lunedì 13 agosto 2012

Le reliquie di Santa Eufemia V. M. di Calcedonia




Con la presa di Calcedonia da parte dei Persiani nel 617, le reliquie della santa grande-martire Eufemia furono trasferite a Costantinopoli in una nuova chiesa costruita e a lei dedicata, intorno all’anno 620. Durante il periodo dell’eresia iconoclasta, la teca con le reliquie di sant’Eufemia fu gettata in mare per ordine dell’imperatore iconoclasta Leone l’Isaurico (716-741). Il reliquiario fu salvato dal mare da pii marinai, i fratelli Sergio e Sergonos, che lo trasferirono all’isola di Lemno donandolo al vescovo locale. Il santo vescovo ordinò che le reliquie fossero conservate in segreto, sotto una cripta, poiché l’eresia iconoclasta continuava a imperversare. Una piccola chiesa fu costruita sul luogo ove erano custodite le reliquie e dove fu anche collocato un cartiglio che indicava che esse lì riposavano. Quando l’eresia iconoclasta ebbe fine, condannata al santo Settimo Concilio Ecumenico (787), nel 796 quando san Tarasio era patriarca di Costantinopoli (784-806), regnanti i santi imperatori Costantino VI (780-797) e Irene sua madre (797-802), le reliquie della santa martire Eufemia furono di nuovo solennemente trasferite a Costantinopoli, dove riposano intatte fino ad oggi nella chiesa di San Giorgio del Patriarcato al Fanar.

In Italia alcune reliquie di santa Eufemia sono venerate nelle città di Sant’Eufemia d’Aspromonte (Reggio Calabria) di Irsina (Matera), e a Piacenza (scoperte il 13 aprile 1091, riconognizione ad opera del Beato Giovanni Scalabrini nel XIX secolo).



Reliquia del Braccio di S. Eufemia
conservato ad Irsina (MT)


C’è poi il culto e il sarcofago di Rovigno, Croazia.

Nell'800 (il 13 luglio), secondo quanto dice la tradizione, il sarcofago con le reliquie della santa sparì misteriosamente da Costantinopoli e riapparve, quasi miracolosamente, su una spiaggia di Rovigno in Istria. Probabilmente, i resti furono messi in salvo da alcuni fedeli barcaioli. Ancora secondo la leggenda, gli abitanti di Rovigno tentarono in svariati modi e con gli animali più forti di portare in città il sarcofago, ma invano. Vi riuscì infine un fanciullo con l'aiuto di due sole giumente, a dimostrazione che la cristianità non si basa sulla forza o sul vigore, ma sulla mitezza e la semplicità.

Piacenza, basilica di S. Eufemia
urna con le reliquie dei Ss. Martiri di Calcedonia
(Eufemia, Vittore e Sostene)

Il culto della santa a Rovigno, divenutane la patrona, è tuttora molto forte e le reliquie sono venerate presso la principale chiesa.

Santa Eufemia di Calcedonia
L'urna con le reliquie arriva a Rovigno

Sant'Apollinare, vescovo di Ravenna, raccolse probabilmente alcune reliquie della santa e le portò con sé nella sua opera evangelizzatrice in Romagna. I resti di Sant'Eufemia e di Sant'Agata furono rinvenuti nel 1686 sotto la lastra dell'altare della chiesa dedicata alla santa, come testimonia una scritta su carta pecora in romano arcaico ritrovata insieme ai resti.

ALESSANDO MARTIRE ROMANO, il Santo del Casato dei D'Alessando



S. Alessandro martire romano
Pescolanciano (IS)

Nella descrizione delle ultime volontà di Don Fabio (D’Alessando) sul punto di morte, si rinviene la seguente citazione circa il Santo: “(...)nella cappella del cortile sotto il titolo di S.Maria dell’Arco (...) la cui memoria della nostra Santa Romana Chiesa viene celebrata alli 27 del mese di Febbraio ed io con grandissima diligenza e devozione ho procurato con le solite egalità e legittime attenzioni la trasposizione del d. Glorioso Corpo da Roma per grazia, e benignità Apostolica; voglio et ordino che detto mio erede, e chiamati in perpetuum debbano fare stare accesa una lampada notte e giorno conforme di presente, et in ogni giornata delli 27 di Febbraio si debba solennizzare la festa di d. Glorioso Martire, cominciando dal primo Vespero, con tutte le giornate seguenti, con farvisi celebrare in detta giornata delli 27 di Febraro tutto quel maggior numero di messe, che si potrà havere da sacerdoti delle terre, e luochi convicini.Ordinando di più che detto mio erede è chiamato ogni giorno a far celebrare una messa in detta cappella del cortile,ordinando ancora a detto mio erede procurare con tutta la diligenza la continuazione e prorogazione dell'Indulto Apostolico di poter far celebrare in ditta cappella la d. messa quotidiana, anche nelli giorni più solenni, conforme io l'ho ottenuto dalla Gloriosa memoria di Papa Innocenzo decimo, durante la mia vita ”.


