TERZO giorno
Il seme buono: San Francesco di Paola, eremita
Il campo è il mondo: l’ ecologia e la cura del creato
“Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse,
un virgulto germoglierà dalle sue radici.
Su di lui si poserà lo spirito del Signore,
spirito di sapienza e d'intelligenza,
spirito di consiglio e di fortezza,
spirito di conoscenza e di timore del Signore.
Si compiacerà del timore del Signore.
Non giudicherà secondo le apparenze
e non prenderà decisioni per sentito dire;
ma giudicherà con giustizia i miseri
e prenderà decisioni eque per gli umili della terra.
Percuoterà il violento con la verga della sua bocca,
con il soffio delle sue labbra ucciderà l'empio.
La giustizia sarà fascia dei suoi lombi
e la fedeltà cintura dei suoi fianchi.
Il lupo dimorerà insieme con l'agnello;
il leopardo si sdraierà accanto al capretto;
il vitello e il leoncello pascoleranno insieme
e un piccolo fanciullo li guiderà.
La mucca e l'orsa pascoleranno insieme;
i loro piccoli si sdraieranno insieme.
Il leone si ciberà di paglia, come il bue.
Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera;
il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso.
Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno
in tutto il mio santo monte,
perché la conoscenza del Signore riempirà la terra
come le acque ricoprono il mare”. (Is 11, 1 – 9).
Un brano profetico che la liturgia ci propone nel Tempo di Avvento. Gesù è Colui che compie le profezie. Egli è il “germoglio (che) spunterà dal tronco di Iesse … virgulto germoglierà dalle sue radici”.
Gesù è il nuovo inizio della stirpe umana, il germoglio immacolato che è germinato da un corpo immacolato: la Vergine Maria.
In Gesù c’è la pienezza dello Spirito. Egli “si compiacerà del timore del Signore”, perché in Gesù tutto compiace l’amore del Padre, da cui tutto ha principio perché Egli è l’Altissimo.
In Gesù tutto si rinnova e ritorna alla sua santa origine quando nel giardino del primo uomo tutto era in armonia, senza prede e predatori: “Il leone si ciberà di paglia, come il bue”.
Infatti si legge in Genesi:
“Dio disse: «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero fruttifero che produce seme: saranno il vostro cibo. A tutti gli animali selvatici, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde». E così avvenne”.
Gesù è venuto a ricreare questa giustizia e pace universale con tutto il creato.
Esiste il cattolico vegetariano? Secondo un distorta rilettura della Parola di Dio, sì!
Però chi ha conosce la Bibbia e la legge nel suo insieme sa che Gesù non è “venuto ad abolire la Legge o i Profeti; … ma a dare pieno compimento”. (Mt 5, 17).
Ricordiamo la visione di Pietro (At 10,9 - 23). Questo è il titolo che di solito si dà a questo racconto, ma se si osserva attentamente Pietro, lo si potrebbe intitolare: “la conversione di Pietro”. Il testo afferma che un giorno, «mentre quelli (i messaggeri di Cornelio) si stavano avvicinando alla città, Pietro salì verso mezzogiorno sulla terrazza a pregare». Qui ci si aspetterebbe la preghiera e, invece, si dice qualcosa che sembra banale, ma non lo è, poiché introduce il tema “cibo”, molto importante nel testo. Perciò si dice «che gli venne fame e voleva prendere cibo, ma mentre glielo preparavano entrò in estasi». Era il cielo che gli offriva da mangiare. «Vide infatti una grande tovaglia che scendeva dal cielo piena di ogni sorta di animali e sentì una voce che gli diceva: “Su, uccidi e mangia”». Pietro inorridito esclamò: «Non sia mai, Signore. Io non ho mai mangiato qualcosa di profano e di impuro». Sono già passati parecchi anni, ma Pietro non ha ancora assimilato l’insegnamento di Gesù che diceva: «Non quello che entra nell’uomo lo rende impuro… dichiarando così puro ogni alimento» (Mc 7,15.19).
