giovedì 31 ottobre 2013

Decreti di Martirio e Venerabilità



La Chiesa avrà un nuovo Beato e tre Venerabili. Papa Francesco ha ricevuto, questa mattina, 31 ottobre 2013, il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, e ha autorizzato il Dicastero a promulgare i Decreti riguardanti il riconoscimento del martirio di Antonio Durcovici, Vescovo di Iaşi (Romania), e le virtù eroiche di tre religiose: Onoria Nagle, Celestina Bòttego, Olga della Madre di Dio.

Mons. Antonio Durcovici nacque ad Altenburg (Austria) il 17 maggio 1888. Fu ucciso in odio alla Fede nel carcere di Sighet (Bucarest, Romania), il 10 dicembre 1951, durante il regime comunista rumeno, dopo aver subito indicibili sofferenze per due anni in un lager della Moldavia durante la prima guerra mondiale, in quanto originario dell’Austria. Negli anni della dura persecuzione anticristiana rumena, nonostante le minacce del regime, svolse una fervida attività di apostolato visitando le parrocchie della Diocesi e annunciando il Vangelo. Venne arrestato nel 1949 e rinchiuso nel duro carcere di Sighet, dove morì a 63 anni. Il regime della Romania, come per tanti altri martiri della Chiesa, ha voluto cancellare ogni memoria del vescovo di Iaşi, non rimane alcun ricordo delle sue sofferenze durante la prigionia.




La prima delle tre nuove Venerabili, di cui la Chiesa ha riconosciuto le virtù eroiche, è Onoria "Nano" Nagle (in religione: Giovanna di Dio) - religiosa nata nel 1718 a Ballygriffin, Cork (Irlanda) e morta il 26 aprile 1784 a Cork (Irlanda) - fondatrice della Congregazione delle Suore della Presentazione della Beata Vergine Maria, che dedicò la sua intera vita all’assistenza e all'istruzione dei giovani, soprattutto i poveri.




Dopo di lei, Celestina Bòttego, fondatrice della Società Missionaria di Maria. Nata il 20 dicembre 1895 a Glendale (Ohio, Stati Uniti d'America) nel 1895, morì a San Lazzaro di Parma il 20 agosto 1980. Secondo la leggenda, la Venerabile non voleva fondare alcuna congregazione perché si riteneva “più adatta a guastare le opere di Dio che a farle”, mentre voleva fare solo “gli interessi di Gesù”. Dio, però, le ispirò questa forte missione e Celestina si impegnò nell'aiuto degli ultimi, degli ex carcerati, dei nomadi e diseredati.




Infine, Olga della Madre di Dio (al secolo: Olga Maria Fortunata Gugelmo), suora professa della Congregazione delle Figlie della Chiesa, nata a Pojana Maggiore (Vicenza) il 10 maggio 1910 e morta a Mestre l’11 aprile 1943. Di lei si ricorda soprattutto l’ideale mistico contemplativo dell’adorazione eucaristica che incentrò la sua vita, l'instancabile servizio in parrocchia, e una quotidianità vissuta sempre con fede profonda e amore autentico.

FONTE: Zenit.org

Servo di Dio Bèdros Mekhitar, prega per noi!





Servo di Dio Bèdros Mekhitar ( o Mechitar o Manukyan) è un monaco armeno, fondatore dell'Ordine Mechitarista.

La causa di Canonizzazione è stata introdotta dalla Diocesi di Sebaste (attuale Sivas) il 25 novembre 1903: quindi sono già trascorsi 110 anni, ma risulta ancora senza esito.

Mechitar è nato è nato a Sebaste, 7 febbraio 1676, attuale Sivas, nella Piccola Armenia. All’età di quindici anni entra nel convento di Surb Nshan (letteralmente Santo Segno), retto da monaci armeni di Sant'Antonio abate.

L’attività monacale di quel periodo in Armenia è molto ripiegata sul passato e il giovane Mechitar mal sopporta questa situazione. La sua irrequietezza lo porta a frequenti spostamenti da Sebaste a Erzerum e poi a Echmiadzin. Nel 1691 l’incontro con la cristianità occidentale attraverso un missionario gesuita, forse Jacques Villote, impressiona molto il giovane.