Qui è chiaro: le ossa di Pescolanciano sono di un’altro santo, omonimo al tebeo bergamasco, se no il duca Don Fabio d’Alessandro avrebbe chiesto di ricordarlo il 26 agosto.
 



 
I santi Alessandro e Martiri del Martirologio Romano sono molti.

Dal martirologio antico risultano due distinti Alessandro Martire, come già nel 1702:

27 febbraio: Martire a Roma con Abbondio, Antigono e Fortunato
26 agosto: Martire a Bergamo della legione tebea

Questo dimostra che il Duca don Fabio, cosciente che le reliquie erano di un martire romano, definì (comunque arbitrariamente) che erano quelle del Martire del 27 febbraio.

Dico arbitrariamente perché le reliquie di S. Alessandro “di Pescolanciano” sono solo di un martire romano, estratte dalle catacombe, e non si può dire per nessun motivo che sono quelle di colui che è venerato il 27 febbraio: ma comunque all’epoca si faceva così, si festeggiava un omonimo del Martirologio Romano.

Poi. Dalla Curia di Bergamo non risulta nessuna estrazione di ossa dall’urna del loro patrono, tanto più portate a Roma e poi donate ai D’Alessandro.

Quindi al duca Don Fabio diedero le ossa di un martire delle catacombe di Roma, di nome Alessandro, perché era bello pensare che il casato dei D’Alessadro venerasse un S. Alessandro M.

Credo sia tutto qui, il resto è solo fantasia.

Concludendo il Martire Alessandro del Casato dei d’Alessandro è un martire romano estratto dalle catacombe come spesso accadeva in tutto il XVI-XIX secolo.

PS: il santo soldato martire del 27 marzo nel MARTIROLOGIO ROMANO del 1702 è detto Martire in Pannonia.
Il calendario del 1859 come tutti i calendari “civili” attinge al Martirologio, riportando un santo del giorno e alcuni dati, in questo caso “soldato martire”. Ma questo non fa riferimento al corpo santo venerato a Pescolanciano.
La “santificazione” del martire di Bergamo non a nulla a che vedere con il 27 marzo e con le date in fu\è venerato a Pescolanciano: per quanto riguarda Wikipedia e internet, dicono quello che vogliono, spesso anche falsità (ma comprovandole sono state modificate), nel caso di Pescolanciano è la verità, mi spiace dirlo….
Credo che il Duca Fabio, fece come si usava: essendo il sacro corpo, di nome Alessandro, lo collocò in una data di un omonimo, il 27 marzo e poi dopo si scelse il 26 agosto, ma il criterio è empirico per entrambe: la data più opportuna sarebbe il 30 giugno festa dei primi martiri di Roma, in cui si colloca il corpo di Pescolanciano, oppure nella data del suo arrivo a Pescolanciano o anche nella data dell’autentica delle reliquie.


 

Nel MR del 1702 c’è sia Alessandro soldato il 27 marzo, come già sopra, ma anche in data 26 agosto Alessandro soldato martire a Bergamo (“soldato della medesima Legione”, perché nel testo sopra parla di San Secondo di Ventimiglia, martire della “Legione dei Tebei”), per cui la Santa Sede dopo il 1870 non cambio nulla…. Al massimo epurò i falsi storici, ma questo avvenne in molti altri casi, tutte le volte che fu riedito il Martirologio Romano.

Mi spiace dirlo, ma le reliquie del Martire di Pescolanciano, sono quelle di un Martire: è poco dire questo?
 
* * *

Interessantissima novità è l'autentica pubblicata sul sito della famiglia D'Alessandro.




