Madonna di Gibilmanna |
Sono stato a Corleone nel 2002. Quando intrapresi
il viaggio per la Sicilia nel 2002, dissi ai miei amici palermitani che
potevano portarmi dove volevano, ma due posti volevo visitare: Corleone, il
paese di San Bernardo (che è sepolto a Palermo); e Gibilmanna, per sciogliere
un voto alla Vergine, che avevo fatto a 15 anni.
In questi giorni scopro che la città di Corleone ha
dato i natali ad un’altra perla di santità: Maria Antonia Destro (FONTE).
Serva di Dio Suor Maria Cira Destro appartenente
all’Ordine di Santa Chiara, nasce a Corleone nel 1782. Nel 1801 entra nel monastero della SS. Annunziata di Corleone
e diventa clarissa con la professione religiosa del 7 aprile 1804.
Nella sua vita,
caratterizzata dalla sofferenza e dall’amore appassionato per Cristo
Crocifisso, si verificano fatti straordinari.
Le inedite lettere che il
confessore, decano Benedetto Canzoneri, scrive a monsignor Gabriele Gravina,
vicario capitolare di Monreale, descrivono minuziosamente le sue intense
esperienze mistiche e le manifestazioni di doni particolari: stimmate,
effusioni di sangue, estasi, capacità di predire il futuro e di leggere nel
cuore degli altri, visioni, levitazione, guarigioni, obbedienza ai comandi
mentali dei Superiori, prevista espulsione di calcoli renali, dominio sugli
animali.
Scrive Canzoneri a
Gravina: «Il 3 maggio 1810, festa
dell'inventio crucis, le si aprì una piaga in forma di croce al braccio
sinistro, ma si rimarginarono le piaghe delle braccia e delle mani. Il 24
giugno dello stesso anno comparve un'altra piaga nel braccio destro a forma di
cuore».
In particolare durante le
estasi spesso mettono tra le mani di Suor Cira dei fiori per presentarli al
Signore come offerta e richiesta di grazie, fiori che poi suor Maria Cira
riconsegna come segno della preghiera esaudita.
Ma la giovane clarissa,
vissuta nel monastero della SS.
Annunziata di Corleone, sperimenta anche pesanti vessazioni diaboliche,
calunnie e opposizioni da parte delle consorelle e di alcuni membri del clero.
Costretta ad uscire dalla clausura, con Breve Apostolico della Santa Sede, per
motivi di salute ma soprattutto a causa dei vari tentativi fatti in monastero
per avvelenarla, muore dopo pochi mesi nella casa paterna, in fama di santità,
il venerdì 24 luglio 1818 all’età di
trentasei anni.
Sepolta nel monastero, si
verificano vari eventi prodigiosi riportati nelle testimonianze raccolte per
l’apertura del processo di beatificazione. Dal 1894 il suo corpo riposa nella
Chiesa Madre di Corleone.
L’iter di canonizzazione
ha compiuto questi passi:
·
11 febbraio 2019: Il Consiglio direttivo (Don Vincenzo Pizzitola, Presidente; Vincenzo Campo,
Segretario; Giuseppe Terrusa, Tesoriere) dell'Associazione "Suor Maria
Cira Destro" di Corleone chiede a Mons. Michele Pennisi, Arcivescovo di
Monreale, l'apertura della Causa di Beatificazione e Canonizzazione di Suor
Maria Cira Destro (1782-1818), mistica della nostra terra di Corleone,
discepola di Cristo Crocifisso e figlia di Santa Chiara d'Assisi, secondo l'iter previsto
per le cause antiche.
·
12 marzo 2019: Parere favorevole da parte della Conferenza Episcopale Siciliana (Prot. N.
32/2019).
·
21 marzo 2019: Il Sacerdote Don Francesco Carlino del Clero Diocesano di Monreale viene
nominato Postulatore della Causa.
·
31 maggio 2019: il Postulatore, Don Francesco Carlino, presenta all'Arcivescovo di
Monreale, Mons. Michele Pennisi, il Supplex libellus a nome
dell'Associazione Culturale "Suor Maria Cira Destro" di Corleone
riconosciuta come Actor Causae.
·
22 luglio 2019: Editto
dell'Arcivescovo di Monreale, Mons. Michele Pennisi, con cui viene reso
pubblico il Libello di domanda del Postulatore e si invitano tutti i fedeli a
fornire notizie utili riguardanti la Causa (prot. N. 313/19).
·
07 agosto 2019: Richiesta
di Nulla Osta da parte dell'Arcivescovo di Monreale, Mons. Michele Pennisi,
alla Congregazione delle Cause dei Santi di Roma per l'apertura della Causa.
·
28 novembre 2019: Nulla
Osta della Congregazione delle Cause dei Santi di Roma per l'apertura della
Causa di Beatificazione e Canonizzazione della Serva di Dio Suor Maria Cira
Destro (Prot. N. 3481-1/19).
San
Bernardo da Corleone (FONTE), al secolo Filippo Latini (Corleone, 6
febbraio 1605; † Palermo, 12 gennaio 1667) religioso dell'Ordine dei Frati
Minori Cappuccini.
Filippo Latini nacque il
6 febbraio 1605 a Corleone, in Sicilia, battezzato con il nome di Filippo,
quinto figlio di Leonardo, un calzolaio e conciatore di pelli, e di Domenica.
La sua casa era, a detta di popolo, "casa
di santi", poiché il padre era misericordioso coi poveri fino a
portarseli a casa, lavarli, rivestirli e rifocillarli con squisita carità.
Molto virtuosi erano anche i fratelli e le sorelle. Su questo terreno così
fertile il giovane Filippo imparò presto a esercitare la carità e a essere
devoto del Crocifisso e di Maria Vergine, alla quale ogni sabato rendeva l'omaggio
della lampada votiva.
La vita della Sicilia del
tempo, sotto la dominazione spagnola, era piena di fermenti politici e
religiosi. Così, alla religiosità del calzolaio Filippo corrispondeva la sua
vita caritativa. Sono molti coloro che hanno testimoniato di aver visto il
giovane che andava cercando l'elemosina per la città in tempo d'inverno per
carcerati senza vergognarsene. Filippo, poi, trattava bene i suoi dipendenti,
dal momento che gestiva una bottega di calzolaio. Fu anche un bravo e temibile
spadaccino, non solo di Corleone, ma di tutto il circondario; i suoi primi
biografi affermano che arrivò a essere considerato la prima spada di Sicilia.
Alcuni testimoni
precisarono ai processi che nessun difetto si era notato se non la focosità che
aveva nel mettere mano alla spada quando era provocato. Questa focosità provocò
ansie e timori non indifferenti ai genitori. I testimoni furono comunque tutti
concordi nel deporre che se Filippo metteva mano alla spada era per difendere
il prossimo da qualche vessazione: in ogni caso, non provocò mai nessuno, ma
sempre fu provocato.
L'episodio
del duello con Vito Canino del 1624 fu certamente decisivo nella
giovinezza di Filippo, anche se è stato colorato con particolari romanzeschi.
Prima dello scontro fatale con Vito Canino, che ebbe una vasta risonanza
popolare, Filippo aveva avuto delle scaramucce con un non meglio identificato
Vinuiacitu, che se l'era cavata con due dita ferite. Vito Canino, il
commissario venuto da Palermo a Corleone per carpire il primato della scherma a
Filippo, in realtà era un sicario mandato da Vinuiacitu allo scopo di
assassinare il calzolaio, per rifarsi dell'umiliazione subita. Nel duello
Filippo mutilò per sempre il braccio del Canino, rendendolo inabile. Anche se
aveva agito per legittima difesa, Filippo provò dolore e dispiacere vivissimo
per aver ferito il Canino e sebbene fosse considerato la prima spada della
Sicilia, chiese perdono al ferito e, anche quando divenne cappuccino, lo aiutò
economicamente, tramite i benefattori e moralmente, fino al punto che i due
divennero amici carissimi.
L'episodio influì molto
sulle future decisioni di Filippo che decise di abbracciare la vita religiosa e
chiese di poter entrare nell'Ordine
cappuccino, dove fu ammesso dopo non poche perplessità da parte dei
superiori, che ben conoscevano il suo passato burrascoso. Il 13 dicembre 1631,
vestì nel noviziato di Caltanissetta il saio dei cappuccini, i frati più
inseriti nelle classi popolari e volle chiamarsi frate Bernardo da Corleone.
Terminato il noviziato, emise la professione religiosa e s'incamminò
speditamente sulla via della perfezione cristiana. I confratelli che vivevano
con lui notavano l'ansia religiosa di un uomo sempre impegnato nel condurre una
vita profondamente cristiana e protesa verso la perfezione. Era la coerenza a
spingerlo a comportarsi da vero cristiano e buon frate. Senza atteggiarsi a
maestro, fra Bernardo voleva coinvolgere tutti nel cammino verso la salvezza
attraverso l'amore di Dio e la penitenza.
