sabato 22 settembre 2012

LA PICCOLA VIA (1)





«Qual è la via che vuoi insegnare alle anime?» chiese Madre Agnese alla sorella sul letto di morte.
E lei rispose: «È il cammino della fiducia e del totale abbandono».

Betlemme: prima tappa della Piccola Via

«Farsi piccoli vuol dire riconoscere il proprio nulla,
tutto aspettare da Dio ...
non cercare ricchezze, non inquietarsi di nulla ...
non attribuire a se stessi le virtù che si praticano».
(da “Consigli e Ricordi”)

Se noi potessimo stringere tra le braccia il Bambino di Betlemme, come ci sarebbe più facile comprendere Dio, il suo amore e la sua volontà nei nostri riguardi.
Teresa l’ha intuito: il suo cammino di santità partì da lì, dalla capanna di Betlemme.
Non c’è un fanciullo in quella mangiatoia? Dio non ha scelto di farsi bambino per venirci incontro?
Ebbene, Teresa seguirà lo stesso cammino: ha compreso che per incontrare un Dio Bambino non c ‘è altra strada che farsi piccoli.
Non ricordavamo più le parole di Cristo: «Se non vi farete piccoli ... non entrerete nel regno dei cieli»?

Testi tratti da “La Piccola Via dell’Infanzia Spirituale”
Santuario di S. Teresa di Gesù Bambino - Verona

NOVENA AI SANTI MEDICI (6)



Chiesa di San Michele Arcangelo
Castellaneta (TA)


22 settembre
PREGHIERA AI SANTI MEDICI
(Parrocchia di San Gerolamo a Castrovillari, CS)

Con tutta l'umiltà del nostro cuore vi onoriamo e veneriamo, o Santi Martiri di Gesù Cristo, Cosma e Damiano. Con la Chiesa universale greca e latina vi rendiamo tributo di lode e di onore e non cesseremo di invocarvi in ogni nostro bisogno spirituale e temporale.

Vi preghiamo, o Santi e gloriosi Martiri, che come in vita, esercitando l'arte sanitaria con ammirevole carità e dedizione curaste le infermità più insanabili e le malattie più pericolose, non tanto per mezzo di medicamenti quanto con l'invocazione del nome di Gesù Cristo, così ora volgete su di noi i vostri occhi pietosi e vedendo quanti mali spirituali e corporali ci affliggono venite in nostro soccorso. Assisteteci, vi preghiamo, nelle malattie ed in ogni nostra tribolazione.

Non lo chiediamo solamente per noi, ma per tutti i nostri parenti, per le nostre famiglie, per i nostri amici e nemici, affinché, guariti nel corpo e nell'anima, possiamo dare gloria a Dio ed onore a voi, nostri Santi avvocati e protettori. Amen.

SAN FORTUNATO MARTIRE ROMANO, E NON TEBEO (2)