L'autentica è interessantissima per porre un sigillo alla questione. In essa non si dice che è il martire di Bergamo, ma che è il martire Alessandro; e poi si parla di "cum vasculo eius sangunis", se è quello che pare (CON IL VASO DEL SUO SANGUE), ci troviamo difronte ad un tipico elemento di identificazione delle reliquie dei martiri nelle catacombe romane, e se quelle ossa vengono dalle catacombe romane, perché del Martire di Bergamo non c'è come elemento identificativo il vaso di sangue, non vengono da Bergamo, quindi il martire dei duchi D'Alessandro è un martire romano, solo omonimo a quello di Bergamo.

La questione è conclusa.

W S. Alessandro martire romano, venerato a Pescolanciano!

Prima nemici e poi amici in Cristo



Martirologio Romano, 13 agosto: Santi martiri Ponziano, papa, e Ippolito, sacerdote, che furono deportati insieme in Sardegna, dove entrambi scontarono una comune condanna e furono cinti, come pare, da un'unica corona. I loro corpi, infine, furono sepolti a Roma, il primo nel cimitero di Callisto, il secondo nel cimitero sulla via Tiburtina.

Dalle «Lettere» di san Cipriano, vescovo e martire
Con quali lodi vi potrei celebrare, o miei fortissimi fratelli? Con quale parola di encomio potrei esaltare degnamente la intrepidezza delle vostre anime, con quali espressioni magnificare la perseveranza della vostra fede? Sopportaste sino alla gloria la durissima prova e non cedeste ai tormenti, ma a voi piuttosto dovettero arrendersi i supplizi. I tormenti, che non concedevano fine ai dolori, diedero compimento alla gloria. Continuò a lungo lo strazio, fu assai crudele il supplizio, ma non riuscì a sommergere una fede che trovò bene ancorata, e altro esito non ebbe che di portare più rapidamente al Signore gli uomini di Dio.
La moltitudine dei presenti, commossa, vide il celeste combattimento di Dio e la battaglia spirituale di Cristo; vide fermi i suoi servi, sentì la loro voce franca e coraggiosa, stupì di fronte all'incrollabile saldezza del loro animo, si meravigliò della forza divina che li sosteneva, constatò che, anche se indifesi contro gli strali di questo secolo, erano tuttavia armati delle armi dei credenti, cioé della fede. I torturati si alzarono più forti dei torturatori e le membra percosse e dilaniate vinsero gli artigli che percuotevano e laceravano. I colpi si succedevano ai colpi, ma il loro infuriare non poté vincere la loro fede inespugnabile benché nei servi di Dio, dopo che furono lacerate le carni, venissero torturate non più le membra, ma le ferite stesse. Scorreva il sangue per spegnere l'incendio della persecuzione, per soffocare con il suo glorioso spargimento le fiamme e il fuoco della geena. Oh di quale genere fu quello spettacolo del Signore, quanto sublime, quanto grande, quanto gradito agli occhi di Dio per la fedeltà e la devozione del suo soldato!
Si verificò quanto lo Spirito Santo dice e proclama nei salmi: «Preziosa agli occhi del Signore é la morte dei suoi fedeli» (Sal 115, 15). Preziosa é la morte di colui che acquista l'immortalità col prezzo del proprio sangue, che riceve la corona di Dio con l'estremo sacrificio. Quanto lieto fu colà Cristo, quanto volentieri combatté e vinse in tali suoi servi! Cristo é il protettore della fede. E' lui che dona a coloro che credono in proporzione della loro disponibilità. Nella persona del martire fu egli stesso presente al proprio combattimento, incoraggiò, rinvigorì e animò i combattenti e i difensori del suo nome. Colui che vinse una volta la morte per noi, la vince sempre in noi.
O beata la nostra Chiesa, che Dio illumina ancora e onora di tanta dignità, la nostra Chiesa che anche ai nostri tempi é resa splendente dal sangue glorioso dei martiri! Prima era candida nelle opere dei fratelli, ora é diventata purpurea nel sangue dei martiri. Fra i suoi fiori non mancano né i gigli né le rose. Ognuno aspiri al duplice altissimo onore, procurando tuttavia di avere almeno o la corona candida delle opere, o quella purpurea del martirio.


Novena alla Madre di Dio in Cielo assunta (VIII)


Missaglia (LC)

8° GIORNO:
* Sia benedetta, Maria, l'ora nella quale foste riconosciuta Regina suprema di tutto il cielo.
Ave Maria...