Nella preghiera emergeva
l'immagine più bella e autentica di fra Bernardo da Corleone. Chi lo vedeva,
riteneva che conversasse con Dio, indirizzando a Lui pensieri e affetti; e
nello stesso tempo appariva misericordioso con tutti e pacifico. La sua vita fu
del tutto semplice, passò attraverso i diversi conventi della provincia, a
Bisacquino, Bivona, Castelvetrano, Burgio, Partitico, Agrigento, Chiusa,
Caltabellotta, Polizzi e forse a Salemi e Monreale, ma è difficile ricavarne un
quadro cronologicamente esatto. Si sa che trascorse gli ultimi quindici anni di
vita a Palermo.
Il suo ufficio come
fratello fu quello di cuciniere o di aiutante cuciniere. Ma egli sapeva
aggiungervi la cura degli ammalati e una quantità di lavori supplementari per
essere utile a tutti. Si racconta un episodio tanto bello quanto divertente di
questa sua generosità. Trovandosi con i frati di Bivona durante un'epidemia, si prodigò nel curarli in
ogni necessità, perché l'unico rimasto sano in comunità era lui. Ma poi venne
colto anch'egli dal male: allora, prese da una chiesa una statuetta di san
Francesco e se l'infilò in una manica dicendo:
«Adesso
tu rimani lì dentro finché non mi fai guarire, perché possa aiutare i
confratelli»
La sua opera d'infermiere
si estese anche agli animali, in un tempo in cui la morte di un mulo o di un
bovino poteva significare rovina per una famiglia. Si fece a suo modo
esortatore e predicatore con certi suoi brevi sermoni in rima ancora ricordati,
come:
«Momentaneo
è il patire sempre eterno è il partire»
Si fermava volentieri di
notte in chiesa perché diceva chenon era bene lasciare il Santissimo Sacramento
solo ed egli restava presso il tabernacolo finché fossero venuti altri frati.
Trovava tempo per aiutare il sacrestano, per restare più vicino possibile al
tabernacolo. Contro il costume del tempo egli usava fare la comunione
quotidiana. Tanto che i superiori negli ultimi anni di vita, prostrato per le
continue penitenze, gli affidarono il compito di stare solo a servizio
dell'altare.
Secondo la migliore
tradizione dei fratelli laici dell'Ordine, fra Bernardo non esitava a definirsi
l'asino dei frati e a chi gli consigliava d'imparare a leggere, rispondeva:
«Le
piaghe di Cristo Nostro Signore, queste dobbiamo studiare»
La solidarietà con i suoi
confratelli si apriva fino ad assumere una dimensione sociale. A Palermo, in
circostanze di calamità naturali, come terremoti e uragani, si fece mediatore
davanti al tabernacolo, lottando come Mose:
«Piano,
Signore, piano! Usateci misericordia! Signore, la voglio questa grazia, la
voglio!»
Due mesi prima della
morte fra Bernardo sempre più frequentemente ripeteva: "paradiso, paradiso; presto ci vedremo in paradiso" e lo
diceva con allegria straordinaria. Sul letto di morte, ricevuta l'estrema
unzione, con gioia ripeté: "Andiamo, andiamo" e spirò nel convento
dei Cappuccini a Palermo. Erano le ore 14 di mercoledì, 12 gennaio 1667.
Un suo intimo
confratello, fra Antonino da Partanna, lo vide in spirito tutto luminoso che
ripeteva con ineffabile gioia:
«Paradiso!
Paradiso! Paradiso! Benedette le discipline! Benedette le veglie! Benedette le
penitenze! Benedette le rinnegazioni della volontà! Benedetti gli atti di
ubbidienza! Benedetti i digiuni! Benedetto l'esercizio di tutte le perfezioni
religiose!»
La sua fama di santità
era talmente grande che spinse subito i superiori e le autorità ecclesiastiche
ad avviare il processo di canonizzazione. La causa venne introdotta nel 1725. Nel 1762 è dichiarato Venerabile.
È proclamato beato il 15 maggio 1768,
e canonizzato molti anni dopo il 10
giugno 2001.
La sua tomba si trova
nella Chiesa dei cappuccini - piazza Cappuccini 1 - a Palermo.
Ma ricercando materiale per questo piccola raccolta
di dati sui santi di Corleone emerge anche Leoluca.
San Leoluca (FONTE) nacque a Corleone, intorno all' 815-818, alla vigilia
dell'invasione saracena della Sicilia. Al battesimo, i genitori gli imposero il
nome di Leone. Cresciuto in seno ad una agiata famiglia di possidenti,
ricevette una buona formazione religiosa e civile. Rimasto orfano ancor
giovinetto, Leone dovette dedicarsi alla gestione del suo patrimonio e alla
sorveglianza dei suoi armenti. Nella solitudine dei campi e nella
contemplazione della natura, sentì nel suo cuore la chiamata del Signore. Ormai
ventenne, Leone vendette tutti i suoi averi, distribuendo il ricavato ai poveri
del paese.
