mercoledì 17 febbraio 2016

Santità e CL





Dopo l'apertura della causa di Canonizzazione del Fondatore, don Luigi Giussani (nihil obstat: 13 aprile 2012), il Movimento di Comunione e Liberazione, ha il suo primo membro in causa di Canonizzazione: Andrea Aziani (Milano, 1953 - Lima, 2008).
 
Ora si è attesa del nihil obstat da parte della Santa Sede.

 
* * *

Andrea Aziani, «un Francesco del nostro tempo»
di Massimo Borghesi
Il 2 febbraio (2016), durante la messa che celebrava il 19° anniversario della diocesi di Carabayllo nella città di Lima, in Perù, il vescovo Lino Panizza ha annunciato l’apertura della causa di beatificazione di Andrea Aziani (1953-2008). A Lima Andrea era andato nel 1989, su invito di don Luigi Giussani, al fine di promuovere una presenza cristiana nell’ambiente universitario. E’ qui che l’ho incontrato, una prima volta, nel novembre del 1992 in occasione del IV Congreso Mundial de Filosofia Cristiana al quale ero stato invitato come disertante. L’invito era merito suo. Andrea mi conosceva attraverso le pubblicazioni, soprattutto attraverso i miei articoli pubblicati sul settimanale “Il Sabato”. Così mi ritrovai ospite, per una settimana, nell’appartamento che condivideva con gli amici Giancorrado Peluso (Dado) e Gianbattista Bolis (Tista). Alla guida di quella che era una comunità vocazionale era allora P. Joahn Leuridan Huys, decano della Facultad de Ciencias de la Comunication, Turismo y Psicología della Universidad de San Martín de Porres, presso cui insegnava anche Andrea. Leuridan era una persona intelligente, molto legato ad un modello occidentale, affettivamente distante dall’ambiente peruviano. Di fronte a lui mi colpiva, nei colloqui che avemmo, l’umiltà di Andrea, cui non difettavano certo acume ed intelligenza. La sua discrezione mi appariva, al momento, disarmante. Solo in seguito avrei saputo che questa corrispondeva ad un’esigenza più grande: quella di permettere una testimonianza cristiana dentro la Facoltà che Leuridan guidava. Anni dopo il sodalizio, di fronte alle oggettive difficoltà della coabitazione, si sarebbe sciolto. Il Congreso de Filosofia Cristiana fu l’occasione che mi permise di conoscere e di stringere amicizia con taluni dei protagonisti del rinascimento intellettuale cattolico latino-americano. Tra essi Alberto Methol Ferré, l’intellettuale uruguayano molto apprezzato dal cardinal Bergoglio, noto in Italia per il suo libro-intervista a cura di Alver Metalli: Il papa e il filosofo (Cantagalli 2014). E poi Pedro Morandé, decano della facoltà di Scienze sociali della Pontificia Università cattolica del Cile, e Pedro Anibal Fornari docente di filosofia all’Università di Santa Fé, in Argentina. Il tramite era Andrea, sempre presente in quei giorni ricchi di scambi e di valutazioni. Conservo ancora le foto di allora: Methol, Morandé, Fornari ed Andrea dinnanzi alla costa del Pacifico. Ne ho pubblicate talune nella pagina Fb dedicata ad Andrea Aziani. In esse Andrea appare elegante, in giacca e cravatta, un vestiario insolito per lui. Di quei giorni ricordo la visita assieme al Museo archeologico di Lima, ricco dei tesori dell’impero Inca.

