa latina. Il martirio di questi 21 fedeli verrà commemorato l'8 di Amshir del calendario copto - il 15 febbraio del calendario gregoriano, che è anche la festa della Presentazione di Gesù al tempio.
Lo ha annunciato il patriarca della Chiesa copta ortodossa Tawadros II. I nomi dei 21 egiziani emigrati in Libia, "uccisi perché professavano la fede cristiana" come ha detto il patriarca Tawadros, sono stati inoltre pubblicati dal settimanale Watani, organo di stampa dei copti del Cairo.
Una canonizzazione che è da primato.
Cosa chiedere a questi nuovi Santi Martire della fede?
Come diceva Tertulliano, che il loro sangue sia seme di nuovi cristiani.
Che il loro sangue sia, unito a quello di Cristo, fermento di pace!
Che il loro sangue sia, unito a quello di Cristo, seme di unità tra le Chiese.
Che la testimonianza ci aiuti ad essere veri cristiani, unica vera arma per vincere la paura del fenomeno islamista.

venerdì 20 febbraio 2015

"Questo principio ..."



San Paolo della Croce
"il mistico del Crocifisso"





Nella croce il santo amore
perfeziona l'alma amante,
quando fervida e costante
gli consacra tutto il cuore.
Oh, se io potessi dire
qual tesoro alto e divino
che il Dio Uno e Trino
ha riposto nel patire...
Ma perché è un grande arcano
all'amante sol scoperto,
io, che non sono esperto,
sol l'ammiro da lontano.
Fortunato è quel cuore,
che sta in Croce abbandonato,
nelle braccia dell'Amato,
brucia sol di santo Amore;
ancor più è avventurato
chi nel nudo suo patire,
senza ombra di gioire
sta in Croce trasformato.
Oh felice chi patisce
senza attacco al suo patire,
ma sol vuol a sé morire,
per più amar chi lo ferisce.
Io ti do questa lezione
della Croce di Gesù;
ma l'imparerai tu più
nella santa orazione. Amen 
 
(S. Paolo della Croce, Lett. I, 31 agosto 1743, 301)

giovedì 19 febbraio 2015

La Quaresima .... un ritorno!




«Se qualcuno vuol venire dietro a me,
rinneghi se stesso,
prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Luca 9,23).
La Quaresima, un ritorno!




"Trovare un senso alle parole
per capire in questo mondo
come vivere, lottare senza perdersi
immagina di noi l'inverosimile
un posto surreale dove vivere e poi perdersi
immagine che niente possa ucciderci
parlami di te
come non fossi stati mai
lontano e ritornerò da te ..."




Francesco d'Assisi è reso folle dall'amore, grida a Dio perché gli arrivi una risposta. L'Altissimo risponde attraverso il segno più grande che gli poteva essere dato, quello dell'Amore, con il segno delle stimmate.
Un segno esteriore, ma con una letizia interiore, tanto grande quanto il suo grido di dolore iniziale.


Signore, parlami di te!
Rispondi al grido di ogni uomo,
perché possa dire
"Deus mihi dixit"
Signore, parlami di te!
"per capire in questo mondo
come vivere, lottare senza perdersi".
Signore,
"parlami di te
come non fossi stati mai
lontano e ritornerò da te",
sarò in te e Tu in me.
Amen.




domenica 15 febbraio 2015

Il Martire Felice di Roma in San Giovanni Gemini

 
 

 
  
* * *

La vita cristiana è segnata dal dono della Spirito Santo il quale, parlando in noi, ci fa riconoscere Dio come Padre. Lo Spirito di Gesù è il dono che se accolto dalla nostra libertà, legandoci a Cristo, ci lega al suo destino: la santità. Infatti dice la preghiera Eucaristica III: "Padre santo fonte di ogni santità", è il Padre che in Cristo per opera dello Spirito, accolto dalla nostra libertà, ci santifica. Così ognuno di noi potrà dire come l’apostolo Paolo: «Per la grazia di Dio sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana».
Lo Spirito Santo, la grazia di Dio, è concesso a tutti, è dono gratuito di Dio, è dono uguale per tutti, perché è uno e indivisibile. Ciò che crea diversità è soltanto causato dalla risposta della libertà di ciascuno. È qui solo che c’è differenza tra noi tutti e i Santi.