San Fortuanto martire romano
venerato a Lonate Pozzolo

Vita di S. Fortunato
----------- INVENZIONE -----------------------------------------------
Egli visse alla fine del terzo secolo ed all'inizio del quarto dopo Cristo. Era soldato della Legione Tebea, cosi chiamata perché risiedente nella Tebaide o alto Egitto, ed era composta di oltre diecimila uomini. Era pure detta Legione Fulminante, per i grandi prodigi di valore compiuti in Oriente. Il principale comandante era S. Maurizio il quale non vi accettava che dei cristiani, ragion per cui era composta, nella quasi totalità, di seguaci di Gesù Cristo.
Verso l'anno 303, l'imperatore Diocleziano richiamò in Roma la legione perchè si erano sollevati i Bagaudi della Gallia ed egli la mandò in aiuto di Massimiano, suo socio nell'impero, affinché debellasse tali nemici. Avendo Massimiano valicato le Alpi, accordò qualche giorno di riposo alla sua armata onde potesse ristorarsi dalle fatiche di un cammino così penoso e si accampò ad Ottoduro (oggi Martinac), nel Vallese.
Per ottenere poi buon successo alle armi dell'impero, ordinò che tutta l'armata facesse sacrificio agli dei.
La Legione cercò allora di allontanarsi e si portò ad Agaune, alle falde del Gran San Bernardo, dove arrivò il comando di Massimiano di fermarsi in attesa di ordini. E gli ordini furono che dovessero andare agli accampamenti per offrire il sacrificio.
Tutti rifiutarono e dissero: « Siamo cristiani e sacrifichiamo a Dio solo. »
Massimiano rinnovò l'intimazione di sacrificare, minacciandoli in caso contrario delta decimazione.
La risposta di Maurizio, Esuperio, Fortunato, Candido, Vittore e compagni fu questa: « Siamo tuoi soldati, o Cesare, ma servi di Dio. Da te riceviamo lo stipendio, da Dio avemmo la vita. A te dobbiamo il valore delle armi, a Dio la nostra fede. Ti sia dunque noto che non ti è lecito imporci un sacrilegio e l'apostasia ».
Non rispose il tiranno, ma nel cieco suo furore comandò che la Legione fosse decimata sperando che, alla vista del sangue, gli altri soldati si sarebbero sottomessi. E compiuta la decimazione rinnovò la minaccia, ma i Tebani risposero che la fede loro vietava di obbedire. Sdegnato Massimiano del rifiuto, comandò una seconda e forse una terza decimazione. Invano!... Disperando allora di poter vincere la costanza di quegli eroi, li fece circondare dalle truppe pagane con l'ordine di trucidarli tutti.
Fortunato ed i suoi compagni gettarono immediatamente le armi, si inginocchiarono, levarono le mani al cielo e cosi pregarono: « A Te, o Dio grande, offriamo la nostra vita e la nostra fede. A Te, o Gesù, che ci hai redenti col Tuo sangue offriamo tutto il nostro ».
E caddero quei prodi trafitti e sgozzati senza che un lamento uscisse dalle loro labbra o che una lagrima velasse i loro occhi. Il suolo fu coperto di cadaveri, il sangue scorse a ruscelli ed una ecatombe di circa settemila soldati venne ammonticchiata nella vallata del Rodano.
Tra questi trovò la gloria del martirio San Fortunato, il cui venerato Corpo fu, più tardi, portato a Roma
Un falso storico! Ciò non avveniva nell’antichità ed è la solita pia bugia per dire che quel corpo che viene da Roma è un tebeo.
unitamente a quelli di moltissimi altri compagni di lotta e di gloria.
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Peregrinazioni del corpo attraverso i secoli
Come sopra abbiamo detto, subito dopo il martirio, tutti i soldati uccisi trovarono sepoltura nella valle del Rodano.
Come prescrivevano però gli ordini dei Pontefici, vennero esumati non appena la Chiesa godette un poco di libertà e trasportati a Roma.
Cosi anche il Corpo di S. Fortunato venne sepolto a Roma nel Cimitero di S. Priscilla fuori di Porta Salaria.

