martedì 17 settembre 2019

Parlami! Deus mihi dixit!



La vita di Francesco d'Assisi è nota ai molti. Il povero, il lupo, l'amore per il creato, ecc... ma le stimmate sono una singolarità che fanno di Francesco di Assisi il primo santo conformato in tutto a Gesù.
Oggi è la festa delle Stimmate, unico evento mistico celebrato anche nel Martirologio Romano:
“Sul monte della Verna, in Toscana, la commemorazione dell'Impressione delle sacre Stimmate, che, per meravigliosa grazia di Dio, furono impresse nelle mani, nei piedi e nel costato di san Francesco, Fondatore dell'Ordine dei Minori”.
Anche la cinematografia ha celebrato questo evento con due scene meravigliose, se pur diverse, in Francesco di Liliana Cavani e in Fratello Sole Sorella Luna di Franco Zeffirelli (min. 13,35), quest'ultima con una finezza cinematografica stupenda.

Eccoli…. buona visione e commuovetevi! (a me capita sempre)





lunedì 16 settembre 2019

S. Eufemia, prega per noi!






Martirologio Romano: A Calcedonia in Bitinia, nell’odierna Turchia, santa Eufemia, vergine e martire, che sotto l’imperatore Diocleziano e il proconsole Prisco, superati per Cristo molti supplizi, giunse con strenuo combattimento alla corona di gloria.

ORAZIONE
L'intercessione della santa vergine e martire Eufemia, ottenga, o Dio, alla tua Chiesa, redenta dal sangue del Salvatore, di mantenersi immacolata nella ferma e coraggiosa professione della vera fede; custodisci e moltiplica in essa la vocazione alla vita verginale, pegno e sorgente dell'eroica testimonianza a Cristo, tuo Figlio. Egli è Dio, …



Con lei furono martirizzati altri 50 cristiani e fra essi ricordiamo: SS. SOSTENE e VITTORE che erano due robusti soldati incaricati del martirio della nostra Santa, ma che vedendo l’eroica fede di Eufemia gettarono le armi, si dichiararono Cristiani nella pubblica arena e a loro volta furono martirizzati.
Le sacre reliquie dei Santi Martiri Eufemia, Sostene e Vittore di Calcedonia sono nella Basilica di S. Eufemia in Piacenza, attestate dalla ricognizione canonica del beato Scalabrini. Il corpo di Irsina è un corpo catacombale romano di nome Vittore, nulla a che vedere con il Santo di Calcedonia.

domenica 15 settembre 2019

Nel cammino, per tanti motivi, ci si può anche perdere...




Il cammino. Nel cammino, per tanti motivi, ci si può anche perdere. Come la pecorella, come la moneta, come Paolo.
Ci si può perdere come la pecora del gregge che segue il pastore, ma si attarda a brucare o a bere ad una pozza o scivola in un dirupo perché distratta. Ma ci si può perdere come la moneta, in casa, non c’è bisogna di uscirne. Ci si può perdere come Paolo, che segue le sue strade e le sue conquiste, caparbio e ostinato. (rileggete la seconda lettura è meravigliosa!)
Ciò che conta è che ci sia qualcuno che ti cerca! Ti usa misericordia, dice Paolo. Ciò che conta è avere il coraggio, la grazia, l’occasione di fermarsi e guardare il percorso fatto, se è quello indicato, tracciato, se è la Via.
La vita è un cammino sempre meraviglio anche nei suoi aspetti più terribili - dice Benedetta Bianchi Porro – e continua -  e la mia anima è piena di gratitudine e di amore verso Dio per questo.
Nel cammino quando ci si perde, quando anche diventa terribile, ciò che conta è ritrovarsi ed essere ritrovati. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.
Dal quel momento ciò che conta è riprendere il cammino. Non avere come - dice Giuseppe Puglisi – la sindrome del torcicollo: Molti oggi soffrono della “sindrome del torcicollo” perché continuano a voltarsi indietro, hanno paura del passato e non riescono a lasciarlo. Altri pensano, riflettono tanto, tanto, tanto da non muoversi mai. Alla fine restano con un piede in aria per la paura di fare un passo in avanti.
Nel cammino, ciò che conta è la meta e la guida, non gli errori, quelli vengono sempre perdonati! C’è qualcosa di imperdonabile? Forse si… la paura di fare un passo in avanti, dice 3P. Amen.