La Chiesa, secondo la sua Tradizione, venera i Santi e tiene in onore le loro Reliquie e le loro immagini; nelle feste dei Santi proclama le meraviglie di Cristo nei suoi Servi e propone ai fedeli esempi da imitare.

I primi Santi venerati nella Chiesa sono i Martiri (= testimoni): quegli uomini e quelle donne che sparsero il loro sangue per restare fedeli a Cristo che per tutti aveva sacrificato la sua vita sulla croce. «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici».
Gesù aveva preannunciato le persecuzioni per i suoi discepoli: «Io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi... Sarete condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia, per dare testimonianza a loro ed ai pagani. E quando sarete consegnati nelle loro mani, non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire: non siete, infatti, voi a parlare, ma lo Spirito del Padre che parla per voi».

La storia della Chiesa, di tutti i tempi e di tutti i luoghi, dall’età apostolica ai giorni nostri, è stata segnata dalla testimonianza di innumerevoli cristiani che sono stati arrestati, torturati ed uccisi in odio a Cristo. Il martirio è sempre stato ritenuto dai cristiani un dono, una grazia, un privilegio, la pienezza del Battesimo, perché si è «battezzati nelle morte di Cristo». Il Concilio Vaticano II così insegna: « Già fin dai primi tempi quindi, alcuni cristiani sono stati chiamati, e altri lo saranno sempre, a rendere questa massima testimonianza d'amore davanti agli uomini, e specialmente davanti ai persecutori. Perciò il martirio, col quale il discepolo è reso simile al suo maestro che liberamente accetta la morte per la salute del mondo, e col quale diventa simile a lui nella effusione del sangue, è stimato dalla Chiesa come dono insigne e suprema prova di carità. Ché se a pochi è concesso, tutti però devono essere pronti a confessare Cristo davanti agli uomini e a seguirlo sulla via della croce durante le persecuzioni, che non mancano mai alla Chiesa. » (LG 42).
 
 
* * *

La venerazione del Martire Felice risale al momento in cui la Curia Romane ordina l'estrazione delle sacre ossa da una catacomba (di cui non abbiamo documento in nostro possesso non potendo ottenere documentazione da S. Giovanni Gemini).
 
È il periodo storico culla del culto delle reliquie estratte dalle catacombe romane: un po’ per riscoperta in quel percorso di rivalutazione della storia e un po’ in risposta al dilagare delle correnti protestanti che negavano il culto dei santi e delle loro autentiche reliquie.
Queste cosiddetti “corpi santi” o martiri delle catacombe, furono prelevate e inviate in dono e per devozione un po’ dappertutto in Europa e nel Nuovo Mondo.
Promotori di questi “sacri viaggi” erano ecclesiastici, dignitari pontifici, semplici sacerdoti o religiosi, oppure anche nobili signori che operavano il trasferimento del sacro deposito presso le loro zone d’origine o di possedimento, dando così inizio a devozioni locali molto forti verso il Martire delle reliquie.
In alcuni casi la storia personale del santo martire, perlopiù inesistente o non provata o leggendaria, veniva compilata da sacerdoti scrittori, a volte con molta fantasia, a volte facendo diventare il santo martire originario del luogo oppure vista l’omonimia con un altro Martire del “Martyrologium Romanum” componevano il mosaico: noi abbiamo le ossa e il Martirologio ha i dati storici.
Questo però creo confusione e spesso moltiplico i corpi di Martiri, oppure ne diede uno a quel Martire di cui non c’era il corpo.
 
Di San Felice di San Giovanni Gemini sappiamo solo che è un martire romano, le cui sacre reliquie sono venerate nella Chiesa Madre di San Giovanni Battista.
 
Il santino fa parte della serie MG.
 
Di Martiri simili a San Felice, ma con un culto molto intenso, in Sicilia abbiamo Santa Fortunata di Bacina e San Vincenzo di Acate.
 
