venerdì 11 settembre 2020

Reliquie e corpi santi a Piedimonte Matese

 


Basilica di S. Maria Maggiore.

La pieve dell’antica, piccola Piedimonte, sorgeva a Piazzetta, oggi Largo S. Maria Vecchia. Aveva la facciata rivolta a Nord, il coro laterale all’altare maggiore, il campanile innalzato nel ‘200, a sinistra vicino all’ingresso superiore dell’attuale palazzo ducale: era lunga 68 palmi (anteriori alla riforma del 1840), larga alla porta 38 palmi e all’altare, compreso il coro, 60.

Nel 1581, secondo la bolla dell’arcipretura, appariva decora, venuta ac ampla forma aedificata, ma nel 1734, secondo un ricorso del clero di Vallata, appariva piccola, rustica, dal soffitto cadente: antiquata, rustico pariete ad intra et extra, parva et incapax populi parochiae propriae, absque architectura confecta cum lacunari et campanaria turri pene labentibus.

In effetti fu chiusa al culto nel 1753; nel 1772 fu abbattuta.

In S. Maria fu predicata la Crociata, e si riunì il clero in capitoli generali.

Dalla fine del ‘500 si intitolò Maggiore, cioè la chiesa principale dedicata alla Madonna, e fu per secoli il sepolcreto di Piedimonte.

L’attuale S. Maria sorse sotto la rupe del Migliarulo coronata dalle mura fortificate ricavando il materiale dal posto.

Il 7 Aprile 1725 fu benedetta la prima pietra dal vescovo Porfirio, presenti i personaggi di Casa Gaetani e un popolo plaudente come si sa dalla cronaca in latino del curato G. Pagano nel IV registro dei battezzati di S. Maria Maggiore.

Dopo qualche anno, raffreddatosi l’entusiasmo, le fabbriche furono abbandonate.

Abbattuta S. Maria vecchia furono ripigliate, e si giunse al 7 Agosto 1773, quando fu aperta al culto dal vescovo Sanseverino, uscito processionalmente da palazzo ducale col capitolo, il clero e il seminario.

I canonici si recarono a S. Giovanni e di lì portarono il Venerabile, si cantò la messa pontificale dopodiché il sindaco Vincenzo d’Amore consegnò le chiavi al Capitolo (atto del notaio Pasquale Paterno in 7 articoli).

Il gesto veniva a dire che la chiesa, fatta con sottoscrizione popolare, era di patronato comunale, tanto che il comune accantonò 20 Ducati l’anno per accomodi, come da lettera dell’arciprete Ragucci del 20 Maggio 1817 al sindaco.

La chiesa ebbe il campanile nel 1827, progetto dell’Ing. Brunelli, e nel 1858 la facciata, progetto Ing. Garzia, con la sottoscrizione di Piedimontesi per lo scampato regicidio di Re Ferdinando II, l’8 Dicembre 1856.

All’interno è lunga m 45,65, larga m 24,10 alta al centro della cupola m 26 circa.

Oltre all’altare maggiore in fabbrica, rivestito di intagli, a sinistra entrando sorge il battistero e le cappelle di S. Raffaele (dei Pertusio), della Natività (dei Giorgio), della Pietà, detta del Rosario (dei Gaetani d’Aragona), e in fondo S. Marcellino. A destra entrando stanno le cappelle del Crocifisso, con altare del 1916, di S. Anna (dei d’Agnese), di S. Giuseppe (dei D’Amore), del S. Volto, e in fondo del Sacramento. Le tele raffiguranti i titoli degli altari sono state levate, e al loro posto stanno dal 1934 le tavole portate da S. Giovanni che non corrispondono alla dedica degli altari.

Il Tesoro, prima nella cappella di S. Marcellino, al posto attuale dal 1645 conserva statue e reliquie.

