martedì 17 marzo 2020

Santità a Corleone



Madonna di Gibilmanna

Sono stato a Corleone nel 2002. Quando intrapresi il viaggio per la Sicilia nel 2002, dissi ai miei amici palermitani che potevano portarmi dove volevano, ma due posti volevo visitare: Corleone, il paese di San Bernardo (che è sepolto a Palermo); e Gibilmanna, per sciogliere un voto alla Vergine, che avevo fatto a 15 anni.

In questi giorni scopro che la città di Corleone ha dato i natali ad un’altra perla di santità: Maria Antonia Destro (FONTE).

Serva di Dio Suor Maria Cira Destro appartenente all’Ordine di Santa Chiara, nasce a Corleone nel 1782. Nel 1801 entra nel monastero della SS. Annunziata di Corleone e diventa clarissa con la professione religiosa del 7 aprile 1804.
Nella sua vita, caratterizzata dalla sofferenza e dall’amore appassionato per Cristo Crocifisso, si verificano fatti straordinari.
Le inedite lettere che il confessore, decano Benedetto Canzoneri, scrive a monsignor Gabriele Gravina, vicario capitolare di Monreale, descrivono minuziosamente le sue intense esperienze mistiche e le manifestazioni di doni particolari: stimmate, effusioni di sangue, estasi, capacità di predire il futuro e di leggere nel cuore degli altri, visioni, levitazione, guarigioni, obbedienza ai comandi mentali dei Superiori, prevista espulsione di calcoli renali, dominio sugli animali.
Scrive Canzoneri a Gravina: «Il 3 maggio 1810, festa dell'inventio crucis, le si aprì una piaga in forma di croce al braccio sinistro, ma si rimarginarono le piaghe delle braccia e delle mani. Il 24 giugno dello stesso anno comparve un'altra piaga nel braccio destro a forma di cuore».
In particolare durante le estasi spesso mettono tra le mani di Suor Cira dei fiori per presentarli al Signore come offerta e richiesta di grazie, fiori che poi suor Maria Cira riconsegna come segno della preghiera esaudita.

Ma la giovane clarissa, vissuta nel monastero della SS. Annunziata di Corleone, sperimenta anche pesanti vessazioni diaboliche, calunnie e opposizioni da parte delle consorelle e di alcuni membri del clero. Costretta ad uscire dalla clausura, con Breve Apostolico della Santa Sede, per motivi di salute ma soprattutto a causa dei vari tentativi fatti in monastero per avvelenarla, muore dopo pochi mesi nella casa paterna, in fama di santità, il venerdì 24 luglio 1818 all’età di trentasei anni.
Sepolta nel monastero, si verificano vari eventi prodigiosi riportati nelle testimonianze raccolte per l’apertura del processo di beatificazione. Dal 1894 il suo corpo riposa nella Chiesa Madre di Corleone.
L’iter di canonizzazione ha compiuto questi passi:
·         11 febbraio 2019: Il Consiglio direttivo (Don Vincenzo Pizzitola, Presidente; Vincenzo Campo, Segretario; Giuseppe Terrusa, Tesoriere) dell'Associazione "Suor Maria Cira Destro" di Corleone chiede a Mons. Michele Pennisi, Arcivescovo di Monreale, l'apertura della Causa di Beatificazione e Canonizzazione di Suor Maria Cira Destro (1782-1818), mistica della nostra terra di Corleone, discepola di Cristo Crocifisso e figlia di Santa Chiara d'Assisi, secondo l'iter previsto per le cause antiche.
·         12 marzo 2019: Parere favorevole da parte della Conferenza Episcopale Siciliana (Prot. N. 32/2019).
·         21 marzo 2019: Il Sacerdote Don Francesco Carlino del Clero Diocesano di Monreale viene nominato Postulatore della Causa.
·         31 maggio 2019: il Postulatore, Don Francesco Carlino, presenta all'Arcivescovo di Monreale, Mons. Michele Pennisi, il Supplex libellus a nome dell'Associazione Culturale "Suor Maria Cira Destro" di Corleone riconosciuta come Actor Causae.
·         22 luglio 2019: Editto dell'Arcivescovo di Monreale, Mons. Michele Pennisi, con cui viene reso pubblico il Libello di domanda del Postulatore e si invitano tutti i fedeli a fornire notizie utili riguardanti la Causa (prot. N. 313/19).
·         07 agosto 2019: Richiesta di Nulla Osta da parte dell'Arcivescovo di Monreale, Mons. Michele Pennisi, alla Congregazione delle Cause dei Santi di Roma per l'apertura della Causa.
·         28 novembre 2019: Nulla Osta della Congregazione delle Cause dei Santi di Roma per l'apertura della Causa di Beatificazione e Canonizzazione della Serva di Dio Suor Maria Cira Destro (Prot. N. 3481-1/19).

