panorama di Tavoleto (PU) |
La regione Marche…. Terra meravigliosa! Dai monti
Sibillini scende verso l’Adriatico con i suoi bellissimi colli armoniosi, belli
per come li ha voluti il Creatore, ma belli anche per l’opera dell’uomo.
Nella provincia di
Pesaro-Urbino, ma in diocesi di Rimini, al confine con la Romagna, su un colle
spicca Tavoleto con il suo castello.
Il nome di questo antico
borgo deriva dal latino Tabularum laetus
cioè luogo ricco di tavole. Prima dell’anno mille le nostre zone collinari
avevano sicuramente un aspetto selvo-pastorale ed erano disseminate di piccoli
agglomerati, vicus e qualche centro
di dimensioni più grandi, pagus,
tutti gravitanti verso la città di Rimini a valle e di Urbino a monte. È da
ritenere che i primi insediamenti risalgono al periodo bizantino (VII-VIII
sec), con l’apertura della strada carrozzabile Flaminia Conca che era considerata strada regalis, cioè a grande traffico, il Castrum Trapole venne scelto come luogo di edificazione della Pieve
di S. Lorenzo in barco, il termine barco sta ad indicare gli ammassi di legname
che venivano raccolti ed inviati via Tevere a Roma per la costruzione delle
grandi basiliche romane. La pieve era sotto la giurisdizione dell’abbazia di S.
Gregorio in conca, fondata da S. Pier Damiani.
L’attuale parrocchia di San Lorenzo di Tavoleto è
l’erede diretta dell’antica pieve di San Lorenzo in Barco, presso il castello
di Trapole.
Il primo scritto che
ricorda la Pieve (insieme a quella di Saludecio) è datato 17 giugno 1069, ed è
l’atto di donazione di vari possedimenti fatto da Pietro, figlio di Benno,
potente signore di Rimini, a San Pier Damiani e all'abazia di San Giorgio in
Conca.
Successivamente, nel 1144
con la Bolla di papa Lucio II, la Pieve viene enumerata fra le chiese soggette
alla giurisdizione del Vescovo di Rimini.
Nella storia civile, gli
anni che vanno indicativamente dal 1250 al 1500 vedono alternarsi dominazioni
diverse e sempre in lotta fra di loro: il Comune di Rimini, la Chiesa di
Ravenna, il Ducato di Urbino, i Malatesta.
Finalmente nel 1473
Tavoleto e tutta la zona della sua giurisdizione, per volontà del papa, passa
sotto Urbino, ma ecclesiasticamente rimane legata alla diocesi di Rimini.
Situazione che resterà sostanzialmente immutata fino ai giorni nostri.
Sorprendentemente non c’è
nessun cenno a Tavoleto o Auditore nella visita pastorale di monsignor
Castelli, probabilmente perché non giunse fino a queste lontane parrocchie.
Nel 1775 una disposizione
della Sacra Congregazione dei Riti stabilì che si dovessero rivedere i criteri
di divisione dei Vicariati, restituendo alle antiche Pievi i loro diritti. Così
anche a Tavoleto nel 1780 fu restituita la sede di Vicariato a causa della
chiesa matrice di San Lorenzo.
La chiesa parrocchiale
attuale, che ha raccolto in sé titoli e privilegi di tutte le chiese un tempo
esistenti a Tavoleto, ha subito vari interventi di restauro e ristrutturazione.
Nel 1915 è stata ampliata dal parroco don Bacchini, mentre nell'anno successivo
è stata eretta la torre campanaria.
Nella comunità cristiana
di Tavoleto è custodito e venerato il corpo
santo di Vincenzo: un bel
simulacro (forse) in ceroplastica, un martire
delle catacombe.
Per
raffigurare un Santo ci sono delle caratteristiche precise. Ci sono dei modi
per raffigurare: un Apostolo, un Vescovo, una Vergine e un Martire.
In certi casi
è posta una scritta sull’immagine che definisce il santo dipinto. Questo è
tipico delle icone e di una certa iconografia dei secoli scorsi.
Nella specifico quali
sono i simboli che ci fanno
identificare un martire?
Ascoltiamo dal capitolo 7 dell’Apocalisse di San Giovanni,
la seguente descrizione:
“Dopo
queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di
ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e
davanti all'Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle
loro mani. E gridavano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio,
seduto sul trono, e all'Agnello».
E
tutti gli angeli stavano attorno al trono e agli anziani e ai quattro esseri
viventi, e si inchinarono con la faccia a terra davanti al trono e adorarono
Dio dicendo: «Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e
forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen».
Uno
degli anziani allora si rivolse a me e disse: «Questi, che sono vestiti di
bianco, chi sono e da dove vengono?». Gli risposi: «Signore mio, tu lo sai». E
lui: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le
loro vesti, rendendole candide nel sangue dell'Agnello. Per questo stanno
davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo tempio;
e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro”.
(Ap 7,9-15)
C’è uno specifico nel raffigurare
i singoli martiri?
