Genocidio armeno: educare per non
dimenticare
di
Bruno Forte(1)
Medz
Yeghern il “Grande Male” (2): così gli Armeni definiscono il
genocidio che un secolo fa falcidiò il loro popolo per il solo motivo della sua
fede cristiana. Era la notte tra il 23 e il 24 aprile 1915 quando molti
esponenti dell'élite armena di Costantinopoli vennero arrestati. A partire da
quella data, in un solo mese più di mille intellettuali armeni, giornalisti,
scrittori, poeti e delegati al Parlamento furono deportati verso l'interno
dell'Anatolia.
Quasi
tutti furono massacrati lungo la strada. Responsabili di arresti, deportazioni
e omicidi erano i Giovani Turchi, gruppo nazionalista nato all’inizio del
Ventesimo secolo e giunto al potere col progetto di creare in Anatolia uno
Stato turco etnicamente omogeneo. Fu messa in atto un’efferata “pulizia
etnica”, che condusse alla morte di oltre 1.200.000 persone, uccise dalla fame,
dalla malattia o dallo sfinimento, quando non eliminate fisicamente dalla
violenza criminale del potere turco, che agiva con la supervisione di ufficiali
dell'esercito tedesco in forza dell’alleanza tra Germania e Impero Ottomano.
Quanto
avvenne costituì di fatto la prova generale della Shoah attuata dai Nazisti
contro gli Ebrei durante la seconda guerra mondiale. Le fotografie di Armin T.
Wegner - il soldato tedesco che, a rischio della vita e contravvenendo agli
ordini ricevuti, rivelò al mondo lo sterminio - sono testimonianza di quei
fatti atroci. Mentre il governo turco seguita a rifiutare il riconoscimento del
genocidio armeno, una recente legge francese punisce con il carcere la
negazione di quel genocidio.
Il
12 aprile scorso Papa Francesco ha parlato apertamente dello sterminio degli
Armeni, «generalmente definito come il primo genocidio del XX secolo», citando
una dichiarazione comune del 2001 di Giovanni Paolo II e del Patriarca armeno
Karekin II in occasione della celebrazione del 1700° anniversario della
proclamazione del cristianesimo quale religione dell'Armenia. L’affermazione
del Papa ha suscitato una dura reazione della Turchia, che ha richiamato il
proprio ambasciatore e ha convocato il nunzio apostolico della Santa Sede.
Nella
stessa Turchia le cose cominciano però a cambiare: così si è la lasciata cadere
la denuncia contro Orhan Pamuk, lo scrittore turco di fama mondiale, che in
un'intervista ad un giornale svizzero si era espresso senza ipocrisie sui
tragici fatti accaduti. Riflettere su di essi è importante per tutti, perché
gli elementi che caratterizzarono il “grande male” messo in atto esattamente un
secolo fa si sono più volte ripetuti nel XX secolo e farne memoria potrebbe
aiutare ad evitare che accadano ancora. Si tratta delle ragioni politiche
soggiacenti a quelle etnico-religiose che motivarono il genocidio, del
carattere di sterminio di massa programmato e attuato sistematicamente che esso
ebbe, e dell’impatto di quegli eventi sull’intera storia del Novecento.
L’obiettivo
dei Giovani Turchi era fare della Turchia uno stato nazionale sul modello dei
paesi europei nati nell’Ottocento: il Paese avrebbe dovuto essere “purificato”
da elementi estranei e unito con il mondo turcofono dell’Asia centrale (il Turkestan).
L’ostacolo più evidente da eliminare per portare a termine questo sogno
nazionalista erano proprio gli Armeni, cristiani e indoeuropei, organizzati in
millet, comunità religiose e nazionali, che secondo il progetto dei Turchi
erano destinate semplicemente a sparire dal territorio fino ad allora da essi
abitato, che doveva entrare a far parte della grande Turchia.
L’ambizione
dei Giovani Turchi era di conseguire con la forza ciò che la storia non aveva
realizzato. Con gli Armeni, erano i Greci e gli Assiri altri fra i più
importanti gruppi cristiani da sopprimere. A cooperare con i Giovani Turchi
nelle stragi furono inizialmente anche i curdi, iranici, ma musulmani. Gli
esseri umani da eliminare avevano la sola colpa di appartenere a un’etnia e a una
religione diverse da quella dei carnefici: nessun possibile titolo di
giustificazione poteva essere preso in considerazione; la fuga o la morte erano
le due sole alternative lasciate a un intero popolo.
Fu
così che oltre agli innumerevoli innocenti massacrati, tanti Armeni fuggirono
verso Occidente, anche in Italia, spesso modificando i loro nomi di famiglia
per non essere riconoscibili e quindi raggiungibili dai sicari della follia
omicida dei giovani Turchi. I bellissimi romanzi di Antonia Arslan (“La masseria
delle allodole” e “La strada di Smirne”) hanno reso accessibile a molti lettori
la conoscenza di questa immane tragedia.