San Bernardo da Corleone (FONTE), al secolo Filippo Latini (Corleone, 6 febbraio 1605; † Palermo, 12 gennaio 1667) religioso dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini.
Filippo Latini nacque il 6 febbraio 1605 a Corleone, in Sicilia, battezzato con il nome di Filippo, quinto figlio di Leonardo, un calzolaio e conciatore di pelli, e di Domenica. La sua casa era, a detta di popolo, "casa di santi", poiché il padre era misericordioso coi poveri fino a portarseli a casa, lavarli, rivestirli e rifocillarli con squisita carità. Molto virtuosi erano anche i fratelli e le sorelle. Su questo terreno così fertile il giovane Filippo imparò presto a esercitare la carità e a essere devoto del Crocifisso e di Maria Vergine, alla quale ogni sabato rendeva l'omaggio della lampada votiva.
La vita della Sicilia del tempo, sotto la dominazione spagnola, era piena di fermenti politici e religiosi. Così, alla religiosità del calzolaio Filippo corrispondeva la sua vita caritativa. Sono molti coloro che hanno testimoniato di aver visto il giovane che andava cercando l'elemosina per la città in tempo d'inverno per carcerati senza vergognarsene. Filippo, poi, trattava bene i suoi dipendenti, dal momento che gestiva una bottega di calzolaio. Fu anche un bravo e temibile spadaccino, non solo di Corleone, ma di tutto il circondario; i suoi primi biografi affermano che arrivò a essere considerato la prima spada di Sicilia.
Alcuni testimoni precisarono ai processi che nessun difetto si era notato se non la focosità che aveva nel mettere mano alla spada quando era provocato. Questa focosità provocò ansie e timori non indifferenti ai genitori. I testimoni furono comunque tutti concordi nel deporre che se Filippo metteva mano alla spada era per difendere il prossimo da qualche vessazione: in ogni caso, non provocò mai nessuno, ma sempre fu provocato.
L'episodio del duello con Vito Canino del 1624 fu certamente decisivo nella giovinezza di Filippo, anche se è stato colorato con particolari romanzeschi. Prima dello scontro fatale con Vito Canino, che ebbe una vasta risonanza popolare, Filippo aveva avuto delle scaramucce con un non meglio identificato Vinuiacitu, che se l'era cavata con due dita ferite. Vito Canino, il commissario venuto da Palermo a Corleone per carpire il primato della scherma a Filippo, in realtà era un sicario mandato da Vinuiacitu allo scopo di assassinare il calzolaio, per rifarsi dell'umiliazione subita. Nel duello Filippo mutilò per sempre il braccio del Canino, rendendolo inabile. Anche se aveva agito per legittima difesa, Filippo provò dolore e dispiacere vivissimo per aver ferito il Canino e sebbene fosse considerato la prima spada della Sicilia, chiese perdono al ferito e, anche quando divenne cappuccino, lo aiutò economicamente, tramite i benefattori e moralmente, fino al punto che i due divennero amici carissimi.
L'episodio influì molto sulle future decisioni di Filippo che decise di abbracciare la vita religiosa e chiese di poter entrare nell'Ordine cappuccino, dove fu ammesso dopo non poche perplessità da parte dei superiori, che ben conoscevano il suo passato burrascoso. Il 13 dicembre 1631, vestì nel noviziato di Caltanissetta il saio dei cappuccini, i frati più inseriti nelle classi popolari e volle chiamarsi frate Bernardo da Corleone. Terminato il noviziato, emise la professione religiosa e s'incamminò speditamente sulla via della perfezione cristiana. I confratelli che vivevano con lui notavano l'ansia religiosa di un uomo sempre impegnato nel condurre una vita profondamente cristiana e protesa verso la perfezione. Era la coerenza a spingerlo a comportarsi da vero cristiano e buon frate. Senza atteggiarsi a maestro, fra Bernardo voleva coinvolgere tutti nel cammino verso la salvezza attraverso l'amore di Dio e la penitenza.
