mercoledì 29 maggio 2019

Fede e arte da Porto Torres, passando per Oristano fino in Barbagia (3)


Chiesa di San Pietro extra muros in Bosa

Appena fuori dal centro abitato di uno dei borghi più caratteristici della Sardegna, sorge il più antico edificio di culto romanico dell’Isola, un tempo cattedrale, oggi splendido monumento dal caratteristico colore rossastro

San Pietro è detta extra muros perché si trova fuori dalle mura del castello, di cui è più vecchia di mezzo secolo. Attorno sorgeva il nucleo originario della città, abitato sino a tutto il Cinquecento. Quando poi, sulle pendici del colle, fu completato il rione sa Costa, la popolazione si trasferì. Una migrazione di due secoli: Bosa vetus scomparve.

Il santuario è frutto di un lungo processo. La parte più antica è di metà XI secolo, attestato dall’epigrafe di consacrazione che riporta l’anno MLXIII, mentre al secolo successivo risalgono tribuna con nuova abside, torre campanaria (alta 24 metri e incompiuta) e muri perimetrali. Le esondazioni del Temo compromisero alcune parti, ricostruite a metà XX secolo: il complesso riprese l’aspetto medievale. Oggi ammirerai una chiesa che, perso il titolo di cattedrale, ha mantenuto intatto il fascino. La facciata (del XIII secolo) è decorata da ampie arcate e archetti intrecciati. In cima noterai un’edicola sorretta da colonnine, avvolte da un serpente intrecciato. Un’arcata incornicia il portale, sopra il quale ti colpirà un architrave scolpito con finte logge e sei archetti che ospitano bassorilievi raffiguranti, in composizione gerarchica, la Madonna col Bambino nell’edicola centrale maggiore, a fianco Albero della Vita e santo vescovo (forse Costantino de Castra che consacrò l’edificio), sul lato destro san Pietro e a sinistra san Paolo, con vesti dagli elaborati drappeggi. Il vescovo è nell’edicola minore ma gli si fa occupare un posto accanto alla Vergine. L’abside è divisa in cinque sezioni da lesene che sostengono mensole che a loro volta sorreggono archetti. In tre di esse osserverai monofore che contribuiscono a illuminare l’interno, composto da tre navate: la mediana coperta da capriate lignee, quelle laterali voltate a crociera. Ad esse accederai da nove archi a tutto sesto per lato, sorretti da pilastri quadrangolari. Nel primo a destra troverai un fonte battesimale in calcare bianco.

Cattedrale di Bosa e Santi Emilio e Priamo Martiri

L’edificio, ora intitolato alla B.V. Maria Immacolata, fu costruito lungo la sponda destra del fiume Temo forse già nel XII secolo, ma non ebbe da subito il titolo di cattedrale. Solo col tempo la chiesa divenne sempre più un punto di riferimento importante per la comunità, tanto da essere scelta come sede della nuova cattedrale della città di Bosa. Il primitivo edificio fu così demolito e ne fu costruito un altro più degno di cui resta traccia in un tratto di muro risalente al XIV-XV secolo, visibile dietro la sacrestia. Agli inizi del XIX secolo, per le precarie condizioni delle strutture, si resero necessari urgenti lavori di manutenzione e in parte di totale ricostruzione, che furono affidati all’architetto Salvatore Are, bosano, e che diedero all’edificio l’aspetto attuale: un’unica grande e spaziosa navata nella quale si aprono otto piccole cappelle di cui la prima a destra si sviluppa in un profondo vano, denominato “cappellone”, e la prima a sinistra ospita il magnifico fonte battesimale (XVI-XVIII sec.). L’aula termina con un vasto presbiterio sopraelevato. L’area presbiteriale, molto profonda, coperta da cupola ottagonale (progettata ai primi dell’Ottocento dall’architetto Domenico Franco) e conclusa da un’abside semicircolare, è rialzata e separata dalla navata da una balaustra marmorea. Si accede al presbiterio tramite una gradinata centrale con alla base due leoni marmorei e due laterali. In marmo è anche l’altare maggiore seicentesco, coronato dalle statue dell’Immacolata e dei santi Emilio e Priamo, martiri. Dietro l’altare sono disposti gli stalli intagliati del pregevole coro ligneo. Sull’ingresso principale di contro al presbiterio, domina l’alta tribuna, che occupa tutta la larghezza della grande navata circa 11.50 metri, dove troneggia l’organo contenuto in una grandiosa cassa. Le pitture che decorano le pareti della cattedrale furono realizzate dall’artista parmense Emilio Scherer tra il 1877 e il 1878.

L’interno mostra dipinti del pittore E. Scherer, che operò a Bosa tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, insieme con altre opere marmoree e lignee inquadrabili in un arco cronologico tra il XVI e il XIX secolo. La facciata ricostruita agli inizi del XIX secolo è divisa in due ordini da una robusta trabeazione, a somiglianza di quella del Carmine, ed è impreziosita da eleganti decorazioni.

Le cappelle del transetto sono dedicate a San Giuseppe, alla Madonna di Bonaria, alle anime del Purgatorio.

Santi Emilio e Priamo, martiri sardi. Il 28 maggio nel Martirologio Romano leggiamo: “In Sardegna i santi Martiri Emilio, Felice, Priamo e Luciano, i quali, combattendo per Cristo, furono da lui gloriosamente coronati”. Secondo la tradizione furono martirizzati durante la persecuzione neroniana e di loro, i santi Emilio, che si dice fosse prete, e Priamo soldato, sono i Patroni principali della Diocesi di Bosa.

Cappella palatina: Nostra Signora de Sos Regnos Altos in Bosa

All’interno della cinta del Castello di Serravalle, fu costruita nel XIV secolo nella piazza d’armi; negli anni Settanta del secolo scorso un restauro ha portato alla luce uno splendido ciclo affrescato, riferito ad ambiente italo-provenzale - presumibilmente da un pittore di origine toscana - e databile agli anni tra il 1350 e il 1370. Gli affreschi si trovano sulle tre pareti originali della chiesetta, che venne ampliata successivamente con l'aggiunta del presbiterio e dell'abside. Opera di un autore ignoto proveniente dalla scuola spagnola, la serie di affreschi potrebbe essere datata nel periodo precedente al 1370.

Lungo la parete sinistra, procedendo dall'abside verso la porta d'ingresso, si possono osservare, nella parte superiore, le rappresentazioni dell'Adorazione dei magi e dell'Ultima Cena, nella quale sono sequenzialmente rappresentati Gesù, Giovanni, Giuda, Pietro, Andrea, Filippo, Giacomo maggiore, Taddeo, Tommaso, Bartolomeo, Matteo, Simone e Giacomo minore. Seguono le rappresentazioni di dottori della Chiesa e degli evangelisti.

Nella parte inferiore sono rappresentate santa Lucia e Maria Maddalena, alle quali si aggiungono una serie di santi: santa Marta, san Giacomo maggiore, sant'Eulalia, sant'Agata, sant'Agnese, santa Barbara, santa Vittoria, santa Reparata, santa Margherita, santa Cecilia, santa Savina e sant'Orsula.

Nella parte alta della controfacciata sono rappresentati san Martino ed il povero e san Giorgio che uccide il drago. Nella parte bassa sono visibili santa Scolastica, san Costantino imperatore, sant'Elena, l'arcangelo Gabriele e la Vergine annunziata. Accanto alla porta d'ingresso è rappresentato san Cristoforo.

Nella parte alta della parete destra sono raffigurati una serie di santi ignoti mentre nella parte bassa è rappresentato l'Incontro dei tre morti e dei tre vivi ed il martirio di san Lorenzo.

Nei registri catastali la prima intitolazione della chiesa era a Sant'Andrea apostolo e solo intorno alla fine del XIX secolo ha assunto il nome odierno. Non si hanno menzioni della struttura originaria dell'edificio, che nei secoli ha subito interventi pesanti. Oggi si presenta come una chiesa ad aula unica, dove la zona presbiteriale è stata interamente rifatta. Gli studi più recenti hanno comunque proposto una datazione dell'edificio al XII secolo e una serie di interventi successivi nel corso del XIV. Fra questi interventi vi è anche la realizzazione del ciclo di affreschi che si può ammirare in tre delle quattro pareti della chiesa. Questi si collocano in controfacciata e nei due lati lunghi e sono stati pesantemente mutilati dalla ricostruzione dell'abside, in periodo non documentato.

