venerdì 24 ottobre 2025

Giornata Missionaria Mondiale dell’anno giubilare 2025

 


Cari fratelli e sorelle!

Per la Giornata Missionaria Mondiale dell’anno giubilare 2025, il cui messaggio centrale è la speranza (cfr Bolla Spes non confundit, 1), ho scelto questo motto: “Missionari di speranza tra le genti”. Esso richiama ai singoli cristiani e alla Chiesa, comunità dei battezzati, la vocazione fondamentale di essere, sulle orme di Cristo, messaggeri e costruttori della speranza. Auguro a tutti un tempo di grazia con il Dio fedele che ci ha rigenerato in Cristo risorto «per una speranza viva» (cfr 1Pt 1,3-4); e desidero ricordare alcuni aspetti rilevanti dell’identità missionaria cristiana, affinché possiamo lasciarci guidare dallo Spirito di Dio e ardere di santo zelo per una nuova stagione evangelizzatrice della Chiesa, inviata a rianimare la speranza in un mondo su cui gravano ombre oscure (cfr Lett. enc. Fratelli tutti, 9-55).

1. Sulle orme di Cristo nostra speranza

Celebrando il primo Giubileo ordinario del Terzo Millennio dopo quello del Duemila, teniamo lo sguardo rivolto a Cristo che è il centro della storia, «lo stesso ieri e oggi e per sempre» (Eb 13,8). Egli, nella sinagoga di Nazaret, dichiarò il compiersi della Scrittura nell’“oggi” della sua presenza storica. Si rivelò così come l’Inviato dal Padre con l’unzione dello Spirito Santo per portare la Buona Notizia del Regno di Dio e inaugurare «l’anno di grazia del Signore» per tutta l’umanità (cfr Lc 4,16-21).

In questo mistico “oggi” che perdura sino alla fine del mondo, Cristo è il compimento della salvezza per tutti, particolarmente per coloro la cui unica speranza è Dio. Egli, nella su vita terrena, «passò beneficando e risanando tutti» dal male e dal Maligno (cfr At 10,38), ridonando ai bisognosi e al popolo la speranza in Dio. Inoltre, sperimentò tutte le fragilità umane, tranne quella del peccato, attraversando pure momenti critici, che potevano indurre a disperare, come nell’agonia del Getsemani e sulla croce. Gesù però affidava tutto a Dio Padre, obbedendo con fiducia totale al suo progetto salvifico per l’umanità, progetto di pace per un futuro pieno di speranza (cfr Ger 29,11). Così è diventato il divino Missionario della speranza, modello supremo di quanti lungo i secoli portano avanti la missione ricevuta da Dio anche nelle prove estreme.

Tramite i suoi discepoli, inviati a tutti i popoli e accompagnati misticamente da Lui, il Signore Gesù continua il suo ministero di speranza per l’umanità. Egli si china ancora oggi su ogni persona povera, afflitta, disperata e oppressa dal male, per versare «sulle sue ferite l’olio della consolazione e il vino della speranza» (Prefazio “Gesù buon samaritano”). Obbediente al suo Signore e Maestro e con il suo stesso spirito di servizio, la Chiesa, comunità dei discepoli-missionari di Cristo, prolunga tale missione, offrendo la vita per tutti in mezzo alle genti. Pur dovendo affrontare, da un lato, persecuzioni, tribolazioni e difficoltà e, dall’altro, le proprie imperfezioni e cadute a causa delle debolezze dei singoli membri, essa è costantemente spinta dall’amore di Cristo a procedere unita a Lui in questo cammino missionario e a raccogliere, come Lui e con Lui, il grido dell’umanità, anzi, il gemito di ogni creatura in attesa della redenzione definitiva. Ecco la Chiesa che il Signore chiama da sempre e per sempre a seguire le sue orme: «non una Chiesa statica, [ma] una Chiesa missionaria, che cammina con il Signore lungo le strade del mondo» (Omelia nella Messa conclusiva dell’Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 27 ottobre 2024).

Sentiamoci perciò ispirati anche noi a metterci in cammino sulle orme del Signore Gesù per diventare, con Lui e in Lui, segni e messaggeri di speranza per tutti, in ogni luogo e circostanza che Dio ci dona di vivere. Che tutti i battezzati, discepoli-missionari di Cristo, facciano risplendere la sua speranza in ogni angolo della terra!