venerdì 13 settembre 2019

"Cosa meravigliosa è la vita": Benedetta Bianchi Porro





Benedetta Bianchi Porro nasce a Dovadola (FC) e diocesi di Forlì-Bertinoro, l’8 agosto 1936. A tre mesi si ammala di poliomielite: guarisce, ma rimane con una gamba più corta dell’altra. A dispetto delle condizioni di salute, s’iscrive alla facoltà di Fisica dell’Università degli Studi di Milano, ma dopo un mese passa a quella di Medicina. Proprio questi suoi studi le permettono, nel 1957, di riconoscere da sola la natura della malattia che l’aveva intanto resa cieca e progressivamente sorda: neurofibromatosi diffusa o morbo di Recklinghausen. La vicinanza degli amici le permette di uscire a poco a poco dal dolore. Due volte pellegrina a Lourdes, scopre in quel luogo quale sia la propria autentica vocazione: lottare e vivere in maniera serena la malattia. Attorno a lei si radunano amici e sconosciuti, mentre con le sue lettere raggiunge molti cuori. Muore nella sua casa di Sirmione alle 10.40 del 23 gennaio 1964, a ventisette anni, con un «Grazie» come ultima parola. Dal 22 marzo 1969 le sue spoglie mortali riposano nella chiesa della badia di Sant’Andrea a Dovadola. È stata dichiarata Venerabile il 23 dicembre 1993. Il 7 novembre 2018 papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto relativo a un miracolo ottenuto per intercessione di Benedetta, la cui beatificazione è stata fissata a sabato 14 settembre 2019, nella cattedrale di Forlì.

"Io penso che cosa meravigliosa è la vita anche nei suoi aspetti più terribili;
e la mia anima è piena di gratitudine e di amore verso Dio per questo."
Beata Benedetta Bianchi Porro


Per approfondire: BENEDETTA

mercoledì 11 settembre 2019

SANTI ITALO-GRECI: Elia Speleota di Melicuccà




Sant’Elia Speleota, “abitatore di grotte”, nasce a Reggio Calabria nel 863 da ricchi genitori, Pietro e Leonzia.
All’età di diciotto anni, la madre Leonzia gli propose di sposare una nobile giovinetta e di metter su famiglia. Elia, però, rifiutò la proposta e fuggì di casa andando prima a Taormina di Sicilia, a far penitenza, e poi si diresse in pellegrinaggio a Roma. Qui, nelle vicinanze della città eterna, prese l’abito monastico secondo la regola di S. Basilio (forse nella badia greca di Grottaferrata).
Tornato a Reggio di Calabria, Elia fuggì di nuovo, stavolta col monaco Arsenio, diretto a Patrasso in Oriente. Nel frattempo i Saraceni irruppero in Calabria fecendo stragi e schiavi.
Al ritorno da Patrasso, Sant’Elia Speleota, insieme ai monaci Cosma e Vitale, si ritirò a condurre vita di penitenza nella grotta di Melicuccà.
Qui, ben presto, gli abitanti dei paesi vicini, attratti dalla sua fama di santità, venivano a visitarlo, ascoltarlo, a ricevere da lui conforto e incoraggiamento.
L’11 settembre del 960, quando aveva già 97 anni, Elia morì. Fu sepolto nel sepolcro che lui stesso aveva scavato nella grotta con le sue mani, dove rimase sepolto fino al 2 agosto 1747 quando furono scoperte le sue ossa.
In quell'occasione, come attesta l’atto notarile, il 12 agosto 1747, Antonio Germanò, giovane di Melicuccà gravemente ammalato, alla sola vista delle ossa di sant'Elia guarì istantaneamente. Ed esplode il culto che perdura tutt'oggi. Il Martirologio le ricorda l’11 settembre.

lunedì 19 agosto 2019

Gesù!