Nella preghiera emergeva l'immagine più bella e autentica di fra Bernardo da Corleone. Chi lo vedeva, riteneva che conversasse con Dio, indirizzando a Lui pensieri e affetti; e nello stesso tempo appariva misericordioso con tutti e pacifico. La sua vita fu del tutto semplice, passò attraverso i diversi conventi della provincia, a Bisacquino, Bivona, Castelvetrano, Burgio, Partitico, Agrigento, Chiusa, Caltabellotta, Polizzi e forse a Salemi e Monreale, ma è difficile ricavarne un quadro cronologicamente esatto. Si sa che trascorse gli ultimi quindici anni di vita a Palermo.
Il suo ufficio come fratello fu quello di cuciniere o di aiutante cuciniere. Ma egli sapeva aggiungervi la cura degli ammalati e una quantità di lavori supplementari per essere utile a tutti. Si racconta un episodio tanto bello quanto divertente di questa sua generosità. Trovandosi con i frati di Bivona durante un'epidemia, si prodigò nel curarli in ogni necessità, perché l'unico rimasto sano in comunità era lui. Ma poi venne colto anch'egli dal male: allora, prese da una chiesa una statuetta di san Francesco e se l'infilò in una manica dicendo:
«Adesso tu rimani lì dentro finché non mi fai guarire, perché possa aiutare i confratelli»
La sua opera d'infermiere si estese anche agli animali, in un tempo in cui la morte di un mulo o di un bovino poteva significare rovina per una famiglia. Si fece a suo modo esortatore e predicatore con certi suoi brevi sermoni in rima ancora ricordati, come:
«Momentaneo è il patire sempre eterno è il partire»
Si fermava volentieri di notte in chiesa perché diceva chenon era bene lasciare il Santissimo Sacramento solo ed egli restava presso il tabernacolo finché fossero venuti altri frati. Trovava tempo per aiutare il sacrestano, per restare più vicino possibile al tabernacolo. Contro il costume del tempo egli usava fare la comunione quotidiana. Tanto che i superiori negli ultimi anni di vita, prostrato per le continue penitenze, gli affidarono il compito di stare solo a servizio dell'altare.
Secondo la migliore tradizione dei fratelli laici dell'Ordine, fra Bernardo non esitava a definirsi l'asino dei frati e a chi gli consigliava d'imparare a leggere, rispondeva:
«Le piaghe di Cristo Nostro Signore, queste dobbiamo studiare»
La solidarietà con i suoi confratelli si apriva fino ad assumere una dimensione sociale. A Palermo, in circostanze di calamità naturali, come terremoti e uragani, si fece mediatore davanti al tabernacolo, lottando come Mose:
«Piano, Signore, piano! Usateci misericordia! Signore, la voglio questa grazia, la voglio!»
Due mesi prima della morte fra Bernardo sempre più frequentemente ripeteva: "paradiso, paradiso; presto ci vedremo in paradiso" e lo diceva con allegria straordinaria. Sul letto di morte, ricevuta l'estrema unzione, con gioia ripeté: "Andiamo, andiamo" e spirò nel convento dei Cappuccini a Palermo. Erano le ore 14 di mercoledì, 12 gennaio 1667.
Un suo intimo confratello, fra Antonino da Partanna, lo vide in spirito tutto luminoso che ripeteva con ineffabile gioia:
«Paradiso! Paradiso! Paradiso! Benedette le discipline! Benedette le veglie! Benedette le penitenze! Benedette le rinnegazioni della volontà! Benedetti gli atti di ubbidienza! Benedetti i digiuni! Benedetto l'esercizio di tutte le perfezioni religiose!»
La sua fama di santità era talmente grande che spinse subito i superiori e le autorità ecclesiastiche ad avviare il processo di canonizzazione. La causa venne introdotta nel 1725. Nel 1762 è dichiarato Venerabile. È proclamato beato il 15 maggio 1768, e canonizzato molti anni dopo il 10 giugno 2001.
La sua tomba si trova nella Chiesa dei cappuccini - piazza Cappuccini 1 - a Palermo.