Il culto mariano. Da più di 150 anni a Bosa, città regia nel nord ovest della Sardegna, il secondo fine settimana di settembre è dedicato ai festeggiamenti in onore di Nostra Signora de sos Regnos Altos, tradotto letteralmente la festa del Regno dei Cieli.

La festa ha origine nel 1847, quando una piccola statua di legno raffigurante la Madonna fu ritrovata da un bambino tra le rovine del suggestivo castello dei Malaspina, che domina la cittadina. La statuetta fu denominata di Regnos Altos e custodita all’interno delle mura del castello, nella chiesa inizialmente dedicata a S. Andrea che conserva splendidi affreschi a sfondo religioso risalenti al 1300 circa.

Alla Madonna viene dedicata una festa e una processione, che si snoda per le strade del paese addobbate con fiori, frasche e bandierine colorate.  La processione è guidata dalla confraternita e da numerosi gruppi folcloristici, che accompagnano la statua della Madonna nell santuario all’interno delle mura del castello. Lungo le viuzze che si arrampicano dal fiume Temo, tra il castello e la Cattedrale dell’Immacolata, gli spazi a corte e le vie vengono trasformati in passaggi verdi, ottenuti piegando ad arco lo stuolo di migliaia di canne. I fedeli del quartiere medioevale di Sa Costa allestiscono “sos altarittos”, piccoli altari ornati di filigrana d’oro, coralli, fiori e pizzi preziosi in filet (il ricamo al telaio per cui le donne bosane sono famose) davanti ai quali la Madonna si ferma per una preghiera.

Fede e arte da Porto Torres, passando per Oristano fino in Barbagia (3)


S. Maria di Betlem in Sassari

 
Tra il secondo e il terzo decennio del XIII secolo, la comunità francescana si insediò a Sassari, dopo aver ricevuto in dono il monastero di Santa Maria di Campulongu, che nel 1106 era stato donato ai benedettini di S. Vittore di Marsiglia dal giudice di Torres Costantino I di lacon-Gunale. Negli anni 70 – 80 del XIII secolo fu ampiamente modificato l’impianto preesistente della chiesa e del convento.

Il primo intervento consistente è quello collocato tra il 1440 e il 1465 quando la chiesa venne ampliata e praticamente rifondata, con la realizzazione tra l’altro di alcune cappelle in stile tardogotico e una enorme volta a crociera nel presbiterio. Alla fine del XVI secolo vi fu educato e vi divenne sacerdote Francesco Zirano, frate francescano martire e poi beato. Nel XVII secolo fu aggiunta l’abside semicircolare ad ingrandimento del coro. Le capriate lignee della copertura della navata vennero sostituite nel XVIII secolo con volte a crociera. Tra il 1829 e il 1834 la chiesa venne restaurata su progetto del frate architetto Antonio Cano, che introdusse nella fabbrica elementi architettonici e decorativi dello stile rococò e neoclassico; tra gli altri interventi, venne realizzata la struttura cupolata, a pianta ellittica, che andò a sostituire il transetto a volta gotica del precedente impianto. Lo stesso Cano, nel 1813 aveva curato il restauro del convento attiguo. Nel 1846, l’architetto Antonio Cherosu realizzò la torre campanaria a canna cilindrica che sostituì il campanile gotico catalano a pianta ottaganale del XIV secolo, crollato improvvisamente dopo i lavori del frate Cano. Nel 2014, a seguito della beatificazione di padre Francesco Zirano, all’esterno della chiesa è stata collocata una statua che ne rappresenta il martirio. Vandalizzata poco tempo dopo, è ora conservata nel convento.