Al 1° piano, da sinistra: S. Felice prete e martire, † 30 Agosto 304; nel Gennaio 1799 i Francesi rubarono la testa d’argento, e frantumarono il carnio sotto i piedi; dopo ricomposta in un vaso di cristallo; aveva antico culto a Piedimonte di rito doppio: S. Francesco di Sales † 28 Dicembre 1622, di patronato dei Giorgio, piccola reliquia nella croce pettorale (autentica del vescovo di Nardò, del 21 Gennaio 1721); S. Filippo Neri † 26 Maggio 1595, compatrono di Piedimonte con festa di rito doppio, statua fatta scolpire da Filippo Mastrodomenico nell’ultimo ‘600, con al collo piccola reliquia dono del canonico C. G. Iacobelli; S. Bonaventura martire, con teschio sotto la statua; 2° piano da sinistra S. Marciano martire † 17 Giugno 304, a Roma sulla via Ostiense a 2 miglia dalla città, con interessanti particolari, che insieme a S. Casta stava in un cappella in via Petrara dirimpetto al vico Pimpinella; S. Casta martire † 29 Ottobre 304 (?), se ne diceva l’ufficio insieme a S. Marciano; S. Vittorina di cui non si sa niente, con reliquia del braccio donata da don Carlo Gaetani d’Aragona, come la reliquia si S. Silvia, (strumento notaio Giovanni Antonio de Angelis, 9 Maggio 1650); 3° piano, da sinistra 3 ostensori con reliquie dei sS. Genziano, Claudio e Giusta; scarabattola con reliquie di S. Salvato martire, donate da don Lotario della Cinia, a lui donate dal card. Gaspare di Carpegna (autentica nell’urna, 11 Aprile 1706); scarabattola con teschio di S. Callisto martire non conosciuto; ultimo scompartimento a destra 3 ostensori con reliquie dei sS. Antonina, Concordio e Teodoro: in alto, sul frontone: scheletro intero di S. Giuseppe martire samaritano, pare di Antiochia, † 19 Marzo…, reliquia di grande interesse, se autentica. Dal martirio di lui, per erore prese origine la festa di S. Giuseppe. Il martire era figlio di S. Fotina, e fratello di S. Vittore, tutti uccisi per la fede.

Il Tesoro viene aperto di Natale, Pasqua, S. Marcellino e Ognissanti.

Quanto al latte della Madonna, pure conservato in S. Maria, si avverte che si tratta di una polvere bianca che si portava da Tera Santa, ricavata dalla polverizzazione di una tipica rupe.

Da quando fu aperta al culto è servita anche alle cerimonie ufficiali.

Durante il reame di Napoli, il vescovo, alla presenza del sottintendente e delle altre autorità distrettuali, vi ha celebrato i lieti e luttosi avvenimenti di Casa Borbone.

Col mutare degli eventi, dal 1860, il vescovo Di Giacomo vi cominciò a far lo stesso per la nuova Italia.

Il 4 Novembre 1860 ci fu solenne rendimento di grazie col Te Deum, per la raggiunta unificazione nazionale, mentre ancora si combatteva a Gaeta.

La prima festa dello Stato (1° domenica di Giugno), fu solennizzata al Mercato, ma il 28 Giugno, il vescovo celebrò in questa chiesa il solenne suffragio per il conte di Cavour, al quale erano stati proibiti i Sacramenti e i funerali religiosi, perché aveva fatto incamerare dallo Stato il patrimonio della Chiesa. Il vescovo liberale, devoto all’Italia sabauda ed una, vi continuò i solenni rendimenti di grazie, ogni 14 Marzo, genetliaco del sovrano unificatore, fino al ’72. Poi la questione romana non permise che si continuasse.

Le cerimonie patriottiche ripigliarono nel periodo fascista specie con quelle imponenti del 4 Novembre, officiate dai vescovi Del Sordo e Noviello.

 


Solitudine di S. Maria degli Angeli

Fu ideata dal provinciale fr. Giovanni di S. Maria.

Il primo sentiero nel bosco fu tracciato dal boscaiolo, di Castello, Ferrantone, e si arrivò alla rupe.

Il progetto dei frati era che l’eremo ricordasse loro la Verna in Toscana e il Pedroso in Estremadura.