Detto questo si capisce che non esiste un pensiero cattolico vegetariano .. il nostro Dio non si perde su ciò che mangiamo, ma su come viviamo, anche nel rapporto con il cibo e con il creato.
Stando al nostro percorso chi è il “seme buono” tra i figli del Regno che ci può insegnare un buon rapporto con il creato e le creature? Certo Francesco d’Assisi, il patrono dell’ecologia, ma anche Francesco di Paola è un santo che rifulse per la sua attenzione al creato e alle creature ispirato dall’omonimo d’Assisi.
Lo chiamarono Francesco in onore del santo d'Assisi – appunto - al quale avevano chiesto di intercedere per un figlio che, nonostante quindici anni di matrimonio, non era ancora nato. Era il 27 marzo 1416. Nella casa di Giacomo d'Alessio e di sua moglie Vienna, una famiglia di origini modeste, ma non povera perché possedeva dei terreni, parenti e amici festeggiarono il neonato. Oggi quella casa di Paola, una cittadina calabrese sul Mar Tirreno, non esiste più perché è stata trasformata in una piccola chiesa.
Ma la gioia dei genitori non durò a lungo: non era ancora trascorso un mese che la madre scoprì un piccolo ascesso nell'occhio sinistro del bimbo che rapidamente si estese sino a offendere la cornea. Quando ormai i medici disperavano di salvare l'occhio, la madre fece un voto a San Francesco d'Assisi: di tenere il figlio in un convento di Minori per un anno intero facendogli vestire l'abito dell'Ordine. Tornata a casa dalla chiesa, si accorse che l'ascesso era sensibilmente diminuito. Dopo qualche giorno l'occhio era perfettamente guarito.
Francesco imparò a leggere e a scrivere non prima dei tredici anni quando i genitori, per sciogliere il voto, lo condussero nel convento dei Francescani, a San Marco Argentano. Il ragazzo rivelò subito doti non comuni. Pare stupisse i frati dormendo per terra, digiunando spesso e pregando continuamente.
Quando ormai stava finendo l'anno votivo i frati chiesero a Francesco se volesse restare con loro; ma il ragazzo rispose, sorprendendoli, che diversa era la volontà del Signore alla quale doveva uniformarsi. Egli stesso non la conosceva ancora bene; sicché propose ai genitori di condurlo in pellegrinaggio fino ad Assisi: quel "viaggio" gli avrebbe permesso di scoprirla.
Dopo che i tre pellegrini ritornarono dal pellegrinaggio, Francesco non volle rientrare a casa e si ritirò con il consenso dei genitori in un campo che apparteneva al padre, a quasi un chilometro dall'abitato: era il 1429.
Ma presto si accorse che quel luogo non era il più adatto al raccoglimento e alla contemplazione perché si trovava presso un crocicchio e molti curiosi potevano giungervi facilmente. Dopo qualche mese si ritirò in una grotticella sul fianco di una valletta che apparteneva a una parente. Con una zappa ne allargò l'apertura e la scavò per renderla abitabile: era quello il romitorio che cercava. Nella grotta, che si conserva ancora adesso all'interno del santuario di Paola, visse per cinque anni in penitenza e contemplazione. Il giovane eremita temeva che quelle visite lo distogliessero dalla contemplazione. Poi comprese pregando che doveva dedicare parte del suo tempo ad aiutare gli altri.
Siccome la grotticella era poco adatta ad accogliere i visitatori si spostò più a valle, su un terreno del padre, costruendo una cella là dove ora vi sono i sotterranei del convento antico. Alcuni giovani, che erano venuti a trovarlo più volte, gli chiesero di vivere come lui nella preghiera e nella solitudine. Così nacque con una cappella e tre cellette il primo nucleo del futuro Ordine dei Minimi.
Una delle caratteristiche del nuovo Ordine è il voto perpetuo di Quaresima. Che inizialmente il papa dell’epoca non volle approvare pur permettendone l'osservanza. Il quarto voto di astinenza quaresimale era ed è da carni, uova, latticini e derivati.