Il viaggio del ’92 fu la premessa di quello successivo, a quindici anni di distanza, nel novembre 2007. Non potevo certo immaginare che gli restassero pochi mesi di vita. Negli anni precedenti Andrea, dopo aver insegnato filosofia, etica, epistemologia, dottrina sociale della Chiesa in varie università, su richiesta del vescovo mons. Lino Panizza, contribuisce alla fondazione della Università “Sedes Sapientiae” (UCSS). La scelta del luogo era significativa: non già tra i quartieri eleganti, alto-borghesi, della Lima spagnola, bensì in un contesto popolare con il fine di promuovere l’elevazione sociale dei meno abbienti. Tra essi molti erano studenti lavoratori. Andrea venne a prenderci, a me e a mia moglie Carmen, il mercoledì 31 ottobre in aeroporto. Eravamo stanchi, reduci da un tour cileno, a Santiago, pieno di conferenze e di incontri. Nel tragitto dall’aeroporto alla città la via “breve” scelta dall’autista passava, attraverso strade sterrate, lungo le immense baraccopoli di un sottomondo inenarrabile per l’occhio europeo. Andrea era abituato, noi eravamo muti. Prima dell’arrivo, in albergo, con grande delicatezza, ci portò in un bel ristorante la cui terrazza offriva una vista del Pacifico. Era il suo benvenuto. Lo guardavo: era invecchiato, scavato nel volto e più magro del solito. Il suo essere “ombra” si palesava ora anche nel corpo. Ciò che non era mutato era la fiamma interiore, lo sguardo dolce ed intenso che ti abbracciava e ti faceva sentire a casa. Nei giorni seguenti avremmo conosciuto i suoi amici di appartamento. Oltre a Tista – Dado era tornato in Italia – c’erano Igor, Paolo, Guido. A casa loro l’ospitalità era reale, si respirava un clima di vera amicizia, di profonda serenità. Il clima un po’ teso dell’altro appartamento, quello del ’92, era un ricordo del passato. In casa Andrea, prima di recarsi in università, era inchiodato al computer sin dalle sei del mattino. Nonostante la linea tremendamente lenta rispondeva, con pazienza, ai tanti che gli chiedevano i più svariati consigli. Era fatto così, instancabile dall’alba al tramonto. Questa mobilità non era però vissuta con ansia ma con una sorta di lievità, di consapevole servizio al prossimo che si vietava ogni ostentazione. Umile, discreto, appassionato, attento, essenziale nei bisogni, sempre pronto a farsi tutto a tutti, assomigliava ad un Francesco del nostro tempo. Alle virtù va aggiunta la sua profonda passione intellettuale, la sua curiosità legata al pathos educativo di comunicare adeguatamente il vero ai suoi studenti. Il contenuto della fede cristiana poteva dimostrare la sua corrispondenza all’umano solo dando ragione di tutto, senza censurare nulla. Era questo il motivo del mio trovarmi lì, una seconda volta a Lima. Nel 2005 avevo pubblicato due volumi, il primo dal titolo Il soggetto assente. Educazione scuola tra memoria e nichilismo; il secondo su Secolarizzazione e nichilismo. Cristianesimo e cultura contemporanea. Ambedue erano stati tradotti in spagnolo, nel 2005 e nel 2007, dall’Editrice Encuentro di Madrid. Andrea li aveva letti con grande attenzione al punto da usarli come punto di riferimento per le sue lezioni. Da qui l’idea di chiamarmi per tenere delle conferenze sull’argomento educativo, sul tema del mio volume. La mail con cui mi invitava era del dicembre 2006. Così scriveva:

Carissimo Massimo, da tantissimo tempo desideravo rimettermi in contatto con te…e ora l’occasione è venuta – imprevista! – con la venuta a Lima di Pedro Morandé, in occasione del nostro “Happening” e di una sua conferenza nella Università Cattolica “Sedes Sapientiae”. E’ stato proprio Morandé che mi ha dato la tua mail. Come va? Abbiamo ricordato, in questi giorni, la tua venuta a Lima per quel “famoso” Congresso di filosofia cristiana. Ricordi? Ricordo anche quelle “meschine” e “ridicole” critiche dei vari …. alle tue – giustamente – guardiniane posizioni. Ma in tutti questi anni – forse non ci crederai – ho cercato comunque di “seguirti”. Prima su “30 Giorni”, poi su articoli vari apparsi in internet, anche sulle tue visite in Spagna (da cui deduco che parli perfettamente Espagnol…!) e per ultimo mi sono comprato, letto, e fatto una full immersion nel tuo SPLENDIDO Il soggetto assente, già tradotto in spagnolo insieme con quello sulla secolarizzazione richiamato da Morandé nella sua recensione. Lo sto (lo stiamo) usando in tutte le salse!!!! Il tuo Soggetto assente…de verdad… credimi!!! Io ci sto facendo, di fatto, il corso di FILOSOFIA DELL-EDUCAZIONE. Ma anche in antropologia tutta la parte finale (realismo/preconcetto/esperienza) SPLENDIDO! Non so come ringraziarti!!!!