Altro esempio è Santa Candida di Milazzo.
 
Concludiamo con una preghiera ai Santi Martiri:

O beati martiri,
o grappoli umani della vite di Dio,
il vostro vino inebria la Chiesa;
luci gloriose e divine,
che avete accettato con gioia tutti i tormenti
e vinto gli iniqui carnefici;
gloria alla potenza che vi ha assistito
quando combatteste!
Il Dio venuto per la nostra salvezza
abbia pietà di noi.


(Rabbula di Edessa, Inni)
 

venerdì 13 febbraio 2015

Uno «spirito nuovo» per l'incontro tra le due Chiese ...





Un articolo di padre Pani su «La Civiltà Cattolica» rilancia le parole pronunciate da Francesco davanti al patriarca Bartolomeo a Istanbul: uno «spirito nuovo» per l'incontro tra le due Chiese

ANDREA TORNIELLI Città del Vaticano
 
 
 
Le parole pronunciate da Papa Francesco lo scorso novembre a Istanbul, in presenza del patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo rilanciano l'approccio che si ebbe nel concilio di Firenze, «un modo nuovo e originale per giungere alla piena unità fra le Chiese».  Lo afferma l'ultimo numero de «La Civiltà Cattolica», l'autorevole rivista dei gesuiti le cui bozze sono vagliate dalla Segreteria di Stato vaticana, in un articolo a firma di padre Giancarlo Pani intitolato «Per giungere alla piena unità».
 
 
«La Civiltà Cattolica» ricorda che nella Divina Liturgia a Istanbul Francesco ha formulato una proposta di unione destinata ad avere un peso nei rapporti ecumenici con l’ortodossia. La Chiesa cattolica, «per giungere alla meta sospirata della piena unità... non intende imporre alcuna esigenza, se non quella della professione della fede comune». Inoltre, essa è pronta «a cercare insieme, alla luce dell’insegnamento della Scrittura e dell’esperienza del primo millennio, le modalità con le quali garantire la necessaria unità della Chiesa nelle attuali circostanze». Infine termina: «L’unica cosa che la Chiesa cattolica desidera e che io ricerco come Vescovo di Roma, “la Chiesa che presiede nella carità”, è la comunione con le Chiese ortodosse».
 
 
Il Papa - fa notare l'autore dell'articolo - ha ripreso una mozione fatta diversi anni fa, nel 1982, dall’allora cardinale Joseph Ratzinger: «Roma non deve richiedere dall’Oriente, riguardo alla dottrina del primato, più di quanto è stato formulato e vissuto nel primo millennio. Quando il patriarca Athenagora..., in occasione della visita del Papa... lo ha designato come successore di san Pietro, come il più stimato tra noi, come colui che presiede nella carità, questo grande leader della chiesa stava esprimendo il contenuto ecclesiale della dottrina del primato così come era conosciuto nel primo millennio. Roma non ha bisogno di chiedere di più».
 
 
Le Chiese orientali, prima dello scisma del 1054, e dunque nel primo millennio, riconoscevano infatti il primato di Roma come la Chiesa che «presiede nella carità». Nel secondo millennio, poi, la Chiesa latina ha ampliato i poteri del Papa con una giurisdizione su tutte le Chiese cattoliche. Francesco ha anche precisato che la comunione «non significa né sottomissione l’uno dell’altro, né assorbimento, ma piuttosto accoglienza di tutti i doni che Dio ha dato a ciascuno per manifestare al mondo intero il grande mistero della salvezza realizzato da Cristo Signore per mezzo dello Spirito Santo»
 
 
Sia il Papa sia Bartolomeo hanno poi firmato una dichiarazione congiunta, in cui si esprime «la profonda gratitudine a Dio per il dono di questo nuovo incontro, che ci consente, in presenza dei membri del Santo Sinodo, del clero e dei fedeli del Patriarcato Ecumenico, di celebrare insieme la festa di Sant’Andrea... Il nostro ricordo degli Apostoli, che proclamarono la buona novella del Vangelo al mondo, attraverso la loro predicazione e la testimonianza del martirio, rafforza in noi il desiderio di continuare a camminare insieme al fine di superare, con amore e fiducia, gli ostacoli che ci dividono... Esprimiamo la nostra sincera e ferma intenzione, in obbedienza alla volontà di nostro Signore Gesù Cristo, di intensificare i nostri sforzi per la promozione della piena unità tra tutti i cristiani e soprattutto tra cattolici e ortodossi». In tal modo, fa notare «La Civiltà Cattolica», Papa Francesco ha ripreso un’antica formula di unione che era stata sancita, nel 1439, al Concilio di Firenze.
 
A Firenze il confronto più acceso aveva riguardato il problema della processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio: ex Patre per Filium, oppure ex Patre Filioque? Le due formule sono presenti sia presso i Padri orientali sia presso quelli occidentali. La polemica, piuttosto vivace, si era conclusa con un compromesso: va rispettata la libertà dei greci, che non sono tenuti a introdurre nel Credo il Filioque, ma essi devono riconoscere ai latini l’ortodossia dell’aggiunta.
 
 
Il punto più controverso rimaneva la dottrina sul primato del Papa. I greci sono disposti a riconoscere la Sede romana come la prima della pentarchia (cioè delle cinque più antiche sedi patriarcali), ma pretendevano una limitazione dei poteri del papato attraverso il riconoscimento dei diritti degli altri patriarchi: «Definiamo che la santa sede apostolica e il romano pontefice hanno il primato su tutto l’universo; che lo stesso romano pontefice è il successore del beato Pietro, principe degli apostoli, ed è autentico vicario di Cristo, capo di tutta la Chiesa, padre e dottore di tutti i cristiani; che nostro Signore Gesù Cristo ha trasmesso in lui, nella persona del beato Pietro, il pieno potere di pascere, reggere e governare la Chiesa universale, come è attestato anche negli atti dei concili ecumenici e nei sacri canoni»
 
 
«L’ultima aggiunta - scrive padre Pani - è interpretata dai latini come esplicativa, dai greci invece come restrittiva. Si stabilisce poi un ordine tra i cinque patriarchi, ma non si dice in quale relazione stiano tra loro e in che modo essi si limitino. In particolare, non si fa derivare il potere dei patriarchi dalla plenitudo potestatis di Roma, come è detto nella formula di unione del II Concilio di Lione. Per i latini, la dichiarazione sul Papa è una enunciazione dogmatica, mentre l’aggiunta finale è una venerabile tradizione. Per i greci, al contrario, il Papa viene riconosciuto come il capo della pentarchia, mentre la precisazione "come è attestato anche negli atti dei concili ecumenici e nei sacri canoni" è una reale limitazione del primato. L’opposizione dei greci all’inserimento del Filioque nel Credo deriva appunto dal principio che il Papa non possa legiferare su questioni comuni a tutti i cristiani senza consultare gli altri patriarcati».
 
 
Il 6 luglio 1439 si giunge così al decreto di unione «Laetentur caeli», che è di notevole interesse non tanto per le conseguenze storiche quanto, osserva «La Civiltà Cattolica» per i princìpi teologici sottesi. Il decreto segna l’apice del Concilio: l’ultimo e più importante tentativo di unire le due Chiese separate di Occidente e di Oriente, coinvolgendo tutti gli orientali (greci, armeni, ruteni, caldei e nestoriani). L’unificazione viene firmata, anche se poi non si concretizza perché, essendo stata opera di teologi, ha avuto vita breve: non è stata compresa e riconosciuta dal clero, dai legati greci, e soprattutto dal popolo della capitale. Al ritorno a Costantinopoli, i legati non hanno avuto nemmeno il coraggio di annunciare che l’unione era stata siglata.
 
 
«Eppure il decreto conciliare - osserva padre Pani - conserva il valore delle definizioni teologiche e dei princìpi dottrinali per quanti desiderano davvero l’unione. Di fatto ha preparato il terreno per alcune unioni ecclesiastiche nei secoli successivi, in particolare per la riunificazione con Roma della Chiesa rutena nel 1596 e di quella rumena nel 1700. Il significato dell’unione siglata a Firenze è quindi rilevante. Si tratta infatti di una riunificazione fra la Chiesa latina e quella greca sulla base di una parità e di una uguaglianza, e non di un ritorno alla "Chiesa madre"». Il Concilio infatti abbatte le separazioni con un accordo sui punti controversi, dove si riconoscono la varietà dei riti e delle formule liturgiche, la parità delle strutture ecclesiali e giurisdizionali. «L’unione perciò rappresenta un modello emblematico per la storia del cristianesimo, perché sa riconoscere il valore paritario delle due istituzioni. Si tratta, in qualche modo, di un "ecumenismo ante litteram"». Al punto che nel 1984 la Commissione congiunta Cattolica Romana ed Evangelica Luterana, commentando l’unione del Concilio di Firenze, l'ha definita «un fatto nuovo nella storia».
 
In una nota dell'articolo, che riprende un brano tratto da un colloquio internazionale sui concili, si legge: «Nell’unione realizzata al concilio di Firenze fra la Chiesa latina e quella bizantina non avvenne una fusione, giacché ogni Chiesa conservava intatta, indipendentemente dall’unità nella fede, la propria tradizione liturgica, canonica e teologica. Tale fede comune poteva esprimersi in formulazioni differenti (per esempio, riguardo alla processione dello Spirito Santo) e tollerare anche differenze disciplinari (per esempio, il passaggio a nuove nozze dei coniugi separati, tollerato anche al concilio di Trento per i greci, non per i latini). Anche se il tentativo di Firenze è fallito, gli impulsi dati da esso non sono rimasti senza risultato. Hanno determinato il fatto che la Chiesa cattolica non può più essere identificata per la sua latinità. Secondo il Concilio Vaticano II ormai vale il modello delle Chiese sorelle, un modello ispirato ai rapporti esistenti nel primo millennio» («L’unità davanti a noi», in Enchiridion Oecumenicum. I. Dialoghi internazionali 1931-1984, Bologna, Edb, 1986, 768).
 
La visita di Francesco in Turchia dello scorso novembre, secondo «La Civiltà Cattolica» ha riportato alla ribalta la formula e l’intenzione del Concilio di Firenze. Nonostante si sia concluso allora con un nulla di fatto, «il decreto Laetentur caeli ha un significato storico che è ancora attuale nell’ecumenismo: un modo nuovo e originale per giungere alla piena unità fra le Chiese».

FONTE: vaticaninsiderlastampa

martedì 10 febbraio 2015

Un 14enne martire per Cristo ...

 


beato Giuseppe Sanchez Del Rio
dal film "Cristiada"

 
Il quattordicenne messicano Giuseppe Sanchez Del Rio, visitando la tomba del beato martire Anacleto González Flores, resto edificato dalla sua testimonianza e chiese a Dio vivere e morire in difesa della fede cattolica. Morì il 10 febbraio 1928, gridando: “Viva Cristo Re! Viva la Vergine di Guadalupe!”.
 
 
beato Giuseppe Sanchez Del Rio
 
 
Il martirio del giovane Giuseppe fu riconosciuto il 22 giugno 2004 da San Giovanni Paolo II, mentre è stato beatificato il 20 novembre 2005 da S.S. papa Benedetto XVI.
 
 
beato Giuseppe Sanchez Del Rio
 
 


Cristiada ... il film è nelle sale italiane. Merita di essere visto.
Una pagina della storia della Chiesa del XX secolo.

FILM & DATE  al seguente link le date in Italia.
            

giovedì 5 febbraio 2015

Quattro martiri e un venerabile ...