2. I cristiani, portatori e costruttori di speranza tra le genti

Seguendo Cristo Signore, i cristiani sono chiamati a trasmettere la Buona Notizia condividendo le concrete condizioni di vita di coloro che incontrano e diventando così portatori e costruttori di speranza. Infatti, «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore» (Gaudium et spes1).

Questa celebre affermazione del Concilio Vaticano II, che esprime il sentire e lo stile delle comunità cristiane in ogni epoca, continua a ispirarne i membri e li aiuta a camminare con i loro fratelli e sorelle nel mondo. Penso in particolare a voi, missionari e missionarie ad gentes, che, seguendo la chiamata divina, siete andati in altre nazioni per far conoscere l’amore di Dio in Cristo. Grazie di cuore! La vostra vita è una risposta concreta al mandato di Cristo Risorto, che ha inviato i discepoli ad evangelizzare tutti i popoli (cfr Mt 28,18-20). Così voi richiamate la vocazione universale dei battezzati a diventare, con la forza dello Spirito e l’impegno quotidiano, missionari tra le genti della grande speranza donataci dal Signore Gesù.

L’orizzonte di questa speranza supera le realtà mondane passeggere e si apre a quelle divine, che già pregustiamo nel presente. Infatti, come ricordava San Paolo VI, la salvezza in Cristo, che la Chiesa offre a tutti come dono della misericordia di Dio, non è solo «immanente, a misura dei bisogni materiali o anche spirituali che […] si identificano totalmente con i desideri, le speranze, le occupazioni, le lotte temporali, ma altresì una salvezza che oltrepassa tutti questi limiti per attuarsi in una comunione con l’unico Assoluto, quello di Dio: salvezza trascendente, escatologica, che ha certamente il suo inizio in questa vita, ma che si compie nell’eternità» (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 27).

Animate da una speranza così grande, le comunità cristiane possono essere segni di nuova umanità in un mondo che, nelle aree più “sviluppate”, mostra sintomi gravi di crisi dell’umano: diffuso senso di smarrimento, solitudine e abbandono degli anziani, difficoltà di trovare la disponibilità al soccorso di chi ci vive accanto. Sta venendo meno, nelle nazioni più avanzate tecnologicamente, la prossimità: siamo tutti interconnessi, ma non siamo in relazione. L’efficientismo e l’attaccamento alle cose e alle ambizioni ci inducono ad essere centrati su noi stessi e incapaci di altruismo. Il Vangelo, vissuto nella comunità, può restituirci un’umanità integra, sana, redenta.

Rinnovo pertanto l’invito a compiere le azioni indicate nella Bolla di indizione del Giubileo (nn. 7-15), con particolare attenzione ai più poveri e deboli, ai malati, agli anziani, agli esclusi dalla società materialista e consumistica. E a farlo con lo stile di Dio: con vicinanza, compassione e tenerezza, curando la relazione personale con i fratelli e le sorelle nella loro concreta situazione (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 127-128). Spesso, allora, saranno loro a insegnarci a vivere con speranza. E attraverso il contatto personale potremo trasmettere l’amore del Cuore compassionevole del Signore. Sperimenteremo che «il Cuore di Cristo […] è il nucleo vivo del primo annuncio» (Lett. enc. Dilexit nos, 32). Attingendo da questa fonte, infatti, si può offrire con semplicità la speranza ricevuta da Dio (cfr 1Pt 1,21), portando agli altri la stessa consolazione con cui siamo consolati da Dio (cfr 2Cor 1,3-4). Nel Cuore umano e divino di Gesù Dio vuole parlare al cuore di ogni persona, attirando tutti al suo Amore. «Noi siamo stati inviati a continuare questa missione: essere segno del Cuore di Cristo e dell’amore del Padre, abbracciando il mondo intero» (Discorso ai partecipanti all’Assemblea generale delle Pontificie Opere Missionarie, 3 giugno 2023).

3. Rinnovare la missione della speranza

Davanti all’urgenza della missione della speranza oggi, i discepoli di Cristo sono chiamati per primi a formarsi per diventare “artigiani” di speranza e restauratori di un’umanità spesso distratta e infelice.