Gesù! Mio amato Gesù! Buon Gesù, sì Gesù per me! Gesù, mi dò totalmente a te! Buon Gesù mi consegno totalmente a te! Buon Gesù ti dò tutto il mio cuore, colmalo del tuo santo amore. Gesù sei totalmente mio! Quando sarò io totalmente tuo? Mio tutto, sì per me la totalità, perché tutto il resto non significa niente per me! 

(S. Giovanni Eudes)

martedì 6 agosto 2019

"Madonna dei lavoratori", prega per noi!

 
 
La Madonna della Valle

"Madonna della Valle" è il nome scelto per affidare a Maria la zona industriale, per invocarla come "Madonna dei lavoratori". Un nome per indicare che alla dimensione cristologica e giuseppina del lavoro, fatta di sacrificio e nobilitazione della persona, deve accompagnarsi quella mariana, fatta di ascolto, di socializzazione e disponibilità. Un nome per chiedere a Maria di guidare chi lavora verso Gesù Cristo, per imparare da lui il senso del vivere e del lavorare.
La statua lignea che la rappresenta è stata scolpita in legno a Ortisei, in Val Gardena, a somiglianza delle antiche statue abruzzesi, benedetta da papa Benedetto XVI il 22 aprile 2009.

La Vergine, attraverso le mani giunte e l'espressione seria e dolce del viso, invita ad ascoltare l'insegnamento di suo Figlio, "Divino Lavoratore", assiso sulle sue ginocchia, che regge con una mano il libro del Vangelo con su scritto "Io sono la via, la verità e la vita", con l'altra tre attrezzi da falegname, lavoro che la tradizione gli attribuisce agli anni vissuti a Nazaret, per indicare tre rispettivi significati del lavoro cristiano: il martello: forza fisica e intellettuale, fatica, passione, sacrificio, quantità di prodotto; la squadra: intelligenza, competenza, professionalità, perfezione della persona, qualità del prodotto; il pennello: dignità della persona, arte e bellezza del mondo, collaborazione, solidarietà, rispetto dell'ambiente. Il bambino mostrando sullo stesso piano libro e attrezzi insegna a tenere in giusto equilibrio preghiera e lavoro, dimensione spirituale e materiale, questione economica e culturale, aspetto produttivo e sociale.
E' il messaggio di S. Benedetto "Ora et Labora", "Prega e Lavora", diffuso in Europa dai suoi discepoli, a cui si deve l'evangelizzazione della Val di Sangro, come testimoniano le varie memorie benedettine esistenti.

La posizione seduta della Madonna, segno della sua dignità di madre, discepola, sede della Sapienza di Cristo e Regina dell'universo, richiama il senso del riposo cristiano e della domenica, i cui punti cardinali sono stati così tracciati dall'arcivescovo Bruno Forte: Umanizzazione: il riposo domenicale afferma la signoria dell'uomo sul lavoro, perchè lavoro e riposo sono necessari allo stesso modo per la dignità della persona. Riposarsi è prendersi cura di se stessi, rimettere al centro i motivi per i quali lavorare un'intera settimana. Socializzazione: il lavoro porta ad avere a che fare sempre con le stesse persone e con i loro ruoli professionali. Il riposo domenicale permette di allargare la cerchia degli incontri, stare con la famiglia, sentirsi parte della propria città, curare le amicizie, aderire ad iniziative di incontro. Ecclesialità: l'Eucaristia domenicale è necessaria per rafforzare i legami con Cristo e la sua Chiesa, per sentirsi e vedersi pietre viventi della propria parrocchia. Santità: con la sua cadenza settimanale, la domenica ricorda che vivere è andare oltre, diventare santi, giungere alla vita eterna. Riposarsi è avere la possibilità di partecipare ad un incontro di formazione spirituale, un ritiro, un pellegrinaggio, una visita di solidarietà.