Avvenuta verso la fine del 1600 la ricostruzione della Chiesa di Turbigo, ad opera e ad interessamento degli Agostiniani Scalzi, essendo nel 1605 divenuto papa Paolo V della famiglia Borghese, dietro richiesta di donna Ortensia di Santacroce, moglie di Francesco Borghese fratello del Papa, Paolo V con regolare Bolla in data 9 Gennaio 1614 concedeva alla Chiesa Parrocchiale di S. Maria Assunta di Turbigo i Corpi di S. Fortunato Martire, di S. Felicita Martire ed altri tre Corpi pure di Martiri che vennero cosi trasferiti a Turbigo dove, due anni dopo, e precisamente il 29 Ottobre 1616, il Vicario Generale della Diocesi di Milano Mons. Mario Antonino, ne faceva solenne ricognizione e conferma.
Quando nel 1943 il nostro Parroco Sac. Antonio Tagliabue poté vedere tali Corpi di Martiri, provando vivissimo desiderio di poterne avere qualcuno, cominciò a supplicare il Parroco di Turbigo stesso, Rev. Don Edoardo Riboni, perché gliene cedesse uno e finalmente, nel 1950, poté dal medesimo ottenere quello di S. Fortunato. Bisognò portare però tutte le ossa del Martire a Milano da Sua Eminenza il Cardinale Arcivescovo che ne volle fare la ricognizione e che, nella fatidica serata del 27 Settembre 1951, consegnava il Corpo di S. Fortunato al Parroco nostro nel Palazzo Arcivescovile, alla presenza di Mons. Alfonso Beretta, delle Autorità Religiose e Civili e dei rappresentanti della popolazione Lonatese, portatisi a Milano per farne la prelevazione.
Prelevamento in Arcivescovado del Martire
Tutto ormai era stato diligentemente preparato. L'urna meravigliosa di bronzo massiccio argentato (opera dei Sigg. Frat. Bertarelli di Milano) contenente il Martire nel corpo di cera riccamente abbigliato, i cancelli artistici di bronzo sotto l'Altare maggiore della Chiesa parrocchiale pronti per racchiudervi l'urna ed il paese che si era completamente trasformato in un giardino di addobbi, di verde e di luce che, grazie alla sfarzosa illuminazione, irradiava in ogni contrada, da ogni arcata, dal campanile e nell'esterno ed interno della Chiesa.
La giornata del 27 Settembre 1951 rimarrà, nella storia della nostra Parrocchia, come una delle date più memorande della vita religiosa di un paese. Da 15 giorni le campane a festa, scuotendo i cuori, preparavano l'evento.
Alle cinque del pomeriggio una colonna motorizzata (composta di 33 moto e di 10 automobili), sotto la direzione del Moto Club locale, tra il festoso suono delle campane e la gioiosa festività del popolo che già aveva abbandonato il lavoro, prende il via portando a Milano le Autorità Religiose e Civili.
Alle ore 19 tutto l'Arcivescovado e in movimento e gli incaricati della Questura e della Polizia compiono a perfezione il loro lavoro di ricevimento e di direzione della colonna motorizzata.
Nel cortile dell'Episcopio il furgoncino addobbato del Sig. De Tomasi Alfredo già racchiude il Corpo di S. Fortunato.
Nelle sale arcivescovili, in attesa del Cardinale, si danno convegno tutti i partecipanti alla consegna.
Notiamo, tra le Autorità Religiose, Sua Ecc. Mons. Alfonso Beretta vescovo di Hyderabad in India, il parroco nostro Rev. Sac. Don Antonio Tagliabue, il Rev. P. Enrico Bottini nostro concittadino, i RR. Padri del Pontificio Istituto Missioni Estere P. Carlo Galbiati, P. Pietro Costa, P. Nazzareno Ciattaglia, P. Rinaldo Bossi, P. Cristiano Penner, il Rev. Don Giuseppe Camagni parroco di Brugherio, il Rev. Don Franco Brambilla pure di Brugherio ed il Rev. Don Carlo Colombo assistente all' Ospedale Maggiore di Milano.
Tra le Autorità Civili vediamo il Sig. Angelo Rag. Turri sindaco di Lonate Pozzolo, il Sig. Antonio Sacconaghi vice sindaco, il Sig. Alberto Santangelo segretario comunale, gli assessori Sig. Zocchi Umberto, Sig. Pietro Gelosa e Sig. Giacomo Negri, i consiglieri Sig. Pier Giulio Ing. Dott. Bosisio, Sig. Francesco Simontacchi e Sig. Franco Rag. Grassini.
Notiamo ancora tra i presenti : il Sig. Antonio Spezzibottiani presidente degli Uomini Cattolici, il pittore Sig. Angelo Galloni autore del quadro ad olio e nostro concittadino, il Sig. Rossetti in rappresentanza dei Sigg. Fratelli Bertarelli di Milano, etc.