Ma ricercando materiale per questo piccola raccolta di dati sui santi di Corleone emerge anche Leoluca.

San Leoluca (FONTE) nacque a Corleone, intorno all' 815-818, alla vigilia dell'invasione saracena della Sicilia. Al battesimo, i genitori gli imposero il nome di Leone. Cresciuto in seno ad una agiata famiglia di possidenti, ricevette una buona formazione religiosa e civile. Rimasto orfano ancor giovinetto, Leone dovette dedicarsi alla gestione del suo patrimonio e alla sorveglianza dei suoi armenti. Nella solitudine dei campi e nella contemplazione della natura, sentì nel suo cuore la chiamata del Signore. Ormai ventenne, Leone vendette tutti i suoi averi, distribuendo il ricavato ai poveri del paese.
Quindi lasciò Corleone e si ritirò nel monastero basiliano di San Filippo d'Agira, in territorio di Enna, dove si fermò per un breve periodo. Avendo intenzione di condurre vita eremitica, passò in Calabria. Prima però volle sciogliere un voto fatto alla partenza da Corleone, recandosi a Roma in pellegrinaggio, in visita alla tomba dei santi apostoli Pietro e Paolo. Ritornato in Calabria, chiese di essere accolto nel monastero basiliano di Santa Maria di Vena, presso l'attuale Vibo Valentia, dove l'abate Cristoforo gli impose il nome di Luca. Qui condusse una vita esemplare ed austera, fatta di umiltà e di obbedienza, non cessando mai di pregare e digiunare.
Alla morte di frate Cristoforo, gli fu affidata la guida della comunità, divenendone abate. Sotto la sua guida la comunità si accrebbe sempre di più; fondò altri conventi, adunando sotto la sua personale disciplina circa cento frati. L'elevatezza del suo sentimento religioso, la fama della sua santità e la vigoria fattiva del suo spirito si diffusero in tutta la regione, dando un impulso non indifferente al rinnovamento della sua nuova patria, la Calabria; a lui accorrevano quanti erano nel bisogno dello spirito e del corpo, ottenendo per mezzo della sua preghiera, grazie e guarigioni.
Leoluca si spense il 1º marzo del 915 (per alcuni 917) all'età di cento anni dopo una forte febbre e dopo aver scelto Teodoro come suo successore. Si narra che visse gli ultimi giorni della sua vita in meditazione, digiuni e rapimenti estatici. La notizia della morte rapidamente si diffuse e una gran folla raggiunse il monastero; gli storiografi del santo asseriscono che Leoluca è stato sepolto a Monteleone nella chiesa di Santa Maria Maggiore, altri invece pensano che il suo corpo è rimasto a Vena Inferiore. Il Falcone nel suo scritto dice: “la salma fu deposta nella chiesa di S. Maria in quel luogo dove appunto fu la di lui cella e oggi è duomo di Monteleone”, ma non si è certi. Si dice infatti che dietro il duomo vi fosse un monastero basiliano.
La notizia della morte del santo compaesano arrivò timidamente a Corleone. Il suo culto si fece strada lentamente e solo nel XIII secolo si hanno riscontri di una chiesa a lui dedicata nel luogo in cui secondo la tradizione era la sua casa natia. Don Giovanni Colletto nella sua opera asserisca che la chiesa originaria si trovava nell'attuale piazza sant'Agostino laddove oggi vi è la cappella della Madonna della cintura. Nel 1420 si hanno notizie di una confraternita di San Leoluca. Il culto del santo viene ancor più accentuato nel 1575, anno in cui si ritenne l'intercessione del santo fondamentale a salvare la città dall'ondata di peste e così in quell'anno San Leoluca viene eletto protettore della città di Corleone. Il culto si sviluppa ancora durante la seconda ondata pestilente del 1624 ed è così che viene deciso di costruire una chiesa più grande da dedicare al Santo patrono. Viene così venduta la chiesetta agli Agostiniani e viene costruita l'attuale chiesa più a valle della presunta sede originale. All'interno della chiesa vi è l'antico venerato simulacro di San Leoluca.
La festa di San Leoluca si celebra il 1° marzo, mentre l’ultima domenica di maggio si ricorda il miracolo operato dal Santo, che nel lontano 27 maggio 1860 apparve alle porte della città, risparmiando Corleone dall’assedio delle truppe borboniche.
La commemorazione è da tempo immemorabile presente nel Martirologio Romano: Nel monastero di Avena tra i pendii del monte Mercurio in Calabria, san Leone Luca, abate di Monte Mula, che rifulse nella vita eremitica come in quella cenobitica seguendo le regole dei monaci orientali.

