Dopo il momento della diagnosi (la conoscenza dei problemi), san Carlo mise in atto il momento della terapia: individuare le misure giuste per correggere le situazioni che andavano cambiate. Ciò avvenne attraverso un’attività legislativa saggia e minuziosa: l’arcivescovo celebrò undici sinodi diocesani, riunendo il clero per discutere e trovare le applicazioni concrete di riforma, e sei concili provinciali, riunendo i vescovi delle diocesi che gravitavano su quella di Milano, così da instituire una strategia pastorale comune. Ne nacque un’imponente legislazione, nella quale tutto era previsto, nulla veniva lasciato all’arbitrio: vita del clero, organizzazione delle parrocchie, norme per l’amministrazione dei sacramenti e per la costruzione degli edifici sacri, perfino indicazioni igienico-sanitarie. Ai sinodi e ai concili si aggiunsero le lettere pastorali e le istruzioni su problemi contingenti. Se nella Chiesa rinascimentale il problema era l’anarchia, dopo il concilio di Trento e dopo l’interpretazione che ne diede san Carlo, tale problema venne risolto con una legislazione accuratissima, per noi oggi forse soffocante. Ma a quei tempi era la terapia corretta.
(di mons. Marco Navoni)