Un voto particolare, unico nella Chiesa.
Due episodi e miracoli del Santo di Paola, ricordano il suo amore per il creato e le creature.
Nella fornace di Paola – costruita per fare i mattoni per il costruire il proto convento dell’Ordine - è avvenuto il miracolo di Martinello.
Martinello era un agnellino caro a Francesco. Un giorno i muratori che lavoravano al convento se lo mangiarono gettando le ossa nella fornace ardente. Quando il santo lo venne a sapere, non si scompose e, avvicinandosi alla fornace, spiegò che Martinello era così ubbidiente che avrebbe eseguito i suoi ordini ovunque si trovasse: l'agnellino rispose subito al suo richiamo uscendo dalla fornace, vivo.
Poco più in là delle fornace c’è "l'acqua della cucchiarella", così detta dall'arnese che si usa per attingerla. E una fonte che Francesco fece sgorgare battendo col bastone sopra un sasso tufaceo quando i muratori si lamentavano, durante un torrido pomeriggio estivo, che per dissetarsi erano costretti a scendere fino al rivo. Nell’"acqua della cucchiarella" il santo teneva una trota, Antonella, alla quale portava briciole di pane. Un giorno il pesce, che si avvicinava senza timore prendendo il pane dalle sue mani, si lasciò catturare da un prete che se lo portò a casa cucinandolo; ma non fece in tempo a mangiarlo perché un frate, mandato da Francesco, glielo venne a richiedere. Indispettito, il prete lo gettò per terra. Il frate ne raccolse i tanti pezzi portandoli al Santo che li mise nell'acqua della fonte dicendo: "Per carità, ritorna a vivere". E Antonella resuscitò.
Deliziosi episodi che ci danno l’input per una riflessione sull’ecologia e sulla custodia del creato.
Mi rifaccio alle parole di Papa Francesco, che ci ricorda:
“Quando parliamo di ambiente, del creato, il mio pensiero va alle prime pagine della Bibbia, al Libro della Genesi, dove si afferma che Dio pose l’uomo e la donna sulla terra perché la coltivassero e la custodissero (cfr 2,15). E mi sorgono le domande: Che cosa vuol dire coltivare e custodire la terra? Noi stiamo veramente coltivando e custodendo il creato? Oppure lo stiamo sfruttando e trascurando? Il verbo “coltivare” mi richiama alla mente la cura che l’agricoltore ha per la sua terra perché dia frutto ed esso sia condiviso: quanta attenzione, passione e dedizione! Coltivare e custodire il creato è un’indicazione di Dio data non solo all’inizio della storia, ma a ciascuno di noi; è parte del suo progetto; vuol dire far crescere il mondo con responsabilità, trasformarlo perché sia un giardino, un luogo abitabile per tutti. Benedetto XVI ha ricordato più volte che questo compito affidatoci da Dio Creatore richiede di cogliere il ritmo e la logica della creazione. Noi invece siamo spesso guidati dalla superbia del dominare, del possedere, del manipolare, dello sfruttare; non la “custodiamo”, non la rispettiamo, non la consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura. Stiamo perdendo l’atteggiamento dello stupore, della contemplazione, dell’ascolto della creazione; e così non riusciamo più a leggervi quello che Benedetto XVI chiama “il ritmo della storia di amore di Dio con l’uomo”. Perché avviene questo? Perché pensiamo e viviamo in modo orizzontale, ci siamo allontanati da Dio, non leggiamo i suoi segni.