Ma veniamo a noi! …ora! Avrai già capito che a questo punto invece di citare i tuoi testi - a proposito o a sproposito (nel caso nostro!) saremmo più contenti di avere l’autore…in carne ed ossa! Te parece? […]. Insomma rimaniamo in contatto! Sono felice di aver ritrovato un “vecchio” Amico e “giovane” maestro!

GRAZIE!!!!! A presto, facci sapere. Andrea.


Di fronte ad una lettera così piena di stima e di affetto era impossibile rifiutare. Conservo ancora le mail in cui si preoccupava di rendere quanto più confortevole il nostro viaggio, al punto da organizzare una splendida tappa a Cuzco, l’antica capitale Inca, con un itinerario imperdibile a Machu Picchu. Perché Andrea era fatto così: non si limitava alla forma o ai risultati ma era attento alle persone, alla loro umanità. Non ti abbandonava, ti seguiva con lo sguardo e con gli amici che ti poneva accanto. Tra essi c’era il vescovo Lino Panizza. Ricordo la sua cena ospitale in una casa modesta nella parte popolare di Lima. Era evidente la grande stima, ricambiata, che portava per Andrea. Gli ultimi giorni furono di fuoco, tra conferenze ed incontri. Quelli che gli stavano maggiormente a cuore erano su El sujeto ausente. Educacion y Escuela entre nihilismo y memoria. Il luogo, gremito fino all’inverosimile, era l’aula magna di un collegio vicino alla UCSS. Le lezioni erano alla sera per permettere la partecipazione degli studenti lavoratori della Facultad de Educacion. Le ricordo come un’esperienza unica: il silenzio, l’attenzione, e poi la fila interminabile, alla fine, di tutti coloro che ringraziavano perché erano rimasti colpiti nella loro umanità. Con me, nel palco, c’erano don Giovanni Paccosi e la professoressa Giuliana Contini. Andrea era dietro le quinte, colmo di contentezza per quel momento riuscito. Viveva per quei ragazzi, era il loro professore con una vocazione, innata, ad educare. Da cristiano sentiva l’insegnamento come una trasmissione di vita, una testimonianza della bellezza di Cristo che rifulgeva in tutto ciò che era grande, umano. Una intelligenza sottile ed un cuore ardente, innamorato di Cristo e dell’uomo, ecco chi era Andrea. Nel novembre 2007 ho avuto modo di intuirlo da vicino. Ho sempre pensato che, in fondo, ci siamo conosciuti per pochi giorni, nemmeno due settimane tra il 1992 e il 2007, eppure sentivo che avevo di fronte un grande amico. Nel tempo che abbiamo trascorso insieme mi ha parlato di sé, della sua famiglia, delle sue radici ebraiche per parte di madre, della sua parentela con Emanuele Samek Ludovici, giovane speranza dell’Università Cattolica di Milano, morto prematuramente nel 1981. Andrea era al crocevia di mondi, ebreo-cristiano, italiano-peruviano, intellettuale-popolare. In questo crocevia si collocava il suo peculiare essere aperto a tutti, senza discriminazioni, nell’ottica della gratuità che non chiede ricompense. Questo i “suoi” studenti lo sentivano, avvertivano di avere un docente che era, al contempo, maestro di vita, padre e compagno di viaggio. Una di quelle persone che non si dimenticano e il cui ricordo, a distanza di anni, si associa alla commozione.

Il sabato 10 novembre abbiamo visitato, insieme con Carmen, la Chiesa di S. Francesco con la guida di un architetto. Poi Andrea ci ha accompagnato all’ “Eau vive” e, la sera, ancora al ristorante, insieme con Igor. Era la sua ospitalità, il suo modo di dimostrare la gratitudine. Il giorno dopo, la domenica, la partenza. Al commiato mi ha dato due immaginette del Senór del los Milagros, a cui era affezionato. Nel retro di una aveva scritto: «Grazie. A presto de verdad, de tuto. A.». Nell’altra: «Grazie. A presto o a Roma o a Lima. Grazie. A.».