Quindi lasciò Corleone e
si ritirò nel monastero basiliano di San
Filippo d'Agira, in territorio di Enna, dove si fermò per un breve periodo.
Avendo intenzione di condurre vita eremitica, passò in Calabria. Prima però
volle sciogliere un voto fatto alla partenza da Corleone, recandosi a Roma in
pellegrinaggio, in visita alla tomba dei santi apostoli Pietro e Paolo.
Ritornato in Calabria, chiese di essere accolto nel monastero basiliano di Santa Maria di Vena, presso l'attuale Vibo
Valentia, dove l'abate Cristoforo gli impose il nome di Luca. Qui condusse una vita esemplare
ed austera, fatta di umiltà e di obbedienza, non cessando mai di pregare e
digiunare.
Alla morte di frate
Cristoforo, gli fu affidata la guida della comunità, divenendone abate. Sotto
la sua guida la comunità si accrebbe sempre di più; fondò altri conventi,
adunando sotto la sua personale disciplina circa cento frati. L'elevatezza del
suo sentimento religioso, la fama della sua santità e la vigoria fattiva del
suo spirito si diffusero in tutta la regione, dando un impulso non indifferente
al rinnovamento della sua nuova patria, la Calabria; a lui accorrevano quanti
erano nel bisogno dello spirito e del corpo, ottenendo per mezzo della sua
preghiera, grazie e guarigioni.
Leoluca si spense il 1º
marzo del 915 (per alcuni 917) all'età di cento anni dopo una forte febbre e
dopo aver scelto Teodoro come suo successore. Si narra che visse gli ultimi
giorni della sua vita in meditazione, digiuni e rapimenti estatici. La notizia
della morte rapidamente si diffuse e una gran folla raggiunse il monastero; gli
storiografi del santo asseriscono che Leoluca è stato sepolto a Monteleone
nella chiesa di Santa Maria Maggiore, altri invece pensano che il suo corpo è
rimasto a Vena Inferiore. Il Falcone nel suo scritto dice: “la salma fu deposta nella chiesa di S. Maria in quel luogo dove
appunto fu la di lui cella e oggi è duomo di Monteleone”, ma non si è
certi. Si dice infatti che dietro il duomo vi fosse un monastero basiliano.
La notizia della morte
del santo compaesano arrivò timidamente a Corleone.
Il suo culto si fece strada lentamente e solo nel XIII secolo si hanno
riscontri di una chiesa a lui dedicata nel luogo in cui secondo la tradizione
era la sua casa natia. Don Giovanni Colletto nella sua opera asserisca che la chiesa
originaria si trovava nell'attuale piazza sant'Agostino laddove oggi vi è la
cappella della Madonna della cintura. Nel 1420 si hanno notizie di una
confraternita di San Leoluca. Il culto del santo viene ancor più accentuato nel
1575, anno in cui si ritenne
l'intercessione del santo fondamentale a salvare la città dall'ondata di peste
e così in quell'anno San Leoluca viene eletto protettore della città di
Corleone. Il culto si sviluppa ancora durante la seconda ondata pestilente del
1624 ed è così che viene deciso di costruire una chiesa più grande da dedicare
al Santo patrono. Viene così venduta la chiesetta agli Agostiniani e viene
costruita l'attuale chiesa più a valle della presunta sede originale.
All'interno della chiesa vi è l'antico venerato simulacro di San Leoluca.
La festa di San Leoluca si celebra il 1° marzo,
mentre l’ultima domenica di maggio si ricorda il miracolo operato dal Santo,
che nel lontano 27 maggio 1860 apparve alle porte della città, risparmiando
Corleone dall’assedio delle truppe borboniche.
La commemorazione è da
tempo immemorabile presente nel Martirologio
Romano: Nel monastero di Avena tra i
pendii del monte Mercurio in Calabria, san Leone Luca, abate di Monte Mula, che
rifulse nella vita eremitica come in quella cenobitica seguendo le regole dei
monaci orientali.
Concludo con un pensiero di Madre Anna Maria Cànopi, benedettina:
“Guarda
il cielo e conta le stelle, se riesci a contarle – disse il Signore ad Abramo
-. Tale sarà la tua discendenza” (Gn 15,5). Nessuno è mai riuscito a contare le
stelle e mai nessuno potrà contare i discendenti di Abramo: i credenti in Dio,
i santi brillano nel cielo spirituale. Ma come gli astronomi continuamente
scrutando il firmamento mettono in evidenza corpi celesti eccezionale
splendore, così la Chiesa continuamente mostra nuovi e antichi santi
all’ammirazione e all’imitazione dei fedeli.
Amen.