A tal fine, occorre rinnovare in noi la spiritualità pasquale, che viviamo in ogni celebrazione eucaristica e soprattutto nel Triduo Pasquale, centro e culmine dell’anno liturgico. Siamo battezzati nella morte e risurrezione redentrice di Cristo, nella Pasqua del Signore che segna l’eterna primavera della storia. Siamo allora “gente di primavera”, con uno sguardo sempre pieno di speranza da condividere con tutti, perché in Cristo «crediamo e sappiamo che la morte e l’odio non sono le ultime parole» sull’esistenza umana (cfr Catechesi, 23 agosto 2017). Perciò, dai misteri pasquali, che si attuano nelle celebrazioni liturgiche e nei sacramenti, attingiamo continuamente la forza dello Spirito Santo con lo zelo, la determinazione e la pazienza per lavorare nel vasto campo dell’evangelizzazione del mondo. «Cristo risorto e glorioso è la sorgente profonda della nostra speranza, e non ci mancherà il suo aiuto per compiere la missione che Egli ci affida» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 275). In Lui viviamo e testimoniamo quella santa speranza che è «un dono e un compito per ogni cristiano» (La speranza è una luce nella notte, Città del Vaticano 2024, 7).

I missionari di speranza sono uomini e donne di preghiera, perché «la persona che spera è una persona che prega», come sottolineava il Venerabile Cardinale Van Thuan, che ha mantenuto viva la speranza nella lunga tribolazione del carcere grazie alla forza che riceveva dalla preghiera perseverante e dall’Eucaristia (cfr F.X. Nguyen Van Thuan, Il cammino della speranza, Roma 2001, n. 963). Non dimentichiamo che pregare è la prima azione missionaria e al contempo «la prima forza della speranza» (Catechesi, 20 maggio 2020).

Rinnoviamo perciò la missione della speranza a partire dalla preghiera, soprattutto quella fatta con la Parola di Dio e particolarmente con i Salmi, che sono una grande sinfonia di preghiera il cui compositore è lo Spirito Santo (cfr Catechesi, 19 giugno 2024). I Salmi ci educano a sperare nelle avversità, a discernere i segni di speranza e ad avere il costante desiderio “missionario” che Dio sia lodato da tutti i popoli (cfr Sal 41,12; 67,4). Pregando teniamo accesa la scintilla della speranza, accesa da Dio in noi, perché diventi un grande fuoco, che illumina e riscalda tutti attorno, anche con azioni e gesti concreti ispirati dalla preghiera stessa.

Infine, l’evangelizzazione è sempre un processo comunitario, come il carattere della speranza cristiana (cfr Benedetto XVI, Lett. enc. Spe Salvi, 14). Tale processo non finisce con il primo annuncio e con il battesimo, bensì continua con la costruzione delle comunità cristiane attraverso l’accompagnamento di ogni battezzato nel cammino sulla via del Vangelo. Nella società moderna, l’appartenenza alla Chiesa non è mai una realtà acquisita una volta per tutte. Perciò l’azione missionaria di trasmettere e formare la fede matura in Cristo è «il paradigma di ogni opera della Chiesa» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 15), un’opera che richiede comunione di preghiera e di azione. Insisto ancora su questa sinodalità missionaria della Chiesa, come pure sul servizio delle Pontificie Opere Missionarie nel promuovere la responsabilità missionaria dei battezzati e sostenere le nuove Chiese particolari. Ed esorto tutti voi, bambini, giovani, adulti, anziani, a partecipare attivamente alla comune missione evangelizzatrice con la testimonianza della vostra vita e con la preghiera, con i vostri sacrifici e la vostra generosità. Grazie di cuore di questo!

Care sorelle e cari fratelli, rivolgiamoci a Maria, Madre di Gesù Cristo nostra speranza. A Lei affidiamo l’auspicio per questo Giubileo e per gli anni futuri: «Possa la luce della speranza cristiana raggiungere ogni persona, come messaggio dell’amore di Dio rivolto a tutti! E possa la Chiesa essere testimone fedele di questo annuncio in ogni parte del mondo!» (Bolla Spes non confundit, 6).

Roma, San Giovanni in Laterano, 25 gennaio 2025, festa della Conversione di San Paolo, Apostolo.

FRANCESCO

FONTE

domenica 19 ottobre 2025

Santa Vincenza Maria Poloni




 Nascita, infanzia e gioventù

Luigia Francesca Maria Poloni nacque a Verona il 26 gennaio 1802, ultima di 12 figli di Gaetano Poloni, farmacista e droghiere, e Margherita Biadego, di famiglia notarile. Ricevette il battesimo lo stesso giorno con i nomi di Luigia Francesca Maria. Cresciuta in un ambiente profondamente cristiano, sviluppò fin da giovane un’attenzione particolare verso i poveri e i bisognosi, valori che caratterizzarono tutta la sua esistenza.

