Per fare una seria riforma della diocesi, era necessario innanzitutto fare una seria diagnosi della situazione, cioè rendersi conto della vita dei fedeli, dei problemi delle parrocchie, della condizione del clero, per individuare le situazioni patologiche bisognose di cura o di cambiamento. Ebbene, san Carlo volle di persona conoscere il proprio gregge attraverso la visita pastorale, che compì per almeno due volte, recandosi fin nei più sperduti paesi dell’immensa diocesi di Milano. Ancora oggi ogni antica parrocchia ambrosiana conserva le tracce del passaggio di san Carlo: i luoghi dove fu ospitato, le chiese dove predicò, disse messa e amministrò i sacramenti, le cappelle da lui erette, persino le fontane cui si dissetò e che vengono indicate spesso come le “fontane di san Carlo”. Sono vere e proprie reliquie della sua attività pastorale e della sua presenza. Nell’ideale di san Carlo la visita pastorale si identifica quasi con la vita stessa del vescovo; anzi è il catalizzatore che rivela la qualità della sua stessa morte. Avendo saputo un giorno che il vescovo di Novara era morto per le fatiche della visita pastorale, esclamò: «Così deve morire il vescovo!».
(di mons. Marco Navoni)