La piccola grotta in alto, sotto la rupe fu dedicata a S. Michele del Gargano, le fabbriche della chiesa e del piccolo convento terminarono dopo circa quattro anni, e la chiesa fu consacrata dal vescovo De Lazzara:

CONSACRATA FUIT BASILICA ISTA AB ILL.MO ET REV.MO DOMINO JOSEPH LAZARA EPISCOPO ALLIPHANO / DIE II AUGUSTI MDCLXXVIII.

Sul cancello d’ingresso, la lapide in alto è attribuita alla religiosa poetessa arcade, principessa Aurora Sanseverino.

TACITURNI ROMITI, O PASSEGGERO, / VIVON LIETI IN QUEST’EREMO BEATO, / CHE NON SENZA PROFETICO MISTERO, / NE’ TEMPI ANDATI IL MUTO FU APPELLATO. / QUI SI CONVERSA IN CIEL, QUI IN SPIRTO VERO, / DA MUTI E MORTI AL MONDO E’ DIO LODATO: / QUI PARLA IL VERBO AL CORE. ENTRI CHI TACE / PERCHE’ ‘L SOLO SILENZIO E’ QUI LOQUACE.


Un viale ombroso, affiancato da una Via Crucis, porta al grazioso santuario e alle cappelle sparse nel bosco. Sono: S. Michele, in alto S. Antonio, fatta costruire dalla duchessa C. Acquaviva; S. Pietro di Alcàntara, edificata per lascito di monS. G. Munos, dopo il 1715; Natività, oggi diruta; S. Giuseppe, oggi diruta, edificata nel 1781 dal P. Gaetano di S. Pietro, Provinciale, e custodiva una copia di Fr. De Mura; quella dedicata a S. Giovan Giuseppe, dove cadde il masso che stava per schiacciarlo, come ricorda la lapide:

D.O.M. SACRUM / IN QUO LOCO B. JOHANNES JOSEPHUS A CRUCE / AB EXTREMO DISCRIMINE COELESTI OPE SERVATU EST…

Nel 1779 fecero il lastricato innanzi alla chiesa e il giardino sottostante; altri restauri vennero inaugurati il 2 Aprile 1905 fino agli ultimi, curati nel 1975-76 dal padre Nicola Borretti o.f.m., coi quali sono state rifatte tutte le strutture interne.

Mettendo da parte qualche cimelio inaccettabile, e le imitazioni (S. Sindone, S. Chiodi, Veronica), fra i cimeli ricordiamo quelli riguardanti S. Giovan Giuseppe (la maschera di cera fatta da Maria de Matteis, il bastone che volò nel duomo di Napoli, dove l’aveva perduto), e il velo di monacazione di S. M. Maddalena de’ Pazzi; fra le relique insigni ricordiamo i corpi dei santi martiri Petronio (a sinistra) Flaviano (sotto), e Vincenzo (a destra). Il Provinciale fr. Gaetano scrive di averli avuti a Roma nel 1777, furono rivestiti di porpora data dalla Regina M. Carolina; a Piedimonte furono fermati al casino del duca, e la domenica 16 Settembre 1720 una processione, preceduta dal duca e da tutti i galantuomini, si diresse all’Annunziata, poi a S. Maria Maggiore, e il giorno seguente da S. Sebastiano le urne salirono a S. Maria Occorrevole; nel 1782 si aggiunsero altre reliquie di S. Vito martire, S. Donato vescovo e martire, e del beato Matteo da Girgenti. Su tutte emerge per la singolarità, il sangue di S. Teresa di Avila † 5 Ottobre 1582 (per la riforma del calendario calcolata al 15 Ottobre): la reliquia, portata a Napoli, era passata dal vescovo di Pozzuoli Nicola de Rosa, al protonotario apostolico Nicola de Bony, al principe di Piedimonte: il sangue era aggrumato, entrando nella solitudine si sarebbe liquefatto, dal Dopoguerra è tornato aggrumato; manca l’analisi chimica.

FONTE