La facciata, nella parte bassa, conserva ancora la vecchia struttura del monastero costruito nel 1106 su disposizione del Giudice Costantino di Torres. Si possono ammirare l'arco strombato sopra il quale, separato da una cornice modanata, giace un grande rosone anch'esso strombato e risalente al '400. Ancora sopra, un'ulteriore luce costruita intorno al '700, conferisce all'interno della chiesa un'ottima illuminazione. La chiesa, che venne più volte ampliata e rimaneggiata nel corso dei secoli, presenta le influenze dei vari periodi storici; è caratterizzata dallo stile romanico con la presenza di elementi del periodo gotico e aragonese ed è sormonata da una grande cupola, con altre luci e una statua della Madonna, sotto la quale è inciso: fermati passegger e il capo inchina a salutar del ciel la gran regina

L'interno è caratterizzato da una navata unica. E' impreziosito da elementi architettonici di pregio, da colonne con capitelli a foglie a crochet, affreschi, statue e bassorilievi. Sono presenti diverse cappelle in diversi stili, dal barocco al gotico, raffiguranti i vari gremi cittadini (Muratori, Sarti, Falegnami, ecc.). La chiesa è sede di sette gremi cittadini: il gremio dei Muratori, quello dei Sarti, degli Ortolani, dei Falegnami, dei Contadini, dei Piccapietre e degli Autoferrotranvieri.
Gli altari sono in legno intagliato, risalgono al '700 e furono costruiti per mano degli artigiani sassaresi. Nella chiesa sono inoltre custoditi i Candelieri votivi, anch'essi in legno intagliato, utilizzati durante la processione del 14 agosto, conosciuta come la Discesa dei Candelieri.
All'interno del Santuario, sono presenti altre bellissime opere, come ad esempio la statua lignea risalente al '400 raffigurante la Madonna della Rosa, i dipinti del pittore modenese Giacomo Cavedoni, ed infine un pulpito e un retablo, sempre in legno, opere di Giovanni Antonio Contena.

Davanti alla chiesa si apre un grande chiostro con pavimentazione in pietra, ove giace la fontana risalente al '500, chiamata fontana del Brigliadore, dal catalano brillador che significa zampillo, impreziosita da decorazioni di mostri bronzacei e tre stemmi. 

La chiesa venne menzionata nel tempo da diversi personaggi illustri, come il generale Alberto Della Marmora e Vittorio Angius.

Come arrivare: giunti a Sassari, procedere verso il centro e la stazione. Superata la stazione procedere ancora dritti. La chiesa apparirà dinnanzi a voi sulla sinistra, dopo il semaforo.

Beato Francesco Zirano martire

Francesco Zirano nacque a Sassari attorno all'anno 1564 in una famiglia contadina. Si trovò presto orfano di padre. La famiglia era devota ai protomartiri Gavino, Proto e Gianuario e da Sassari due volte all'anno era usanza partire in pellegrinaggio al santuario di Porto Torres. Ricevette un'istruzione di base dai frati di Santa Maria di Betlem e, devoto alla Madonna, già a quindici anni seguiva le regole del convento e a ventidue nel 1586 fu ordinato sacerdote dall'arcivescovo Alfonso de Lorca, alla presenza del cugino Francesco Serra, figlio di una sorella della madre, che da poco aveva vestito l'abito.

Svolse normali incarichi sacerdotali. Nel 1590 suo cugino Francesco Serra fu rapito da corsari turchi e condotto ad Algeri. Per otto anni pregò per lui e decise infine di andarlo a liberare pagando il riscatto, avvalendosi dei Mercedari. Fu autorizzato il 19 marzo 1599 da papa Clemente VIII per la durata di un triennio. Raccolse denaro in giro per la Sardegna, impegnandosi anche per altri schiavi catturati; infine partì nella primavera del 1602. Fece tappa in Spagna dove il re Filippo III gli affiancò fra Matteo de Aguirre, che in segreto e ad insaputa di Francesco Zirano aveva una missione politica segreta a favore del regno di Kuku (centro della Cabilia, scritto anche Koukou) contro Algeri.

Giunto a Cuco, ne partì il 18 agosto travestito da mercante e con un interprete, arrivando ad Algeri il 21.

