giovedì 25 ottobre 2012

Appunti ... la Parola di Dio e il Beato Carlo Gnocchi






Giovedì della XXIX settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)


“Io piego le ginocchia davanti al Padre”

Questo versetto dell’Apostolo Paolo, mi riporta alla mente il dramma interiore del beato Carlo Gnocchi dal suo ritorno dal fronte russo.

Un dramma che prostro il sacerdote milanese di fronte alla miseria del mondo e della guerra: un miseria che era fonte di infelici e di infelicità! Un dramma che gridava: perché tanto dolore? Qual’è il senso del dolore e del male e della sofferenza innocente?
Come Cristo nel vangelo: “come sono angosciato finché non sia compiuto!”

Il santo sacerdote superò questo dramma nel fondarsi e nel radicarsi nella Carità di Cristo, che tutto spiega e tutto copre.

Fu la carità, come un fuoco, che spinse il santo sacerdote a superare il dramma esistenziale, il dramma del male e del dolore, per costruire un nuovo mondo, una nuova società dove l’amore di Cristo fosse il fuoco ardente che rigenera tutto.

Partecipò alla storia italiana di quel periodo, a tal punto da ricevere la medaglia d’argento al valor militare, e negli anni 1944-45 partecipò alla Resistenza subendo anche il carcere per alcuni giorni e liberato per l’intervento del Beato Cardinale Schuster.

Educatore esemplare, “Buon Samaritano”, il beato Carlo Gnocchi è un altro esempio di santità della nostra gloriosa diocesi.

Si donò come Cristo fino all’ultimo vivendo la perfezione della carità, che è vivo segno di santità.

A lui dobbiamo la profonda riflessione sul senso del dolore e della sofferenza innocente.

“Nelle parole di don Gnocchi si percepisce l’eco di certe sue letture legate al personalismo francese, in modo particolare al filosofo francese Emmanuel Mounier (1905-1950) la cui figlia Francesca era stata colpita da un’encefalite acuta che l’aveva gettata in una notte tenebrosa dalla quale non era più emersa. Scriveva, allora, il filosofo: «Che senso avrebbe tutto questo se la nostra bambina fosse soltanto una carne malata, un po’ di vita dolorante, e non invece una bianca piccola ostia che ci supera tutti, un’immensità di mistero e d’amore che ci abbaglierebbe se lo vedessimo a faccia a faccia? Non dobbiamo pensare al dolore come a qualcosa che ci viene strappato, ma come a qualcosa che noi doniamo, per non demeritare del piccolo Cristo che si trova in mezzo a noi».
E continuava: «Ho avuto la sensazione, avvicinandomi al suo piccolo letto senza voce, di avvicinarmi a un altare, a qualche luogo sacro dove Dio parlava attraverso un segno. Avevamo augurato a Francesca di morire. Non è sentimentalismo borghese? Che significa per lei essere disgraziata? Chi sa se non ci è domandato di custodire e adorare un’ostia in mezzo a noi. Mia piccola Francesca, tu sei per me l’immagine della fede»”. (G. Ravasi)

Il dono di don Carlo arriva fino al famoso episodio del trapianto delle cornee: volle che alla sua morte, avvenuta il 28 febbraio 1956, le sue cornee venissero espiantate per donarle a due ragazzi ciechi.

Il suo corpo ora riposa nel Santuario a Lui dedicato a Milano, dove il 27 ottobre p.v. sarà anche inaugurato un museo.

Concludo con un pensiero del Beato Gnocchi:
“Nella misteriosa economia del Cristianesimo, il dolore degli innocenti è permesso perché siano manifeste le opere di Dio e quelle degli uomini: l’amoroso e inesausto travaglio della scienza; le opere multiformi dell’umana solidarietà; i prodigi della carità soprannaturale”.

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