Ma il “coltivare e custodire” non comprende solo il rapporto tra noi e l’ambiente, tra l’uomo e il creato, riguarda anche i rapporti umani. I Papi hanno parlato di ecologia umana, strettamente legata all’ecologia ambientale. Noi stiamo vivendo un momento di crisi; lo vediamo nell’ambiente, ma soprattutto lo vediamo nell’uomo. La persona umana è in pericolo: questo è certo, la persona umana oggi è in pericolo, ecco l’urgenza dell’ecologia umana! E il pericolo è grave perché la causa del problema non è superficiale, ma profonda: non è solo una questione di economia, ma di etica e di antropologia. La Chiesa lo ha sottolineato più volte; e molti dicono: sì, è giusto, è vero… ma il sistema continua come prima, perché ciò che domina sono le dinamiche di un’economia e di una finanza carenti di etica. Quello che comanda oggi non è l'uomo, è il denaro, il denaro, i soldi comandano. E Dio nostro Padre ha dato il compito di custodire la terra non i soldi, ma a noi: agli uomini e alle donne, noi abbiamo questo compito! Invece uomini e donne vengono sacrificati agli idoli del profitto e del consumo: è la “cultura dello scarto”. Se si rompe un computer è una tragedia, ma la povertà, i bisogni, i drammi di tante persone finiscono per entrare nella normalità. Se una notte di inverno, qui vicino in via Ottaviano, per esempio, muore una persona, quella non è notizia. Se in tante parti del mondo ci sono bambini che non hanno da mangiare, quella non è notizia, sembra normale. Non può essere così! Eppure queste cose entrano nella normalità: che alcune persone senza tetto muoiano di freddo per la strada non fa notizia. Al contrario, un abbassamento di dieci punti nelle borse di alcune città, costituisce una tragedia. Uno che muore non è una notizia, ma se si abbassano di dieci punti le borse è una tragedia! Così le persone vengono scartate, come se fossero rifiuti.
Questa “cultura dello scarto” tende a diventare mentalità comune, che contagia tutti. La vita umana, la persona non sono più sentite come valore primario da rispettare e tutelare, specie se è povera o disabile, se non serve ancora – come il nascituro –, o non serve più – come l’anziano. Questa cultura dello scarto ci ha resi insensibili anche agli sprechi e agli scarti alimentari, che sono ancora più deprecabili quando in ogni parte del mondo, purtroppo, molte persone e famiglie soffrono fame e malnutrizione. Una volta i nostri nonni erano molto attenti a non gettare nulla del cibo avanzato. Il consumismo ci ha indotti ad abituarci al superfluo e allo spreco quotidiano di cibo, al quale talvolta non siamo più in grado di dare il giusto valore, che va ben al di là dei meri parametri economici. Ricordiamo bene, però, che il cibo che si butta via è come se venisse rubato dalla mensa di chi è povero, di chi ha fame! Invito tutti a riflettere sul problema della perdita e dello spreco del cibo per individuare vie e modi che, affrontando seriamente tale problematica, siano veicolo di solidarietà e di condivisione con i più bisognosi.
Pochi giorni fa, nella Festa del Corpus Domini, abbiamo letto il racconto del miracolo dei pani: Gesù dà da mangiare alla folla con cinque pani e due pesci. E la conclusione del brano è importante: «Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi avanzati: dodici ceste» (Lc 9,17). Gesù chiede ai discepoli che nulla vada perduto: niente scarti! E c’è questo fatto delle dodici ceste: perché dodici? Che cosa significa? Dodici è il numero delle tribù d’Israele, rappresenta simbolicamente tutto il popolo. E questo ci dice che quando il cibo viene condiviso in modo equo, con solidarietà, nessuno è privo del necessario, ogni comunità può andare incontro ai bisogni dei più poveri. Ecologia umana ed ecologia ambientale camminano insieme.
Vorrei allora che prendessimo tutti il serio impegno di rispettare e custodire il creato, di essere attenti ad ogni persona, di contrastare la cultura dello spreco e dello scarto, per promuovere una cultura della solidarietà e dell’incontro”. (5 giugno 2013)
DOMANDE PER RIFLETTERE
* Mi sono mai domandato se e come alimento la cultura dello scarto?
* Mi impegno ad educare le nuove generazioni al rispetto del cibo e del creato?
* Ecologia umana ed ecologia ambientale camminano insieme. Il rispetto del creato e dell’uomo camminano insieme. Come coltivare questo insegnamento nel mio piccolo di ogni giorno?
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