La statua della Madonna della Valle o dei lavoratori è conservata nella chiesa parrocchiale di Montemarcone di Atessa, dedicata a S. Vincenzo Ferrer, la più antica della zona industriale Val di Sangro. La festa si celebra il primo maggio. Il 12 settembre, giorno del Santo Nome di Maria, si svolge la festa al monumento nella rotatoria di accesso sud alla zona industriale, inaugurato lo stesso giorno del 2010.

La nascita della zona industriale ha dato nuova identità alla Val di Sangro, configurandola come principale centro economico e produttivo dell'Abruzzo, affidando alla città di Atessa l'impegnativo ruolo di capofila del "popolo sangrino", formato dai lavoratori provenienti da paesi vicini e lontani, che nel suo territorio, insieme al lavoro, hanno trovato anche occasione di socializzazione e crescita.
 
FONTE: Parrocchia S. Vincenzo - Loc. Montemarcone, Atessa (Chieti)

lunedì 5 agosto 2019

San Leucio, tra agiografia e culto

 Un testo molto bello, che propone un quadro molto completo su S. Leucio.


San Leucio d'Alessandria d'Egitto
evangelizzatore e vescovo di Brindisi
patrono di San Salvatore Telesino

I dati in nostro possesso non ci permettono di fissare coordinate storiche ben precise sulla figura di San Leucio.

Le note biografiche tramandate dalle varie Vite, scritte tra IX e XII secolo e tutte in latino, di produzione longobarda e prenormanna, non concordano , infatti, neppure nel definire l’arco cronologico della sua vicenda terrena , che va collocata tra la fine del IV secolo e l’inizio del V secolo, sulla base di tutta una serie di considerazioni ed analisi documentate negli Atti del convegno sul Santo, svoltosi a Brindisi nel 1984 e coordinato da Rosario Jurlaro, uno dei massimi esperti di problemi leuciani.

Il destino di San Leucio, nato ad Alessandria d’Egitto, è segnato fin dalla nascita. Suo padre Eudecio e sua madre Eufrodisia lo chiamano Euprescio, nomi che richiamano insistentemente la vocazione al bene espresso nel prefisso “eu”, Euprescio, alla morte della madre, entra con il padre nel monastero di Sant’Ermete, fiero oppositore degli Ariani e, per ordine divino, muta il suo nome in Leucio, ovvero portatore di luce spirituale, ma è costretto alla prova dell’ordalia dal mago Zerea che rivendica la priorità della chiamata divina. Leucio, per la vittoria sul mago e per la sua condotta di vita, esemplata sullo stile ascetico della tradizione monastica del deserto che ha il suo modello originario in Sant’Antonio abate, riceve prima la nomina di abate e poi quella di vescovo di Alessandria. Opera miracoli, guarisce i malati e scaccia il demonio dal corpo di un Etiope, ma, divenuta gravissima la repressione dei Cristiani ad opera del prefetto Saturnino, Leucio, predestinato alla missione apostolica e seguendo l’ispirazione divina, lascia l’Egitto e si reca a Brindisi. Nella nuova città svolge la sua luminosa opera di evangelizzazione e riesce a convertire anche il prefetto Antioco, capo dell’opposizione pagana contro i cristiani, con il miracolo della pioggia, ottenuta per intercessione divina, dopo due anni di siccità. Dopo aver battezzato tutti i pagani, convertiti dall’evento prodigioso, ed edificata una basilica dedicata alla Vergine ed a Giovanni Battista, Leucio, nominato primo vescovo di Brindisi, continua la sua missione evangelica fino alla morte, avvenuta in un anno imprecisato, l’11 gennaio, giorno della sua festa liturgica.

Il vescovo Leucio viene sepolto in un oratorio fuori città, ma le sue spoglie mortali, martoriate, divise e trafugate, subiscono una diaspora terribile.