La gratitudine, l’essere grati, la consapevolezza che il cristianesimo è, dall’inizio alla fine, “grazia”, era il suo modo di essere. Era l’ultima volta che lo vedevo e non lo sapevo. L’ultima mail che mi ha inviato è del 3 giugno 2008. In essa, ancora una volta, mi saluta al modo suo: «Grazieeee amicoooo A!». Un modo urlato, futuristico, per farti presente un affetto fraterno. Andrea è morto all’improvviso il 30 luglio 2008. Il cuore generoso di un uomo, instancabile nel donare la sua vita agli altri, è venuto meno. E’ stato l’amico Alver Metalli, dall’Argentina, a darmi la triste notizia. Anni dopo, in un articolo pubblicato su Tracce.it, Andrea Aziani un uomo consumato dal desiderio di Cristo, scritto da Dado Peluso ho letto che:

Mirna, una studentessa ha ricordato così l’ultima lezione all’Università Cattolica Sedes Sapientiae di Lima. «Sembra ieri l’ultimo giorno di lezione di Metafisica con il mio maestro Andrea Aziani. Molte furono le cose fuori dal comune che disse, ma ciò che richiamò di più la mia attenzione fu la passione con cui spiegò il tema della Bellezza. “In un mondo senza bellezza – scrive Von Balthasar – anche il bene ha perduto la sua forza di attrazione… l’uomo resta perplesso di fronte ad esso e si chiede perché non deve piuttosto preferire il male”. Un mondo senza bellezza è una Waste Land (T. S. Eliot), una “terra desolata” abitata dalla disperazione, è la mezzanotte del Nichilismo. La bellezza risiede in un amore che, come cita il Cantico dei Cantici “è forte come la morte”, un Amore capace di sfidare la morte, il nulla, l’odio e tutto ciò che rende la vita smarrita e miserabile. Non era la bellezza estetica e banale cui si riferiva, era la bellezza della verità, dell’infinito». Lo studente che ha parlato al funerale ha riferito che Andrea aveva terminato la sua ultima lezione dicendo: «Ricordatevi sempre: l’amore è più forte della morte».

Quando ho letto queste testimonianze non ho potuto reprimere un nodo alla gola. Andrea, nella sua ultima lezione, aveva ricordato, alla lettera, frammenti di pagine del mio volume Il soggetto assente. Erano gli stessi (pp. 117 e 63) in cui avevo messo parte di me, quella che protesta contro la morte e, commossa dalla croce di Cristo, attende e spera nella vittoria sul nulla. Che Andrea, un attimo prima di morire, recitasse la frase del Cantico dei cantici: «Forte come la morte è l’amore» aggiungendo un “più”: «L’amore è più forte della morte», era il punto che ci univa e che ci unisce ora che lui, non più presente, è più che mai presente. In quella frase c’è il suo testamento, la sua testimonianza a Gesù come amore al mondo, ai piccoli che faceva sentire importanti, ai suoi studenti che tratteneva, ad uno ad uno, nel suo grande cuore.
 
FONTE: Tracce.it

domenica 14 febbraio 2016

San Valentino e il Web


 
San Valentino di Terni

 
 
San Valentino, il santo degli innamorati: è così ricordato, vera o falsa la questione, è interessante fare una ricerca sul web per immagini: “San Valentino Martire reliquie”, cosa appare?

L'urna contenente le reliquie di San Valentino Martire nella chiesa dei Cappuccini di Ozieri (SS) è la prima ad apparire. Poi a ruota, la reliquia di san Valentino nella chiesa di Santa Maria in Cosmedin a Roma, la più gettonata, fotografata da molti turisti e postata sul web.

Seguono poi le reliquie di San Valentino, conservate nell'oratorio della SS. Trinità di Sassocorvaro nel Montefeltro.

Altra immagine è San Valentino di Monselice: il sacro corpo è nell'oratorio di San Giorgio a Monselice (PD), nel complesso delle Sette Chiese.

Segue San Valentino venerato nella chiesa dei Padri Cappuccini del convento di San Daniele a Belvedere Marittimo (CS). All'interno sono conservate le reliquie di San Valentino martire (sangue e ossa) e di Santa Beatrice martire (femore) entrambe pervenute a Belvedere il 27 maggio 1710.

Appare poi l’immagine dell’urna di San Valentino nella basilica di San Valentino a Terni, in Umbria; e quella di San Valentino sacerdote e martire: uno di Palmoli (CH) e altro di Gandino (BG).

Sempre seguendo l’ordine della ricerca sul web appare San Valentino martire venerato a Waldassen (Germania) e le reliquie di San Valentino venerate a Cavour (TO) dove giunsero da Roma nel 1833.

Poi andiamo in Tuscia, a Viterbo, e troviamo le reliquie di San Valentino (e Sant’Ilario), a cui seguono quelle di San Valentino venerate nella chiesa bolognese di Santa Maria e San Valentino della Grada.

Poi ancora spulciando il web si scopre San Valentino venerato a Livorno nella Chiesa dei Domenicani.

Ma la ricerca continuerebbe se il “cirbericercatore” usasse altre parole chiave.

La domanda sorge spontanea: ma sono tutti veri? Sono tutti il san Valentino venerato il 14 febbraio.

Escludendo san Valentino venerato in Tuscia che è venerato il 3 novembre secondo l’odierno Martirologio Romano (“A Viterbo, santi Valentino, sacerdote, e Ilario, diacono, martiri”), tutti gli altri sono venerati il 14 febbraio e sono definiti patroni degli innamorati, ma solo per omonimia, in quanto l’unico vero San Valentino è quello venerato a Terni.

San Valentino, detto anche san Valentino da Terni o san Valentino da Interamna (Interamna Nahars, 176 circa – Roma, 14 febbraio 273), è stato un vescovo romano, martire. Venerato come santo dalla Chiesa cattolica, da quella ortodossa e successivamente dalla Chiesa anglicana, è considerato patrono degli innamorati e protettore degli epilettici.

mercoledì 10 febbraio 2016

Quaresima: il tempo del "segreto"





Ritornate a me con tutto il cuore

con digiuni, con pianti e lamenti.

Laceratevi il cuore e non le vesti

(Gl 2)

 

Il Signore ci esorta alla conversione.

Ci indica un atteggiamento.

Non tanto un’esteriorità, ma un cuore che si lascia penetrare, perché senza barriere, lacerato.

Ed allora digiuni, pianti e lamenti sono un modo per riportare il cuore verso Dio.

Ognuno come il Salmista può dire:

 

Crea in me, o Dio, un cuore puro (Sal 50)

Chiedere al Signore un rinnovamento della mia vita partendo dal cuore, chiedere un cuore puro perché perdonato e riconciliato.

 

Perdonaci, Signore: abbiamo peccato (Sal 50)

Lasciatevi riconciliare con Dio (2Cor 5)

 

La conversione, il cambiamento del cuore, è un desiderio che parte dall’uomo: il Signore ci esorta a ritornare da Lui, ma poi tocca solo a noi.

Mettere in gioco la nostra libertà, il desiderio di essere rinnovati e di rinnovarsi.

È mettersi in cammino.

 

Scrive papa Francesco nella Bolla di indizione del Giubileo della Misericordia:

Il pellegrinaggio è un segno peculiare nell’Anno Santo, perché è icona del cammino che ogni persona compie nella sua esistenza. .. Il pellegrinaggio, quindi, sia stimolo alla conversione: attraversando la Porta Santa ci lasceremo abbracciare dalla misericordia di Dio e ci impegneremo ad essere misericordiosi con gli altri come il Padre lo è con noi. (MV 14)

 

Un cammino quaresimale, un pellegrinaggio esteriore, come segno del cammino interiore: come cammino del cuore verso Dio.

 

L’Apostolo Paolo ci ricorda:

Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza! (2Cor 6)

 

La Quaresima è nel cammino annuale e liturgico della Chiesa: il tempo favorevole.

 

Scrive ancora papa Francesco:

Questo è il momento favorevole per cambiare vita! Questo è il tempo di lasciarsi toccare il cuore. Davanti al male commesso, anche a crimini gravi, è il momento di ascoltare il pianto delle persone innocenti depredate dei beni, della dignità, degli affetti, della stessa vita. Rimanere sulla via del male è solo fonte di illusione e di tristezza. La vera vita è ben altro. Dio non si stanca di tendere la mano. È sempre disposto ad ascoltare, e anch’io lo sono, come i miei fratelli vescovi e sacerdoti. È sufficiente solo accogliere l’invito alla conversione e sottoporsi alla giustizia, mentre la Chiesa offre la misericordia. (MV 19)

 

Quaresima è tempo della confessione sacramentale. Non aspettiamo solo la Pasqua!

 

Infine, il Vangelo:

la tua elemosina resti nel segreto

chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà

la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. (Mt 6)

 

La Quaresima non è il tempo della testimonianza, ma è il tempo del “segreto”.

Il tempo dell’intimità del discepolo con il Maestro.

È il tempo della segreto del cuore, della conversione del cuore, da cui nasce una testimonianza reale, vera, così che la bocca e la vita parlerà della pienezza del cuore.