Concludo con un pensiero di Madre Anna Maria Cànopi, benedettina:

“Guarda il cielo e conta le stelle, se riesci a contarle – disse il Signore ad Abramo -. Tale sarà la tua discendenza” (Gn 15,5). Nessuno è mai riuscito a contare le stelle e mai nessuno potrà contare i discendenti di Abramo: i credenti in Dio, i santi brillano nel cielo spirituale. Ma come gli astronomi continuamente scrutando il firmamento mettono in evidenza corpi celesti eccezionale splendore, così la Chiesa continuamente mostra nuovi e antichi santi all’ammirazione e all’imitazione dei fedeli.
Amen.

“Ite ad Joseph” - OTTAVO GIORNO



“Ite ad Joseph”
«Andate da Giuseppe; fate quello che vi dirà». (Gen 41,55)
NOVENA A S. GIUSEPPE,
SPOSO DI MARIA
Patrono universale della Chiesa
150 anniversario della proclamazione
1870 – 2020


Novena 10 – 18 marzo 2020

O San Giuseppe,
Patrono della Chiesa,
Tu che accanto al Verbo incarnato
lavorasti ogni giorno per guadagnare il pane, traendo da Lui la forza di vivere e faticare;

Tu che hai provato l’ansia del domani, l’amarezza della povertà, la precarietà del lavoro;

Tu che irradi oggi l’esempio della tua figura, umile davanti agli uomini, ma grandissima davanti a Dio; guarda alla immensa famiglia che ti è affidata!

Benedici la Chiesa, sospingendola sempre più sulle vie della fedeltà evangelica, e custodisci la pace nel mondo, quella pace che sola può garantire lo sviluppo dei popoli e il pieno compimento delle umane speranze:
per il bene dell’umanità,
per la missione della Chiesa,
per la gloria della Trinità Santissima. Amen.
(S. Paolo VI, papa)