Già il papa Gregorio Magno, in una lettera del 601, facilita lo smembramento della salma, chiedendo a Pietro, vescovo di Otranto e Brindisi, di procurargli reliquie di San Leucio da destinare ad un monastero presso Roma, derubato di reliquie proprie. Durante le operazioni di guerra e di conquista di Brindisi, di Taranto e di tutta la penisola salentina, da parte dei Longobardi, avvenute nel VII secolo e narrate da Paolo Diacono, le spoglie di San Leucio vengono trafugate dagli abitanti di Trani e sepolte nell’ipogeo della cattedrale, intitolato al Santo e tuttora visitabile. Una reliquia del corpo viene prelevata dal vescovo di Canosa e portata nella basilica intitolata ai Santi Cosma e Damiano, ridedicata, nell’occasione, a San Leucio. Dopo la conversione dei Longobardi di Benevento, ad opera di San Barbato (morto nel 682), la duchessa Teodorata (morta nel 706), moglie di Romualdo, promuove un vastissimo programma di restauro e costruzione di edifici religiosi ed il recupero dei culti di santi locali, San Michele, San Sabino, San Leucio, San Pelino, San Giorgio, San Teodoro ecc.. Nel IX secolo le reliquie di San Leucio vengono traslate da Trani a Benevento, dove tuttora si conservano, tranne un braccio riportato a Brindisi e venerato nella basilica cattedrale costruita per volere del vescovo Teodosio, a cui si deve la spinta per il ripopolamento della città. Una reliquia, secondo la tradizione che trova conferma nella biografia leuciana stilata da P. D’Onofrj (1891), sarebbe giunta anche ad Atessa, portata da un soldato viandante che aveva trafugato a Benevento un dito del Santo. Nella seconda metà del XVIII secolo, la venerazione della reliquia viene vietata dal prevosto Maccafani che la fa murare in una cassetta di pietra, posta poi sulla sommità della facciata della chiesa.

Il culto di San Leucio, già radicato in area pugliese, viene diffuso intorno al IX secolo dai Longobardi di Benevento, insieme al culto di altri Santi.

Leucio, discepolo di Sant’Ermete, difensore dell’ortodossia, partito da un Egitto in preda al caos ed all’eresia, potrebbe essere giunto a Brindisi come profugo o visitatore di confratelli all’inizio del V sec., per liberare anche questa città dagli eretici e riscattarla a pieno dal paganesimo, in un territorio disegnato dalla presenza di diverse comunità di monaci, ai quali, con buona probabilità, è diretta la Vita Antonii scritta da Sant’Atanasio di Alessandria.

Diversi toponimi e numerosi monasteri, chiese, cappelle, basiliche e sacelli in onore del Santo, sono presenti nei documenti antichi ed attestano il suo culto, oltre che a Brindisi, Canosa e Trani, anche a Molfetta, Bari, Massafra, Conversano ed Oria, sede episcopale dopo la distruzione di Brindisi. A Nardò il monastero di San Leucio, fiorente intorno al mille, presenta il rito italo-greco; a Lecce il culto di San Leucio assume connotazioni locali, quasi una sorta di duplicazione della sua opera di vescovo e di evangelizzatore in ambiti leccesi.

In Campania il culto è vivo nelle aree di penetrazione longobarda: Benevento, Capua, Montevergine, San Leucio del Sannio, Suessola presso Nola, San Salvatore Telesino, nel medioevo zona paludosa e malarica, fino a Veroli, in provincia di Frosinone. A Caserta, per volere di Ferdinando IV, nel 1789, alle pendici del monte che ospita una chiesetta di San Leucio, viene fondato l’omonimo villaggio, dichiarato Real Colonia, comprendente una manifattura di seta ed una filanda, contornate da case a schiera per gli operai, organizzati con regole di “socialismo” di avanguardia.

In Abruzzo-Molise il culto di San Leucio si afferma dapprima fra IX e X secolo, ad opera dei Longobardi, ma acquista nuovo slancio e vigore fra XIII e XV secolo, veicolato lungo le piste armentizie, con la ripresa della grande transumanza orizzontale con la Puglia, organizzata razionalmente e disciplinata giuridicamente sotto Alfonso d’Aragona. Spostato l’asse devozionale a favore di altri Santi nei secoli successivi, nel XVIII secolo torna di nuovo in auge il culto leuciano. La venerazione del Santo si polarizza lungo i percorsi, gli snodi ed i terminali nevralgici dei tratturi, a Roccadimezzo, Villavalleloga e Pietracamela, ma soprattutto ad Atessa, crocevia di bracci e tratturelli che si diramano verso l’interno. Inoltre, nel Chronicon Farfense, troviamo menzione di chiese dedicate al Santo nella Marsica, a Campuli (Campli), nella diocesi di Penne e vicino Pizzoferrato, mentre per il Molise ci sono attestazioni di chiese leuciane nelle diocesi di Larino e Termoli.