Senza entrare nello
specifico dei singoli martiri che spesso vengono raffigurati con lo strumento
della morte o delle torture subite, i simboli comuni che richiamano il martirio
sono: la palma; la corona di metallo o di
alloro o di fiori; la croce; la veste bianca o\e rossa; l’armatura.
Nel caso specifico di SanVincenzo Martire venerato a Tavoleto prenderemo in considerazione: la palma e la veste bianca o/e rossa.
La
Palma.
“Vidi:
ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione,
tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti
all'Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro
mani” (Ap 7,9)
La palma risulta essere
uno degli attributi peculiari che identificano un martire. Tale raffigurazione
era già in uso nell’era paleocristiana per identificare una persona che per
causa della fede aveva dato la vita per Cristo.
L'antica simbologia della
palma del martirio e, in generale, la palma intesa come simbolo del
Cristianesimo, si collega all'Oriente, terra di questo albero della famiglie
delle Arecaceae, che conta 202
differenti generi con circa 2.600 specie, la maggior parte delle quali diffuse
nelle aree a clima tropicale o subtropicale.
Il suo significato è
quello della vittoria, dell'elezione, della rinascita e dell'immortalità. Si
collega anche alla fenice e ha la funzione di albero della vita.
Un albero slanciato e
vigoroso con possenti pennacchi di foglie disposti a raggio come quelli del
sole. Si pensava che la pianta morisse nel fiorire e generare i frutti (e
quindi i semi): il legame con il
martirio è quindi dovuto a una simbologia di sacrificio.
Difatti proprio la
persecuzione diventa, secondo la celebre frase di Tertulliano, fonte di
missione per i nuovi cristiani. Ecco le sue parole: «Noi ci moltiplichiamo ogni volta che da voi siamo mietuti: è un seme
il sangue dei cristiani» (Apologetico 50,13)
Nella domenica detta
appunto delle Palme la simbologia rimanda all'entrata trionfale di Gesù Cristo
in Gerusalemme (cfr i Vangeli) prefigurando in anticipo la Resurrezione dopo la morte. Ugualmente ,
la palma ha lo stesso valore di simbolo della resurrezione dei martiri (Ap 7,
9).
Alcune volte la stessa Madre di Dio è
raffigurata con un ramo di palma per ricordarci la sua assunzione; ciò che Dio
in Cristo ha vinto in lei la morte.
La leggenda del ramo di
palma alla morte di Maria non è raffigurazione frequente: si narra che
l'arcangelo Michele, o l'Arcangelo Gabriele, reca dal paradiso un ramo di palma
alla Madre di Dio come segno della sua morte imminente. Maria lo porge a
Giovanni Evangelista che a sua volta lo porta davanti alla bara il giorno della
sua sepoltura.
Il ramo a volte è
raffigurato con sette punte, simbologia che si evolverà nelle Sette spade dei
dolori di Maria.
Concludendo. Nei Martiri
la palma è simbolo della loro vittoria-fedeltà. “Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il
momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho
terminato la corsa, ho conservato la fede”. (2 Tm 4, 6-8)
La veste bianca.
“Tuttavia a Sardi vi sono alcuni che
non hanno macchiato le loro vesti; essi cammineranno con me in vesti bianche,
perché ne sono degni” (Ap 3,4).
Cos’è
la dignità descritta dal libro dell’Apocalisse?
Questo
simbolo ci riporta subito al nostro Battesimo, quando il sacerdote donandoci la
veste bianca e chiamando per nome il battezzato, presenta il gesto dicendo:
“sei diventato nuova creatura, e ti
sei rivestito di Cristo. Questa veste bianca sia segno della tua nuova dignità:
aiutato dalle parole e dall'esempio dei tuoi cari, portala senza macchia per la
vita eterna”.
La
veste bianca nel Martire è segno della sua fedeltà alle promesse battesimali - è
nuova creatura ed è rimasto fedele a Cristo - ed ora la sua anima dimora presso
Dio, nella vita eterna.
Alcune
volte è accompagnata da una sopravveste
rossa o da un mantello rosso. La simbologia è chiara: richiama il martirio,
quindi la fedeltà alle promesse battesimali fino al dono della vita, del
sangue, e richiama il famoso passo dell’Apocalisse:
“Sono quelli che vengono dalla grande
tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue
dell'Agnello”.
La Casa del sì di Maria Loreto (AN) |
Il
Martire è colui che risponde “sì” alla salvezza operata da Gesù, per opera della
sua passione, morte e risurrezione, una risposta che rimane fedele fino al dono
della vita.
“Figlio mio, io sto già per essere
versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho
combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede”. (2 Tm 4, 6-8).
Concludo
con l’orazione tratta dal Comune dei
Martiri del Messale Romano:
Dio onnipotente ed eterno, che hai
dato ai santi martiri la grazia di comunicare alla passione del Cristo, vieni
in aiuto alla nostra debolezza, e come essi non esitarono a morire per te,
concedi anche a noi di vivere da forti nella confessione del tuo nome. Per il
nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen