giovedì 27 febbraio 2025

santi Mauro e compagni a Lavello

 


Un caso abbastanza tipico rispetto agli altri considerati in questa rassegno, è quello dei patroni di Lavello, diocesi fino al 1818, suffraganea di Bari. Mauro, insieme ad altri sette compagni1052, è uno dei santi africani martirizzati a Roma nel III secolo, sotto Numeriano. Tra i vari racconti che compongono il dossier di Mauro, quello che ci interessa più da vicino è stato scritto da un non altrimenti noto agostiniano vissuto nel XV secolo circa, Giacomo da Venosa (BHL 5791f), che narra della vita e delle due traslazioni delle reliquie di questi personaggi da Roma a Gallipoli (dove, a differenza che negli altri testi, avviene il martirio, «in loco vocato Lapis siccus seu salebrosus»1053, pur senza esplicitare la data di morte) e poi a Lavello, è contenuto in un codice manoscritto della BNNa del XV secolo (VI.E.17), e fu edito per la prima volta da Poncelet nel 19111054; è organizzato in dodici lezioni mattutinali, cosa che suggerisce il suo uso prettamente liturgico. Non essendo riscontrabili dei solidi elementi di datazione del testo possiamo solamente accettare come terminus post quem, definendosi il compilatore, nel colophon, come frate agostiniano, il XIII secolo. Giovanni non riferisce né il giorno della morte né quello dell’elevazione delle reliquie, ma indica solamente il mese di maggio come mese festivo del santo e dei suoi compagni. La ricorrenza della traslazione fu fissata al 2 maggio dai vescovi lavellesi in età moderna, mentre la tradizione greca e gallipolina commemora la traslazione delle reliquie il 1 maggio. 

Tutte le Chiese, comunque, festeggiano il dies natalis il 22 novembre. Una parte della tradizione fissa l’anno della traslazione al 10421055. Non è possibile stabilire allo stato attuale degli studi se il Mauro di Lavello sia lo stesso di quello di Bisceglie1056, o dell’Istria, o di Fleury o di altre zone d’Italia o d’Europa. Di certo, l’inizio del culto è da collocarsi attorno al IX secolo, quando Rabano Mauro ne compone un racconto agiografico, che poi si andrà arricchendo e caratterizzando secondo le varianti locali.

Ecco la leggenda così come si è sedimentata nella tradizione lavellese divulgata da Giuseppe Solimene, derivata dal summenzionato Giacomo da Venosa e poi leggermente modificata e arricchita su influsso delle altre recensiones dalla fine del basso Medioevo in poi. Attorno al 1060, sotto il primo vescovo di Lavello, Vincenzo1057, avvenne la traslazione lavellese delle reliquie di san Mauro e compagni Leonzio, Domno, Panunzio, Passarione, Domenzio, Terenzio e Patamone, uccisi dall’imperatore Numeriano il 22 novembre del 283 (anche se l’anno corretto potrebbe essere solamente il 284, come ha notato la critica1058). Quei corpi santi furono inizialmente gettati nel foro di Roma, proibita ogni sepoltura dal prefetto Celerino, ma in seguito alcuni correligionari di Mauro trafugarono i resti e li portarono via nave prima in Libia, e poi, inseguiti dagli emissari imperiali, in Salento, nei pressi di Gallipoli. I cristiani che furono protagonisti della rocambolesca fuga furono uccisi, ma le reliquie, nonostante fossero state gettate nel fuoco, si salvarono, e proprio lì, nei pressi di Gallipoli, sorse una chiesa dedicata ai martiri. Quando l’iniziale devozione dei salentini si affievolì, i resti e la chiesetta finirono sotto la custodia di un eremita. Nell’XI secolo, poi, l’arcidiacono di Conza Gerardo, imbattutosi, in qualità di delegato apostolico, nelle reliquie, decise di portarle in patria. Durante il tragitto, giunto avanti la chiesa della Madonna della Speranza, nei pressi di Lavello, il cavallo su cui erano trasportate le reliquie misteriosamente si rifiuta di avanzare, in modo inamovibile. Allora, chiamato il vescovo Vincenzo, giunto con gran folla di popolo dalla cittadina, si decide di caricare i venerandi corpi sul giogo di una coppia di giovenche trovate nei campi vicini, e di far scegliere ai due animali il luogo in cui depositare il sacro peso. Giunti alle porte della città dove sarà eretto l’arco di S. Mauro, dopo una pausa, i buoi proseguono fino alle porte della cattedrale, dedicata alla Vergine, inginocchiandosi miracolosamente. Tutti, a quel punto, interpretano l’accaduto come il segno della volontà divina, e così le reliquie restano sull’altare maggiore della chiesa madre fino alla costruzione della nuova cattedrale, dove saranno onorevolmente collocate. L’evento prodigioso fu annunciato dall’apparizione di una stella, che riappare ogni anno in occasione della festa, che si tiene il 2 maggio, giorno anniversario dell’accadimento1059.

Una comparazione è possibile tra questo gruppo di martiri e il nostro sant’Eustachio: anche in questo caso, infatti, siamo in presenza di una scelta effettuata dall’autorità ecclesiastica (un vescovo da una parte e un cenobio benedettino quantomeno appoggiato dal metropolita dall’altra), scelta che comportò l’elezione a patrono di santi martiri, non chierici, provenienti da un contesto cultuale discretamente distante, e tutto ciò nello stesso periodo, cioè l’XI secolo, con poco range di scarto anche volendo dare credito alle ipotesi sull’esistenza del monastero materano di Eustachio già verso la fine del X secolo. Le stesse considerazioni potrebbero farsi riguardo a Laverio, se non fosse che quest’ultimo si configura come un santo totalmente locale e il cui culto ha subito una vera accelerazione solo molto più tardi rispetto a tutti gli altri casi incontrati. Ci torneremo in conclusione.


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Abbiamo visto le ragioni che portarono in Basilicata il culto del martire atellano, ma ancora abbastanza oscure restano quelle che videro l’importazione della devozione eustachiana a Matera, in una situazione paragonabile a quella che riguarda Mauro e compagni martiri patroni di Lavello: in entrambi i casi si tratta di santi antichi la cui fortuna agiografica non è del tutto chiara, tanto da presentare dei problemi di identificazione/sovrapposizione nel caso dei santi gallipolini, confondibili con un altro gruppo di santi con a capo sempre un Mauro, ma vescovo (venerati a Bisceglie). A differenza del patrono secondario materano, però, possediamo il testo della translatio delle spoglie di questi otto “morti eccezionali” a Lavello, di epoca bassomedievale certo, ma comunque ben inserita nel contesto locale, ricca di dettagli toponomastici e generosa anche riguardo al nome del traslatore, pur senza fornire riferimenti più precisi.

Appare chiaro che il genere della translatio e la connessa elevazione di reliquie sante (anche in assenza di un testo che ne custodisca la memoria) potrebbe costituire una chiave di lettura privilegiata, il trait d’union che possa caratterizzare tutti i santi studiati. La santità basilicatese e acheruntina nel periodo che abbiamo trattato è una santità poco aggiornata alle più recenti battaglie ideologico-religiose che la curia romana porta avanti, nonostante i tentativi arnaldiani, pur non certo falliti, di installare due nuovi culti ad Acerenza e Matera. Era questa la via per fornire una propulsione identitaria a due centri demici in ascesa, in quanto uno era il nuovo e unico centro metropolitico basilicatese e l’altro un importante caposaldo nella costellazione dei dominati normanni, tanto notevole da attirare la visita papale.

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Purtroppo non conosciamo ancora molti dei volti che portarono avanti, tra alti e bassi, questi culti nuovi o recuperati, e a questo proposito sarebbe cruciale l’edizione delle pergamene ancora custodite negli archivi di Acerenza (ormai scansionate e attualmente consultabili online sul sito della Soprintendenza archivistica e bibliografica della Puglia), Potenza (oggi in parte visionabili sul sito monasterium.net) e Matera (nel cui caso si dovranno considerare anche le varie cronache ancora inedite), o nell’ASNa e nella SNSP, relative specialmente ai capitoli cattedrali, dove effettivamente si prendevano quelle decisioni ecclesiali i cui esiti sono in parte riconoscibili, anche a distanza di secoli, nella fortuna o meno di certe figure sante. Pur non avendo riscontrato, infine, delle significative concordanze a livello strettamente testuale ed ecdotico con le compilazioni agiografiche dei santi limitrofi, degli approfondimenti filologici specifici e dedicati ad ogni singolo testo potrebbero dare dei risultati interessanti e utili a stabilire dei rapporti di dipendenza genetica con le fonti letterarie dei santi patroni di Basilicata.

La storia ecclesiastica di Acerenza, assieme alle sue suffraganee medievali Matera e Potenza, non potrà che trarre giovamento e acquistare respiro da una futura indagine che parta dalle premesse che abbiamo tentato di porre qui.


Da: Per una “Basilicata sacra”. La santità patronale latina nel pieno Medioevo acheruntino: quattro casi di studio del Dott. Biagio Luca Guarnaccio


CHE RINGRAZIO PER LA CONDIVISIONE SUL WEB!!!

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