Infine bisogna ricordare che San Leucio viene festeggiato ad Atessa l’11 gennaio ed il 17 agosto, ma la tradizione della doppia festività ricorre anche a Brindisi (11 gennaio e 1 maggio) ed in altre località, probabilmente legata al ciclo stagionale ed alla devozione locale.
 

Adele Cicchitti
(Sintesi dall'articolo “La città nata dal miracolo di San Leucio” in Terra e Gente, a. XXIV, 2, 2004)
in Parrocchia di San Leucio in Atessa (Chieti)

 

mercoledì 17 luglio 2019

Dopo 200 anni...



Quest’anno ricorre il secondo centenario del riconoscimento ab immemorabili del culto e del titolo di beato con decreto ad opera di papa Pio VII (5 maggio 1819).

Beato Antonio è nato a San Germano Vercellese, sul finire del Trecento. La famiglia alla quale apparteneva, quella dei Della Chiesa, avrebbe dato nei secoli più tardi un Papa alla cristianità, con il nome di Benedetto XV. Proprio perché era una famiglia nobile e ambiziosa, non fu facile, per il giovane Antonio, entrare, a 22 anni, tra i domenicani di Vercelli.

Sereno e amabile, anche quando si era trovato in contrasto col padre, Antonio seguì facilmente gli studi e docilmente accettò i voti religiosi. Fu un domenicano tutto simpatia, che con grazia seppe insinuarsi nelle anime, conquistandole a Dio.

Fu superiore del convento di Como, e nella città Lariana venne salutato come un secondo San Felice, apostolo dei comaschi. Passò poi nel convento di Savona, in quello di Bologna, in quello di Firenze. Dovunque lasciò il ricordo di uno zelo premuroso e affettuoso, e di un modo di guidare, con ferma dolcezza e con paziente persuasione.

Per un periodo di tempo fu compagno di San Bernardino da Siena, grande predicatore francescano, nelle sue missioni al popolo attraverso le città d'Italia. Fu Antonio da S. Germano predicatore di successo, ammirato e anche temuto, per le sue inflessibili invettive, come quelle contro gli usurai, o come quando si trovò a polemizzare contro un antipapa scismatico, Felice V, al secolo Amedeo di Savoia. Quando morì, nel 1459, aveva sessantacinque anni, e la sua sepoltura, a Como, in S. Giovanni Pedemonte. La cronache parlano di molti miracoli presso la sua tomba. Più tardi, scomparso il convento comasco, le sue reliquie furono traslate a San Germano Vercellese, dove la memoria di Antonio Della Chiesa è custodita con devoto affetto.

Il Martirologio Romano, così lo ricorda il 22 gennaio: A Como, beato Antonio della Chiesa, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori, che in alcuni conventi dell’Ordine riformò l’osservazione della regola, ponendosi con clemenza dinanzi all’umana fragilità e correggendola con fermezza.

È anche commemorato il 28 luglio, data della traslazione del suo sacro corpo da Como a S. Germano.

lunedì 15 luglio 2019

Santità milanese dimenticata ...