Dopo la morte del padre nel 1822, Luigia assunse gran parte delle responsabilità familiari, dimostrando doti eccezionali di gestione e una fede incrollabile. La guida spirituale del Beato Carlo Steeb fu determinante nella sua vita: egli la aiutò a discernere la propria vocazione e a dedicarsi sempre più intensamente alle opere di carità. Durante l’epidemia di colera del 1836, Luigia si distinse per l’eroica dedizione nell’assistere i malati, confermando la sua chiamata a una vita di servizio. Nel 1840, Luigia, insieme a tre compagne, si trasferì presso il Pio Ricovero di Verona, iniziando la comunità che sarebbe poi diventata l’Istituto delle Sorelle della Misericordia. Nel 1848, con l’approvazione del Vescovo di Verona, emise i voti religiosi assumendo il nome di Vincenza Maria.

Spiritualità e Opere

La spiritualità di Vincenza Maria Poloni si fondava su una profonda unione con Dio, alimentata dalla preghiera e dalla devozione all’Eucaristia. La carità, virtù centrale della sua vita, si manifestò in gesti concreti di amore verso i poveri e gli ammalati, che considerava “i nostri padroni”. Nel suo servizio, Vincenza Maria univa umiltà e prudenza a una straordinaria fermezza di carattere. Il suo motto, “Servire Cristo nei poveri”, guidava ogni sua azione. Insegnava alle sue figlie spirituali che la carità doveva essere il fondamento dell’Istituto, sottolineando che solo mantenendo l’unità e l’amore reciproco la comunità avrebbe prosperato. La devozione al Sacratissimo Cuore di Gesù e alla Beata Vergine Maria sosteneva la sua missione e la ispirava a superare ogni difficoltà con fede e perseveranza.

La fondazione dell’Istituto delle Sorelle della Misericordia rappresentò il culmine delle opere di Vincenza Maria. La comunità, nata nel 1840, si dedicava all’assistenza agli anziani, ai malati e ai poveri, seguendo lo spirito e le regole di San Vincenzo de Paul. Sotto la sua guida, l’Istituto si espanse rapidamente, diventando un punto di riferimento per la carità cristiana a Verona. Vincenza Maria promosse un modello di servizio basato sulla tenerezza verso i sofferenti, la pazienza nelle tribolazioni e la rettitudine nell’agire. L’educazione delle giovani e la formazione delle sue figlie spirituali furono altrettanto centrali nel suo apostolato. Vincenza Maria le educava alla vita consacrata, insegnando loro a vedere Cristo nei poveri e a servirli con dedizione.

Gli ultimi anni

Negli ultimi anni della sua vita, Vincenza Maria fu colpita da gravi problemi di salute, in particolare da una malattia che la costrinse a sopportare intensi dolori fisici. Nonostante le sue sofferenze, continuò a guidare l’Istituto con fermezza e amore, dedicandosi fino all’ultimo alle sue figlie spirituali e ai poveri. Durante questo periodo, dimostrò una straordinaria capacità di accettare la sofferenza come partecipazione alla passione di Cristo, offrendo ogni sua difficoltà per il bene della Chiesa e della Congregazione. Rimase un esempio di pazienza e abbandono alla Provvidenza, pregando incessantemente e infondendo speranza nelle sorelle che la assistevano. Poco prima della sua morte, affidò alle sue figlie spirituali un importante messaggio: mantenere viva la carità come fondamento dell’Istituto, assicurando che questa sarebbe stata la chiave per il suo futuro successo e stabilità. L’esempio di Vincenza Maria Poloni è un richiamo potente alla carità cristiana vissuta in modo eroico. La sua figura ispira le comunità religiose e laiche a riscoprire il valore del servizio ai poveri e ai sofferenti. L’Istituto delle Sorelle della Misericordia continua oggi la sua missione, incarnando i principi della fondatrice e promuovendo una cultura della solidarietà e dell’amore verso il prossimo. La sua vita fu segnata dalla totale dedizione agli ammalati e ai poveri. Morì l’11 novembre 1855 e fu sepolta nella nuda terra nel cimitero comunale di Verona. I suoi resti vennero successivamente uniti, in una fossa comune, a quelli di molte sue consorelle. Questo non consentì di riconoscerne i suoi resti mortali.