- il martirio del Servo di Dio Oscar Arnolfo Romero Galdámez, Arcivescovo di San Salvador; nato il 15 agosto 1917 a Ciudad Barrios (El Salvador) e ucciso, in odio alla Fede, il 24 marzo 1980, a San Salvador (El Salvador);

- il martirio dei Servi di Dio Michele Tomaszek e Sbigneo Strzałkowski, Sacerdoti professi dell'Ordine dei Frati Minori Conventuali, nonché Alessandro Dordi, Sacerdote diocesano; uccisi, in odio alla Fede, il 9 e il 25 agosto 1991, a Pariacoto e in località Rinconada, nei pressi di Santa (Perú);

- le virtù eroiche del Servo di Dio Giovanni Bacile, Arciprete Decano di Bisacquino; nato a Bisacquino (Italia) il 12 agosto 1880 ed ivi morto il 20 agosto 1941.

martedì 3 febbraio 2015

Martedì della IV settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)

* Messa per il Presidente della Repubblica
** memoria facoltativa di San Biagio V.M.






I quattro Evangelisti sono concordi nell’attestare che la liberazione da malattie e infermità di ogni genere costituì, insieme con la predicazione, la principale attività di Gesù nella sua vita pubblica. In effetti, le malattie sono un segno dell’azione del Male nel mondo e nell’uomo, mentre le guarigioni dimostrano che il Regno di Dio, Dio stesso è vicino. Gesù Cristo è venuto a sconfiggere il Male alla radice, e le guarigioni sono un anticipo della sua vittoria, ottenuta con la sua Morte e Risurrezione. (Benedetto XVI)

La lettera agli Ebrei ci ricorda:
anche noi, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento.

La partecipazione alla vittoria di Cristo è segnata dalla liberazione dalla Male; qui l’autore usa il termine “deposto”, che presuppone una libertà nel voler togliere.
E poi un decidersi di essere di Cristo … così da intraprendere una corsa, con lo sguardo fisso su Gesù, in Lui il mio desiderio di bene trova il compimento ed è portato a compimento.

Non siamo soli, siamo circondati da una moltitudine di testimoni , e tra questi oggi anche il vescovo e martire Biagio.
Vescovo dell’Armenia. Il prossimo 23 aprile il patriarca di tutti gli armeni proclamerà il martirio per la fede in Cristo di ben 1,5 milioni di armeni: uomini, donne e bambini! Siamo circondati da una moltitudine di testimoni.

Con lo sguardo in Gesù, perseveriamo nella corsa della fede. Amen.

domenica 1 febbraio 2015

Lucina, la martire romana venerata a Rosate





Il 12 febbraio 1933 il card. Schuster arcivescovo di Milano donò alla parrocchia di rosate il corpo santo di Lucina. Ogni cinque anni il 30 giugno, memoria di santa Lucina, viene esposta l'urna che contiene le reliquie della santa e celebrata una messa solenne.

Il corpo venne estratto dalle catacombe di Sebastiano nel 1621 portato a Massa Lubrense, nei pressi di Sorrento, in un collegio gesuita.
Nel 1933 dopo la soppressione del collegio le reliquie vennero donate dal vescovo di Sorrento al cardinale A. I. Schuster che decise di donarle alla chiesa prepositurale di Rosate.
 
La Martire è detta erroneamente "matrona e martire", ma è molto improbabile che si tratti della matrona del "titulus lucine", in quanto reliquie della matrona - di cui per certi versi se ne mette in dubbia la storicità - erano in S. Cecilia in Trastevere. La matrona martire Lucina era presenta nell'antico martirologio (fu iscritta per la prima volta in quello di Adone), ma in quello del 2001 non è più presente la sua memoria al 30 giugno.
Per di più va aggiunto che la memoria della matrona romana era così vivo grazie al titulus, per cui non possibile che il corpo rimase non venerato fino al 1621, perché disperso in una catacomba, infatti il suo sepolcro era già venerato nel VI secolo presso il cimitero dei santi Processo e Martiniano, secondo ben due fonti antiche: indice degli Olii di Monza e la Notitia ecclesiarum.
 
Detto questo, anche il beato Schuster ogni tanto fantasticava ...

Preghiamo per ...





Per il Presidente della Repubblica,
perché illuminato dalla sapienza che viene dall'alto
e sorretto dalla concordia di tutto il corpo sociale,
possa adempiere il suo compito
di custode dei diritti e delle libertà comuni,
e di rappresentante dell'unità nazionale, preghiamo.

                                                                                                                                    (dal Benedizionale)