Milano 1669 – Troia (Foggia) 1709
 
Nel 2019 si celebrano i 350 anni dalla nascita, a Milano, 25 dicembre da Sigismondo e Francesca Custodi.
Ebbe la chiamata del Signore a 10 anni, circa, tanto che fuggi di casa per il convento di Modena, ma poi rimandato a casa entro nel 1684 a Milano.
Ordinato sacerdote nel 1693 in S. Sabina a Roma. Dopo un periodo di insegnamento ad Alessandria, Ferrara e Cesena, si adoperò per l’evangelizzazione delle classi povere e alla riforma del clero, richiamandolo alla vita comune, e dei conventi femminili a Cesena.
Voleva partire per la missione ad gentes, ma... il Signore aveva altri progetti.
A Troia (FG), con il sostegno del vescovo, progetto il suo sogno di dare la vita comune al clero secolare. Morì il 20 agosto 1709.
Sepolto nella Chiesa di San Gerolamo. La Causa fu promossa dall'Ordine nel 1756.
Nel 1917 è stata introdotta la sua causa di beatificazione, ora pare arenata. Non c'è traccia nell'archivio delle cause in atto.
Quest'anno si celebrano i 310 anni dalla sua nascita al Cielo.

venerdì 28 giugno 2019

Venerdì … solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù





Venerdì … solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù. Invito tutti a guardare a quel Cuore e ad imitarne i sentimenti più veri. Pregate per tutti i Sacerdoti e per il mio Ministero petrino, affinché ogni azione pastorale sia improntata sull’amore che Cristo ha per ogni uomo.

(papa Francesco)

giovedì 27 giugno 2019

S. Arialdo, prega per noi!

 
 
 
Nella primavera del 1066 Erlembaldo rientrò in Milano recando due bolle pontificie: la prima di scomunica contro l’arcivescovo Guido; la seconda in cui il Papa esortava il clero milanese a seguire le indicazioni di Roma. Guido da Velate indisse una grande assemblea alla quale accorsero migliaia di persone delle opposte fazioni, tra cui Arialdo ed Erlembaldo.
 
Quando l’arcivescovo inveì contro le pretese del Papa di dettare legge a Milano, una parte della folla si scagliò contro Arialdo e Erlembaldo. Erlembaldo si difese facendo roteare il vessillo della Santa Chiesa dal quale non si separava mai. Arialdo fu costretto a fuggire, ma nelle vicinanze di Piacenza fu arrestato e condotto nel castello di donna Oliva, nipote di Guido da Velate, che il 28 giugno 1066 lo fece trucidare in un isolotto del lago Maggiore. Prima di ucciderlo, gli assassini gli afferrarono le orecchie, intimandogli obbedienza all’arcivescovo di Milano.
 
Al suo rifiuto gli tagliarono le orecchie, mentre Arialdo, elevando gli occhi al Cielo, diceva: «Ti ringrazio o Cristo, che oggi ti sei degnato di annoverarmi tra i suoi martiri». Gli aguzzini gli chiesero ancora se riconosceva l’autorità di Guido, ma egli, mantenendo la consueta fermezza d’animo, rispose di no. Subito, racconta il suo biografo, gli tagliarono via il naso, con il labbro superiore. Gli cavarono allora entrambi gli occhi e gli troncarono la mano destra dicendo: «Questa è la mano che vergava lettere dirette a Roma».
 
Poi gli amputarono il membro virile, dicendo: «Fino ad oggi sei stato predicatore della castità; d’ora in avanti sarai anche casto». Infine gli strapparono la lingua, dicendo: «Finalmente taccia questa lingua che mise scompiglio nelle famiglie dei chierici e le disperse». E così, conclude Andrea da Strumi, «quella santa anima fu liberata dalla carne; il corpo poi fu seppellito in quel luogo. Dopo questi fatti sul posto cominciarono ad apparire durante la notte ai pescatori splendide luci» (p. 145).
Gli assassini allora lo legarono con pesanti pietre e lo affondarono nel punto più profondo del Lago Maggiore. Dopo dieci mesi però, il 3 maggio 1067, il corpo di Arialdo tornò miracolosamente alla superficie. Dopo molte resistenze, donna Oliva consegnò il cadavere ad Erlembaldo, che lo riportò a Milano, dove fu deposto trionfalmente nella chiesa di S. Ambrogio, prima di essere tumulato in S. Celso e, alla fine del XVIII secolo, in Duomo.
 
Alessandro II nel 1068 beatificò Arialdo.