La chiesa armena è divisa da Roma in quanto formalmente monofisita, sebbene questa divisione sia dettata più da motivi storici che da una reale divisione su temi teologici. Questa divisione era mal sopportata da Mechitar che per tutta la sua vita cerca con tutti i mezzi di favorire il rientro nella comunione Cattolica dei credenti della Chiesa Apostolica Armena.

Nel 1696 parte per Roma dove intende approfondire i suoi studi, ma una grave malattia lo fa rientrare in patria. Quello stesso anno viene ordinato sacerdote e per quattro anni lavora al servizio della chiesa locale. Nel 1700 va a Costantinopoli e con una decina di discepoli inizia una vita comunitaria orientata alla predicazione e alla pubblicazione di scritti.

L'8 settembre 1701 festa della Natività di Maria la comunità si consacra al Signore con la protezione della Vergine. A causa della loro scelta entrano in conflitto con la Chiesa Apostolica Armena, e come cristiani sono mal visti dalla maggioranza mussulmana, costretti a spostarsi a Modone nella penisola di Morea, a quel tempo sotto controllo della Serenissima.

Nel 1705 la comunità presenta al papa Clemente XI la domanda d'approvazione dell’Ordine con queste parole:

«Lo scopo delle nostre Costituzioni è questo: anzitutto conservare la forma del monachesimo, che abbiamo preso dagli Armeni, così come la conservano i monaci armeni, non però senza i tre voti, che sono essenziali dello stato religioso»

A questi tre voti (castità, povertà e obbedienza) Mechitar volle aggiungervi un quarto: l’apostolato fino all’effusione del sangue. La sottolineatura dei voti è data dal fatto che nella tradizione del monachesimo armeno essi non venivano pronunciati esplicitamente. Questa non esplicita dichiarazione aveva portato ad un minor rigore dell’applicazione degli stessi nella vita monacale armena del tempo. Con il nome di Congregazione riformata dei monaci armeni di Sant'Antonio abate essa viene accettata dalla Chiesa Cattolica ad experimentum nel 1711.

Un'altra caratteristica peculiare dell’ordine è l’obbligo, per i suoi membri, di essere armeni almeno da parte di uno dei genitori. La richiesta viene accolta come detto, ma Roma pretende l’adesione della Congregazione a una regola accettata dalla Chiesa Cattolica: le opzioni sono tra la regola di San Basilio o di San Benedetto (la regola di Sant'Antonio abate non aveva una base scritta), Mechitar sceglie la regola di San Benedetto che è più affine al suo modo di intendere il monachesimo.

La permanenza di Mechitar nella penisola, gli permette di conoscere importanti uomini politici veneziani come: il futuro doge, allora ammiraglio, Alvise Sebastiano Mocenigo ed Angelo Emo che è governatore di Morea.

I venti di guerra che incombono sulla penisola fanno migrare l’Ordine a Venezia nel 1715. Temporaneamente vengono accolti presso la chiesa di San Martino, in attesa di una sistemazione definitiva che avverrà nel 1717 con l’assegnazione, da parte della serenissima, dell’isola di San Lazzaro dove vi ha la sua sede tuttora.

Mechitar muore il 27 aprile del 1749, lasciando una solida realtà religiosa nelle mani del suo giovane successore Stephanos Melkonian, che la conduce fino al 1800.

Seguendo l’esempio del fondatore, i monaci continuano il lavoro di riscoperta, di studio, di traduzione e di stampa di antichi scritti armeni e della traduzione in armeno di importanti opere sia classiche che della cristianità. Il lavoro di approfondimento e di studio di questa antica lingua ha permesso di riscoprire e far conoscere una ricca e importante letteratura.

La comunità, però, è scossa da tensioni che sfociano nel 1772 in una scissione. Un gruppo di monaci rimane a Venezia, mentre un altro abbandona San Lazzaro per dirigersi prima a Trieste, dove vengono ben accolti dall’impero austriaco, in seguito si postano definitivamente a Vienna ove svolgono tuttora la loro attività.

I due rami mechitaristi svolgono attività simili, ma si può dire che il ramo viennese è meno attento alle posizioni teologiche-canoniche della Chiesa Cattolica  rispetto a quello veneziano. L'Ordine, coerentemente con i suoi principi, ha dato un importantissimo contributo allo sviluppo culturale del popolo armeno.