La situazione politica con la Spagna era tesa e un bando limitava la libertà dei cristiani, inoltre vi fu l'arresto di un rinnegato proveniente da Cuco che portava alcune lettere di fra Matteo a padre Zirano e ad altri cristiani, che riportavano la rinuncia a occuparsi del riscatto degli schiavi; padre Zirano restò prudentemente lontano dalla città. Tornò a Cuco portando con sé quattro cristiani liberati nei dintorni di Algeri e, impossibilitato ad agire, divenne aiutante di fra Matteo. Il cugino rimaneva in carcere, dove aveva tra l'altro imparato l'arabo.

Quando il re di Cuco conseguì una vittoria ritenne opportuno comunicarlo al re di Spagna suo alleato e proprio padre Zirano fu incaricato di portare la lettera, ma fu catturato, forse a seguito di una manovra premeditata di tradimento. Francesco fu spogliato, percosso, incatenato e condotto ad Algeri il 6 gennaio 1603; in carcere trovò altri cristiani. Padre Zirano era stato scambiato per fra Matteo de Aguirre; venne isolato e fu stabilito un enorme riscatto. Finalmente rivide il cugino Francesco Serra che purtroppo dovette comunicargli la condanna a morte. Padre Zirano chiese un confessore ma non fu accontentato. Si tentò il suo invio a Istanbul, capitale dell'Impero turco da cui dipendeva anche Algeri, cogliendo l'occasione della partenza di una nave inglese, per rassicurare i turchi, attraverso la consegna del prigioniero, che la guerra contro il re di Cuco non ne aveva intaccato il potere politico. Il tentativo fallì a causa del consistente riscatto richiesto.

Il 24 gennaio venne radunato il Gran Consiglio della città per decidere senza interrogatorio la condanna, nonostante si fosse reso conto dello scambio di persona, e giunse senza successo a proporre a padre Zirano l'abiura. Un banditore proclamò per le vie della città che il condannato aveva "rubato" quattro schiavi ed era "una spia". L'esecuzione venne eseguita il 25 gennaio 1603. Vestito con una tunica e con una catena al collo, attraversò l'affollata strada centrale di Algeri tra urla e insulti, mentre pregava ad alta voce recitando il canto biblico dei tre fanciulli. Fu scorticato vivo e tuttavia come Gesù Cristo crocefisso invocò perdono per i carnefici con le parole "Padre, perdonali!". Dopo la morte la pelle, imbottita di paglia, fu esposta presso una porta della città, la porta di Babason.

I cristiani si appropriarono di alcuni lembi della pelle del martire, custodendoli. Alcuni giunsero in Italia; in Sicilia venne portata una mano e la pelle di un braccio, tuttavia di queste reliquie si persero successivamente le tracce.

Il cugino Francesco Serra, trovata la libertà, riscattò a sua volta alcuni schiavi cristiani, e riuscì in seguito anche a dare al corpo straziato una sepoltura. La fede di padre Zirano suscitò un'ammirazione commossa e la fama del suo martirio è stata tramandata.

La fama del martirio fu subito evidente al frate osservante Antonio Daça, il quale nel 1606 a Valladolid raccolse la deposizione dei due testimoni oculari cristiani, Giovanni Andrea di Cagliari e l'ex schiavo spagnolo Joan Ramirez; successivamente la pubblicò.

Nel 1731 sia i frati minori conventuali sia i frati osservanti, controversamente convinti dell'appartenenza di padre Zirano alla propria famiglia francescana, richiesero alla Congregazione dei Riti di aprire un processo canonico di beatificazione; i due ordini vennero invitati ad accordarsi e a risolvere la controversia. La situazione rimase bloccata; storici di quel secolo e del successivo conclusero a favore dei conventuali, che tuttavia furono ostacolati nel riprendere l'iniziativa in quanto la loro sopravvivenza come ordine era minacciata da diffuse politiche avverse al clero regolare.

Nel 1926 il postulatore generale padre Giuseppe Vicari richiese al ministro provinciale della Sardegna una documentazione il più possibile completa su tutta la questione e il frate Costantino Devilla fu incaricato della ricerca storica.

Dopo la seconda guerra mondiale il frate Antonio Ricciardi, nuovo postulatore, tentò di introdurre la causa presso la Congregazione dei Riti, ma il relatore della sezione storica gli consigliò la ricerca di ulteriore documentazione.