Buon Quaresima!

venerdì 5 febbraio 2016

Agathae: “colei che è buona”. Perché essere buoni?



S. Agata condotta al martirio
(Bernardino Niger, 1588)
Chiesa di Sant’Agata al Carcere
Catania


Agathae: “colei che è buona”.

 

Nacque nei primi decenni del III secolo a Catania in una ricca e nobile famiglia di fede cristiana. Verso i 15 anni, scoperta cristiana, fu processata e torturata. Fu ordinato che venisse bruciata. Ma un forte terremoto scuote Catania, allora il proconsole fece togliere Agata dalla brace e la fece riportare agonizzante in cella, dove muore qualche ora dopo. Era il 5 febbraio del 251.

 
Le letture di questa memoria liturgica esaltano due elementi della vita della Santa: la debolezza, è una giovane ragazza; debolezza da cui si sprigiona la forza nel martirio; e la persecuzione, nel martirio Agata è resa forte da Cristo stesso.

Nella Passione di un’altra martire in Africa, Santa Felicita,  questo pensiero è bene spiegato.

Si racconta che Felicita, in carcere perché cristiana, gravida di 8 mesi, soffre per il parto e prima del martirio partorisce, ma il suo travaglio è così sofferente che i carcerieri la prendono in giro: “Tu che soffri così adesso, che farai quando sarai gettata alle belve…?”. Ed ella risponderà: “Ora sono io che soffro quel che soffro; ma là sarà un altro, in me , che soffrirà al mio posto, perché anche io sto per soffrire al posto suo”.

 
Ma torniamo ad Agata.

Ciò che mi colpisce nella vicenda di Agata è un concetto, un pensiero debole, che è nell’etimologia del suo nome: Agata significa buona, meglio dire: “Colei che è buona”.

Un concetto importante per noi cristiani: la bontà. Dio solo è buono, dirà Gesù.

Alcuni santi come P. Pio e Josè Maria affermano:

 
Essere buoni è facile, il difficile è essere giusti.

(Pio da Pietrelcina)

 

Non basta essere buono: devi anche sembrarlo. Che diresti di un roseto che non produce altro che spine?

(Josè Maria E. de Balaguer)

 

Essere buoni non vuol dire apparire buoni. Non è un sorriso di convenevoli o una facciata di buonismo.

 
Generalmente si pensa che il cristiano è il "buono", meglio il bonaccione, il fessacchiotto, colui che porge l'altra guancia e deve accettare tutto, essere buono quindi sta per essere tollerante in tutto.

 
Ma il cristiano deve essere "Giusto".

Noi Cristiani dobbiamo essere uno e l'altro. Dobbiamo porgere l'altra guancia, ma allo stesso tempo non essere indifferenti alle ingiustizie.

 
Agata nel suo martirio a reso onore alla Giustizia! È così è stata buona, perché giusta. Interceda per noi per essere buoni e giusti davanti a Dio. Amen.

mercoledì 3 febbraio 2016

San Biagio, prega per noi!




Busto di San Biagio
Maratea (PZ)


Biagio, vissuto nel IV secolo, era un medico di origine armena. Divenne vescovo della città di Sebaste dove operò numerosi miracoli. Arrestato dal preside Agricolao durante la persecuzione ordinata da Licinio, fu imprigionato, lungamente picchiato e sospeso ad un legno, dove con pettini di ferro gli fu scorticata la pelle e quindi lacerate le carni. Dopo un nuovo periodo di prigionia, fu gettato in un lago, dal quale uscì salvo, quindi per ordine dello stesso giudice, subì il martirio decapitato insieme con due fanciulli e dopo l'uccisione di sette donne arrestate perché raccoglievano le gocce di sangue che scorrevano dal corpo dello stesso martire, durante il suo supplizio. è stato innalzato alla dignità di santo ed è invocato contro i mali di gola, perché durante la sua prigionia, guarì miracolosamente un ragazzo che aveva una lisca di pesce conficcata nella trachea. È Patrono di Maratea, città che ne conserva le reliquie. Secondo la tradizione, queste, insieme a quelle di san Macario, giunsero a Maratea nel 732, quando una nave proveniente da un porto orientale, si arenò a causa di una tempesta presso l'isolotto di S. Janni. Gli abitanti del Castello raggiunsero l'imbarcazione per portare soccorso e vi trovarono oltre l’equipaggio, le sacre reliquie conservate in un urna marmorea, che fu portata in cima al monte dove rimase custodita. Il 3 maggio 1941 fu fatta una ricognizione ufficiale per il riconoscimento di quanto contenuto nell’urna: il torace, una parte del cranio, un osso di un braccio e un femore del santo armeno. La venerazione di Maratea per il santo protettore accrebbe l'evento miracoloso della santa manna, e poi in più di un’occasione, la statua e le pareti della basilica si ricoprirono, e in modo abbondante, di un liquido acquoso, di colore giallastro, raccolto dai fedeli e adoperato con estrema devozione per la cura dei malati, in quanto proprietario di poteri taumaturgici. Fu papa Pio IV, all’epoca vescovo di Cassano, che nel 1563 riconobbe il liquido come “manna celeste”. San Biagio è ricordato dalla chiesa il giorno natale, cioè il 3 febbraio, quando fu decapitato, ma a Maratea la festa patronale si celebra nella seconda domenica di maggio con un cerimoniale stabilito da un protocollo vecchio di secoli. I festeggiamenti durano otto giorni e si aprono il sabato precedente la prima domenica di maggio con la processione al Castello, detta "S. Biagio va per la terra". Il giovedì successivo, il simulacro del Santo viene portato a Maratea Inferiore, e la mattina della seconda domenica di maggio la statua, coperta col drappo rosso, torna nella sua abituale sede al Castello. (FONTE)
 
Esaudisci Signore, la tua famiglia, riunita nel ricordo del martire san Biagio e donale pace e salute nella vita presente, perché giunga alla gioia dei beni eterni. Per il nostro Signore.
(Dalla Liturgia)


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Mercoledì della IV settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

Il re Davide disse a Ioab, … «Percorri tutte le tribù d’Israele, da Dan fino a Bersabea, e fate il censimento del popolo…

Ecco il nuovo peccato di Davide, non confidare in Dio e porre la propria sicurezza nella forza di un numeroso esercito.

Ma Davide riconosce questa sua fragilità e ripone il suo peccato in Dio: «Sono in grande angustia! Ebbene, cadiamo nelle mani del Signore, perché la sua misericordia è grande, ma che io non cada nelle mani degli uomini!».

Davide conosceva bene il suo Signore, e se pur aveva diffidato della sua forza ora confida nella sua Misericordia.

… Quando l’angelo ebbe stesa la mano su Gerusalemme per devastarla, il Signore si pentì di quel male e disse all’angelo devastatore del popolo: «Ora basta! Ritira la mano!».

Un linguaggio che noi ascoltiamo è fortemente umano, ma è un modo per comprendere la Misericordia di Dio.

È l’autore del libro di Samuele che usa questo linguaggio per farci comprendere Dio.

Io ho compreso chi è Dio per me, come difatti lo ha compreso Davide?

So confidare nella sua Misericordia?

Infatti è l’incomprensione dei nazaretani che non fa compiere miracoli a Gesù nella sua patria: Nazareth.

Essi dicono: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui…

Invece di stupirsi, si scandalizzano, cioè la loro comprensione della Verità è ostacolata dalla modalità con cui la Verità stessa si fa conoscere.

Quindi non è Gesù che crea scandalo, sono loro che non accettano il modo in cui Dio viene a visitarli.

Questa durezza di cuore, questa incredulità non permette a Gesù di sovrabbondare con la sua Misericordia ma impose le mani a pochi malati e li guarì.

Comunque Gesù compie l’opera di Dio anche a Nazareth, certo si meravigliava della loro incredulità, ma questo non lo ostacola, anzi …

Celebrando la memoria di San Biagio, vescovo e martire armeno sepolto a Maratea (PZ), noi vediamo in lui un pastore che confida in Dio, anzi che si abbandona in Lui fino al martirio, e attraverso San Biagio, il Signore, compie l’opera di Dio: elargendo la sua Misericordia.

In San Biagio vediamo la fede vissuta, che ha il compimento nel martirio.

Invochiamo quindi il Signore, per intercessione di San Biagio, perché certamente ci liberi dal mal di gola e da ogni altro male, ma soprattutto ci liberi dall’incredulità e dal cinismo di questo tempo, ci dia una fede forte e salda, e ci faccia confidare sempre nella sua Misericordia, perché Egli possa continuare a guarire l’umanità con la sua Grazia, amen.