SAN FORTUNATO MARTIRE ROMANO, E NON TEBEO (1)



San Fortunato martire romano
venerato a Casei Gerola (PV)


San Fortunato di Casei Martire

16 ottobre e III domenica di ottobre


Patronato: Pantelleria
qui il patrono è un san Fortunato vescovo e martire

San Fortunato vescovo e martire
patrono di Pantelleria

San Fortunato è un legionario romano, africano, originario dell’Alto Egitto al confine con la Nubia, che poco più che ventenne, nel 286, coronò la sua fede col martirio in quello che oggi è il Vallese svizzero.
(FANTASIA!) dal 1765 il suo corpo fu traslato a Casei Gerola, in provincia di Pavia, importante borgo della diocesi di Tortona.
---------------- QUESTA PARTE e’ FASULLA -----------------
Nelle valli alpine settembre regala ancora giornate luminose, che profumano d’estate l’azzurro intenso del cielo terso, e insieme annunciano gli imminenti rigori dell’inverno, che incombe nell’aria via via più frizzante. Così doveva essere anche nella tarda estate dell’anno 286 nella valle di Agaunum, dove aveva posto il campo la legione Tebea, nelle aspre gole di monti selvaggi, confine della civiltà romana e via che univa la pianura padana alla valle del Reno: in quella che per noi oggi è la Svizzera meridionale, più precisamente il Vallese e la conca di Saint Moritz. Avvolti nella rossa clamide per difendersi dai venti autunnali e appoggiate al pilum, le sentinelle scrutavano le creste dei monti da cui avrebbero potuto scendere improvvisi e feroci i Bagaudi. Dalla primavera dell’anno precedente infatti i Bagaudi, agricoltori e pastori immiseriti dalla voracità dei governatori, riuniti in grosse bande percorrevano le campagne incendiando, saccheggiando, distruggendo; erano guidati da Amando ed Eliano, che sognavano di costituire sotto di sé un impero celtico, avevano sconvolto le Gallie ed ora minacciavano l’Italia. L’imperatore Diocleziano per combatterli aveva scelto fra i suoi generali uno dei più valorosi, Marco Aurelio Massimiano, illirico come lui, e lo aveva nominato “Cesare”, associandolo a sé nel governo dell’impero. Dall’Egitto era stata trasferita in fretta anche la legione Tebea, costituita da uomini valorosi, abituati a combattere per la gloria di Roma; erano i fedeli custodi dei confini meridionali dell’impero ed ora si trovavano nelle fredde terre del nord a fronteggiare barbari sanguinari. Venivano dalla valle del Nilo, erano stati arruolati nei villaggi attorno a Tebe d’Egitto, nei deserti della Nubia e giù fino alle cateratte del grande fiume e agli altipiani d’Etiopia. Erano figli dell’Africa e ne portavano i segni caratteristici nel colore della pelle e nei tratti del volto, erano figli della grande civiltà egizia che si esprimeva in loro in nobiltà e fierezza, erano soprattutto figli della Chiesa, Cristiani di una delle terre di più antica evangelizzazione, dove il Vangelo già era risuonato in età apostolica. Maurizio era il comandante in capo, Candido, Vittore ed Essuperio erano gli alti ufficiali, Alessandro custodiva, come signifero, le insegne da battaglia della legione; tra i militi vi era anche Fortunato. Il vento soffiava dalle cime delle Alpi, gelido e sinistro quasi fosse un presagio di morte, mentre i legionari ripensavano alle assolate distese del deserto nubiano, alle acque solenni del Nilo che scendevano a fecondare il loro paese, ai tanti volti cari lasciati al di là del mare. L’araldo giunse al campo con l’ordine di marcia, si dovevano levare le tende e partire, perché Massimiano aveva deciso di sferrare l’ultimo definitivo attacco volto a spezzare la resistenza dei ribelli, prima che le nevi dell’inverno coprissero i valichi e rendessero impraticabili i passi. Per propiziarsi l’esito della battaglia il comandante supremo ordinava a tutte le sue legioni di offrire sacrifici agli dei di Roma, ciascuna nel proprio campo, quella sera stessa prima della partenza. Un silenzio gravido di attesa scese su quei soldati, si guardarono uno ad uno, compagni di cento battaglie, qualcuno toccò sotto il giustacuore le cicatrici delle ferite ricevute nella difesa dell’impero; alla fine il silenzio fu rotto dalla voce del comandante: “Nessuno può dubitare in terra della nostra fedeltà a Roma e al suo imperatore: le zagaglie etiopiche e le lance numide, le spade nabatee e le asce barbariche non ci hanno mai fermato. Nessuno deve però dubitare in Cielo della nostra fedeltà a Cristo Signore: siamo Cristiani e non sacrificheremo mai agli idoli, agli dei falsi e bugiardi, che altro non sono che demoni oscuri!”. A quelle parole seguì un frastuono di spade che battevano sugli scudi; col consueto grido di guerra i legionari Tebei si preparavano all’ultima battaglia, quella del martirio; poi deposero le armi e attesero il carnefice. Caddero per primi gli ufficiali, poi venne l’ordine della prima decimazione, a cui seguì una seconda ed infine lo sterminio a colpi di clava dell’intera legione. Fortunato pregava con gli occhi levati in alto, guardava l’azzurro luminoso che in quel giorno era così simile al suo cielo africano: fra poco sarebbe entrato al cospetto del suo Signore; lui, giovane legionario egiziano, avrebbe ricevuto la corona dei martiri, avrebbe stretto in pugno la palma della vittoria.
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Non sappiamo come il corpo di San Fortunato venne trasferito dal luogo del martirio ad Agaunum nelle Alpi svizzere fino a Roma.
Un falso storico! Ciò non avveniva nell’antichità ed è la solita pia bugia per dire che quel corpo che viene da Roma è un tebeo.
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Forse lo raccolse e lo custodì un commilitone. Di certo sappiamo che fu venerato (sepolto!) nelle catacombe romane di San Callisto fino al 1746, quando il cardinale Guadagni, vicario di Papa Benedetto XIV per la città di Roma, ne ordinò la riesumazione e l’esposizione nella Collegiata romana di Santa Maria in Via Lata. Da Santa Maria in Via Lata le reliquie di San Fortunato giunsero a Casei nel 1765, come dono della Santa Sede al Prevosto dell’Insigne Collegiata, ai canonici e alla comunità casellese, tramite il vescovo di Tortona mons. Giuseppe Ludovico de Anduxar. Non deve meravigliare questo gesto, se si considera che la Parrocchia di Casei, fino al Prevosto don Bianchi agli inizi del 1900, fu di “collazione papale”, cioè il suo parroco era nominato direttamente da Roma con bolla papale e per potervi essere designato un sacerdote doveva esibire un titolo accademico in teologia conseguito presso una facoltà romana, come attesta un documento dell’archivio parrocchiale, datato 1806. All’epoca della traslazione a Casei di San Fortunato risale la preziosa urna che custodisce le reliquie e in quell’occasione le ossa del capo frantumate (indizio del martirio avvenuto a colpi di clava, come si usava fare presso l’esercito romano in occasione delle decimazioni) vennero inserite nella sagoma in gesso del teschio, poi rivestito con l’elmo.