Nel 1977 padre Umberto Zucca, storico dei conventuali sardi, avviò un lavoro di ricerca tra archivi vaticani, italiani e spagnoli (soprattutto a Simancas, Madrid, Palma di Maiorca e Barcellona) che in otto anni gli consentì la raccolta di una documentazione esauriente e inoppugnabile: nel corso di tale lavoro furono scoperte altre sette relazioni sul martirio oltre alle due già note, il numero di segnalazioni di storici e agiografi sulla fama del martirio lungo i secoli giunse a centotrenta e alla più antica raffigurazione già nota del martirio risalente solo al 1924, olio su tela di Vincenzo Carotti presso Santa Maria di Betlem a Sassari, se ne aggiunsero altre a partire da quella più antica del 1646 a Taurano in Campania (le altre sono a Falerone nelle Marche, a Venezia, a Cagliari, a Vienna e a Monaco di Baviera).

Già il 18 maggio 1984 c'era una documentazione sufficiente che diede luogo da parte della Congregazione dei Riti all'approvazione dell'istruzione della causa di beatificazione, mantenendo tuttavia un certo riserbo. Il 25 novembre dello stesso anno l'arcivescovo di Sassari Salvatore Isgrò istituì la commissione diocesana per l'esame della documentazione raccolta e il 15 agosto 1990 autorizzò con decreto l'inchiesta diocesana sull'asserito martirio, aprendo così il processo diocesano, e il successivo 22 settembre nella chiesa di Santa Maria di Betlem presiedette la prima sessione pubblica. La fase sassarese della causa durò dal 1985 alla chiusura del processo diocesano l'8 settembre 1991. Postulatore è stato padre Ambrogio Sanna e vicepostulatore è stato padre Umberto Zucca; essi tra il 1993 e il 1996 misero assieme ufficialmente la vasta documentazione, e in seguito la ampliarono ulteriormente, e infine il 2 ottobre 2001 venne presentata la Positio super martyrio, risultato della ricerca complessiva su vita e martirio di padre Zirano.

La fase romana della causa durò dal 2002 al 2014. La documentazione presentata fu approvata il 4 marzo 2003 dal congresso dei consultori storici e il 16 maggio 2013 dai consultori teologici. Nella sessione ordinaria del 4 febbraio 2014, presieduta dal cardinale Angelo Amato, cardinali e vescovi considerarono vero martirio la morte di padre Zirano e il 7 febbraio papa Francesco fu informato sulle conclusioni della Congregazione per le Cause dei Santi. Il papa riconobbe lo stesso giorno il martirio e autorizzò la beatificazione; firmò la relativa lettera apostolica il 4 ottobre.

La beatificazione è avvenuta a Sassari il 12 ottobre 2014, celebrata dal cardinale Angelo Amato delegato pontificio, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi. Hanno partecipato l'arcivescovo di Sassari padre Paolo Atzei e l'arcivescovo di Algeri monsignor Ghaleb Moussa Abdalla Bader. La memoria liturgica stata inizialmente stabilita per il 25 gennaio nell'arcidiocesi di Sassari e nelle chiese sarde; il 10 dicembre 2014, su istanza del procuratore generale dell'Ordine dei Frati Minori conventuali, appoggiata dall'arcivescovo di Sassari Paolo Atzei, la Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti ha emanato un Decreto per celebrare la memoria del beato il 29 gennaio, tenuto conto che il 25 gennaio si celebra la Conversione di Paolo e la conclusione dell'Ottavario di preghiera per l'unità dei cristiani; il beato sarà comunque ricordato a Santa Maria di Betlem anche in tale data. Padre Zirano sarà proposto come patrono e protettore delle p ersone rapite, schiavizzate e degli immigrati che attraversano deserti e mari in cerca di libertà. È il sesto beato nella storia della Chiesa sarda (quarto tra i conventuali) e la sua è stata la seconda beatificazione effettuata in Sardegna dopo quella di suor Giuseppina Nicoli nel 2008 a Cagliari. L’ultima beatificazione in Sardegna è quella del 15 giugno 2019 a Pozzomaggiore (SS) di Edvige Carboni, laica e mistica.