O Padre di misericordia, datore di ogni bene, noi ti ringraziamo perché dalla nostra stirpe umana hai eletto la beata Vergine Maria ad essere Madre del Figlio tuo fatto Uomo. Ti ringraziamo perché l’hai preservata da ogni peccato, l’hai riempita di ogni dono di grazia, l’hai congiunta all’opera di redenzione del tuo Figlio e l’hai assunta in anima e corpo al Cielo.

Ti preghiamo, per sua intercessione, di poter realizzare la nostra vocazione cristiana, di crescere ogni giorno nel tuo amore e di venire con Lei a godere per sempre nel tuo regno beato. Amen,

3 Ave Maria

A SAN ROCCO IL PELLEGRINO (VII)







13 agosto
Il cane di San Rocco
Gli uomini trattano Rocco "come un cane", ed è proprio un cane che riscatta la categoria trattando Rocco "come un uomo". Il cane in questione (che la tradizione vuole si chiamasse "Reste") fa parte della muta del nobile Gottardo Pallastrelli, signore del castello di Sarmato; un giorno Gottardo vede il suo cane prendere un pane dalla tavola e scappar via. La scena si ripete per più giorni e allora il padrone, incuriosito, lo segue e scopre così il rifugio di Rocco al quale, malato e sofferente, il cane porta il pane rubato. Il nobiluomo prende Rocco con sè e lo cura. La santità di Rocco è contagiosa come la peste: Gottardo rinuncia ai suoi beni e presta il suo servizio ai malati. Gottardo è il primo "discepolo" di San Rocco.

preghiera composta a Montpellier nel 1809 in occasione della ricollocazione delle Reliquie della tibia del santo nell’antica chiesa di San Paolo (già dei Trinitari), e nel 1830 poi dedicata a San Rocco.

Glorioso San Rocco, (nato nella nostra città e divenuto Patrono di questa Parrocchia),
accetta l’omaggio che vogliamo rendere ai tuoi meriti.
Fin dalla tua infanzia, per te la vita del mondo non contava: ai suoi vani piaceri preferivi
il digiuno, l’austerità, le privazioni.
I tuoi beni terreni, titoli, speranze, a tutto rinunciasti: ti bastavano le qualifiche di povero
e di cristiano.
Nascosto dall’anonimato, le pene di Cristo furono le tue beatitudini e negli ospedali ti prodigavi, dando la tua vita, nel curare e nel servire i poveri, i malati e gli appestati. Quanta pazienza nel tuo dolore, quale abbandono in Dio nel tuo venir emarginato, che eroico impegno a voler vivere e morire da sconosciuto!
Ma Dio che glorifica i suoi santi in Cielo ti ha voluto anche glorificare sulla terra. Il tuo culto comincia subito dopo la tua morte: Montpellier ti invoca, intere regioni e nazioni ti invocano, durante il Concilio di Costanza la Chiesa stessa ti invoca, e, ovunque, Dio esaudisce le invocazioni di chi si rivolge a te. Grande santo, anche noi abbiamo la stessa fiducia in te, fiducia che in questo nostro luogo è ancora più ravvivata dalle insigni reliquie che provvidenzialmente possediamo. Proteggici dai danni della peste, allontana i suoi flagelli, allontanali dai nostri luoghi.

Noi siamo inginocchiati ai tuoi piedi, però, perché richiamati da un altro nobile obiettivo. Siamo meravigliati dal modo in cui le tue virtù si sono manifestate: che ci sia dato almeno di essere tuoi seguaci e di tendere alla perfezione evangelica su cui hai forgiato il tuo carattere!
Ottienici almeno, nella nostra debolezza umana, di camminare sulla strada che ci hai tracciato.
Ottienici un vero spirito di mortificazione e di penitenza, di umiltà e di rinuncia di sé, di abnegazione e di sacrificio, di pazienza e di sottomissione, di zelo e di carità, che ci faranno santi.
Con questo spirito, il peccato non infetterà più la nostra anima; con questo spirito praticheremo le virtù che desideriamo avere; e per mezzo di tutto ciò, ci troveremo rivestiti dello spirito dei giusti che ci renderà graditi agli occhi di Dio: cosicché, dopo esser stati tuoi concittadini e, meglio ancora, tuoi imitatori sulla terra, ci sia possibile diventare con te concittadini del Cielo, ed abitare insieme, per sempre, nella stessa patria eterna.
Così sia!