Nel 2000 i due rami si sono ricongiunti, riportando l'Ordine all'originaria unità e, nel 2002, l'ordine contava 10 monasteri e 35 religiosi, 28 dei quali sacerdoti.


BIBLIOGRAFIA E SITI

* AA. VV. - Biblioteca Sanctorum (Enciclopedia dei Santi) – Voll. 1-12 e I-II appendice – Ed. Città Nuova
* C.E.I. - Martirologio Romano - Libreria Editrice Vaticana – 2007 - pp. 1142
* Grenci Damiano Marco – Archivio privato iconografico e agiografico: 1977 – 2013
* sito web di newsaints.faithweb.com
* sito web di wikipedia.org

San Faustino Martire, prega per noi!





“Oggi vorrei parlare di una realtà molto bella della nostra fede, cioè della "comunione dei santi". Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci ricorda che con questa espressione si intendono due realtà: la comunione alle cose sante e la comunione tra le persone sante (n. 948). Mi soffermo sul secondo significato: si tratta di una verità tra le più consolanti della nostra fede, poiché ci ricorda che non siamo soli ma esiste una comunione di vita tra tutti coloro che appartengono a Cristo. Una comunione che nasce dalla fede; infatti, il termine "santi" si riferisce a coloro che credono nel Signore Gesù e sono incorporati a Lui nella Chiesa mediante il Battesimo. Per questo i primi cristiani erano chiamati anche "i santi". (Papa Francesco, 30 ottobre 2013)

Nella Parrocchia Santi Nazario e Celso alla Barona, sotto l’altare della Madonna, è esposta una teca in bronzo con quattro pareti in cristallo. Un cartiglio centrale riporta la scritta “San Faustino”.

Chi era San Faustino?
Come è giunto nella nostra chiesa?
Cosa contiene il vasetto?

San Faustino visse probabilmente nei primi anni del Cristianesimo e fu uno dei tanti cristiani martirizzati durante le prime persecuzioni romane, è certamente un “corpo santo”.

Il vescovo di Ancona, Achille Manara in una sua lettera del 3 gennaio 1880 certifica che il corpo fu trovato nel cimitero Callisto il 10 febbraio 1829 (forse) e collocato in una cassa di legno con iscrizioni; riconosciuto come “corpo santo” dalla Santa Congregazione delle Reliquie Sacre, di poi posto in una cassa di legno ornata di seta legata con una fascia rossa e sigillata dal Cardinale Cesare Nembrini Pironi Gonzaga e, su mandato del Sommo Pontefice Leone XIII, per la venerazione dei fedeli.

Il Beato Andrea Carlo Ferrari, Cardinale Arcivescovo di Milano, in una lettera datata 1 marzo 1886 dichiara che le sacra spoglie di San Faustino è stata donata alla curia milanese e da questa al Rev. Cesare Clerici, parroco della Parrocchia dei Santi Nazaro e Celso nel sobborgo della Barona.

Il verbale di ricevimento descrive “l’involto a forma umana contenente le Sacre reliquie suddivise in tanti pacchettini colla soprascritta dei nomi corrispondenti alle singole ossa” avvolte in carta gialla e stoppa.

Don Luigi Cattani, esperto in anatomia, il 27 febbraio 1897 esaminò i resti concludendo che appartenevano ad un uomo robusto di giovane età.

I resti furono ricomposti anatomicamente con filo d’argento, incollandoli su un cartone, rivestiti con una clamide bianca ed un mantello rosso, cinti di una corona dorata e posti in un urna dorata di oricalco (lega di rame e zinco simile all'ottone, di color oro) con le pareti di cristallo.

Ai piedi fu posto il vasetto con la scritta “Vas sanguinis”, ritrovato assieme alle sacre reliquie, contenente pezzetti di vetro curvo a riflessi splendenti e resti di calcinaccio bruno.

L’urna fu sigillata e il 28 febbraio 1897 solennemente collocato sotto l’altare maggiore della Chiesa, ora sotto l’altare della Madonna

San Faustino, da voci non confermate ma abbastanza autorevoli, sembra essere il santo patrono della “dolce morte”, in altre parole di quei casi in cui non vi è altra soluzione e si chiede di non soffrire ulteriormente.

Era venerato durante la festa patronale che anni fa si svolgeva in Agosto .