 

“Iter”  della  causa

La fama di santità che l’accompagnava durante la sua vita, aumentava anche negli anni che seguirono alla sua morte. La Causa di beatificazione e di canonizzazione fu iniziata presso la Curia diocesana di Verona nell’anno 1990. Ottenuta la validità giuridica nel 1993 e preparata la Positio, il giorno 3 novembre 1998 ebbe luogo la seduta dei Consultori Storici. Il giorno 16 marzo 2005 si tenne il Congresso peculiare dei Consultori Teologi, mentre la Sessione Ordinaria dei Padri Cardinali e Vescovi si svolse il successivo 15 novembre. Il 28 aprile 2006 Papa Benedetto XVI autorizzò la promulgazione del decreto sulla eroicità delle virtù.

 

In vista della beatificazione

Per la beatificazione la Postulazione della Causa presentò al Dicastero delle Cause dei Santi la presunta guarigione miracolosa di una religiosa dello stesso Istituto fondato dalla Beata. Molto sofferente per un fibroma all’utero, per cisti alle ovaie e per tumore maligno al seno, durante gli anni 1937–1939, fu sottoposta, in verità con scarsissimi risultati, a parecchi interventi chirurgici, ai quali seguì anzi un progressivo aggravamento della malattia. Le consorelle e l’interessata stessa incominciarono a ricorrere ardente­mente all’aiuto divino per intercessione della fondatrice. Improvvi­samente, dopo una notte tranquilla, la religiosa si risvegliò guarita.

Di questa asserita prodigiosa guarigione, presso la Curia di Verona, dal 30 maggio al 15 dicembre 1994, si svolse l’Inchiesta diocesana, il cui Decreto di validità giuridica fu concesso il 7 aprile 1995. La consulta medica del Dicastero, nella sessione del 5 ottobre 2006, dichiarò che la guarigione della religiosa da “cancro del seno sinistro in stadio avanzato con ripresa della malattia neoplastica due mesi dopo l’intervento di mastectomia radicale, con metastatiz­zazione diffusa fu rapida, completa, duratura e inspiegabile secondo l’odierna scienza medica.” Il 30 gennaio 2007 si riunì il Congresso peculiare dei Consultori Teologi e il seguente 20 novembre dello stesso anno si tenne la Sessione Ordinaria dei Padri Cardinali e dei Vescovi.

Sua Santità Benedetto XVI il 17 dicembre 2007 autorizzò il Dicastero delle Cause dei Santi a promulgare il decreto sul miracolo. Il 21 settembre 2008 a Verona, S. E. Rev.ma Mons. Angelo Amato, sdb, Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, celebrò la beati­ficazione.

 

In vista della Canonizzazione

Il 16 dicembre 2013, nella Diocesi di Santa Maria de los Ángeles, in Cile, una donna subì un intervento programmato di colecistectomia laparoscopica. Tuttavia, nel corso dell’operazione, si manifestarono sintomi di ipotensione e tachicardia e i medici rilevarono un’emorragia all’interno della cavità addominale tale da rendere necessario un “intervento a cielo aperto d’urgenza”. Il quadro operatorio evidenziò una lacerazione aortica con shock emorragico, tanto che le condizioni della paziente richiesero l’applicazione di un camplaggio aortico a livello dello iato diaframmatico. Dopo aver inserito la protesi e rimosso un trombo, l’aorta venne suturata, ma al duplice intervento e alla copiosa emorragia fecero seguito una serie di complicazioni tutte potenzialmente letali (shock emorragico grave, clampaggio prolungato dell’aorta, insufficienza renale, sindrome addominale compartimentale, peritonite purulenta postoperatoria ad alto rischio infettivo, cinque interventi di laparotomia, intubazione orotracheale e tracheotomia, polmonite da ventilazione meccanica prolungata e decubito sacrale).

La prognosi si presentò dunque molto severa e riservata e i medici temevano che la paziente sarebbe deceduta entro pochi giorni. In quelle ore il nipote della donna invocò l’intercessione di Vincenza Maria Poloni per la salvezza della nonna, e, insieme a lui, molte altre persone si recarono davanti all’immagine della Poloni, posta sulla facciata esterna della casa religiosa delle Sorelle della Misericordia a Quilleco (Cile), rivolgendosi in preghiera con la medesima intenzione. Contro ogni previsione, le condizioni di salute della paziente migliorarono. Fu dimessa il 31 gennaio in buone condizioni cliniche senza alcuna conseguenza né generale, né cardiovascolare. Tornata a casa, riprese tutte le sue attività senza difficoltà e con piena lucidità mentale.

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