L’eliminazione
del “diverso” veniva realizzata in maniera ufficialmente “pulita”, dando cioè
l’impressione che si trattasse di trasferimenti di massa verso nuovi
insediamenti e che solo incidentalmente ciò comportasse la perdita della vita.
In realtà, oltre gli omicidi perpetrati efferatamente, la maggior parte degli
Armeni in fuga morì per le condizioni delle marce forzate verso una salvezza
del tutto improbabile, spesso senza cibo né riposo, incalzati dalla minaccia
degli oppressori. Proprio così, quello armeno divenne il primo genocidio del
Novecento, atroce modello per tutti gli altri poi realizzati, a cominciare
dalla Shoah del popolo ebraico e dai sei milioni di morti da essa prodotti.
Impressionante
fu l’opera di formazione ideologica degli assassini, che dovevano essere
convinti di “lavorare” al servizio della causa della grande Turchia, ma che in
realtà erano spesso criminali comuni, predisposti dall’ignoranza e dalla fame
ad accettare le condizioni imposte dal potere per la loro stessa sopravvivenza.
L’impatto del Medz Yeghern fu molto forte, al di là del tradimento politico del
popolo armeno, sacrificato dalle potenze occidentali in nome di una presunta
convivenza con l’Impero Turco oramai in dissoluzione: le élites culturali che
sopravvissero al massacro portarono in giro per il mondo la raffinata cultura
della Nazione che per prima aveva abbracciato il cristianesimo come religione
ufficiale già nel quarto secolo.
La
concentrazione di memorie culturali e di fonti letterarie armene, già da tempo
presenti specie nell’Isola di San Lazzaro a Venezia, consentì l’accesso alla
loro conoscenza da parte di molti studiosi e dell’opinione pubblica, cui
scrittori e storici poterono comunicare i risultati delle loro ricerche.
Purtroppo, però, il Grande Male servì da modello per nuove e ancor più efferate
forme di barbarie, come quella concepita e messa in atto dal Nazionalsocialismo
per la distruzione degli Ebrei d’Europa. Fare memoria dei fatti avvenuti un
secolo fa non è allora solo un dovere morale di ricordo dei tanti innocenti
uccisi, ma anche una sorta di educazione a non dimenticare, affinché quel male
non abbia più a ripetersi. In questa direzione vanno le parole pronunciate da
Papa Francesco: e addolora il fatto che l’attuale élite del potere turco abbia
reagito così duramente ad esse, come se il male compiuto nulla avesse
insegnato. “Ricordare - ha ribadito il Papa - è necessario, anzi, doveroso,
perché laddove non sussiste la memoria il male tiene ancora aperta la ferita;
nascondere o negare il male è come lasciare che la ferita continui a sanguinare
senza medicarla!”.
(1)
Fonte: 22 Aprile 2015 (Zenit.org) - Il Sole 24 Ore, domenica 19 aprile 2015,
pp. 1 e 16.
(2)
Con l’espressione “genocidio armeno” (in lingua armena Medz Yeghern, Grande
Male) ci si riferisce a due eventi distinti ma legati fra loro: il primo,
quello relativo alla campagna contro gli armeni condotta negli anni 1894-1896
dal sultano Abdul Hamid II; il secondo, quello collegato alla deportazione ed
eliminazione degli armeni compiute nel corso del Primo Conflitto Mondiale dal
nuovo governo della Sublime Porta controllato dai Giovani Turchi.
NOTE
1) Il termine “genocidio” fu coniato negli anni Quaranta
dal giurista americano di origine ebraico-polacca Raphael Lemkin proprio in
riferimento alla repressione armena.
2) A proposito della collaborazione fornita dai curdi al
governo centrale, va ricordata l’istituzione da parte del sultano dei
reggimenti Hamidye, reparti paramilitari dipendenti dall’esercito e dalla
gendarmeria turchi, che vennero largamente utilizzate per depredare o
incendiare le comunità armene “ribelli”).
BIBLIOGRAFIA
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Editore, Chieti, 2006.
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Orizzonti, http://www.storico.org.
H. M. Sukru, “The Political Ideas of the Young Turks”, in
idem, The Young Turks in Opposition, Oxford University Press, 1995
Questa
immagine, scattata da un giornalista tedesco e conservata negli archivi del
Vaticano, documenta il massacro delle donne cristiane armene nel deserto di
Deir ez-Zor – Siria , il 24/04/1915 durante il genocidio da parte dei soldati
turchi.
CELEBRAZIONI E MEMORIE DEI 100 ANNI
DAL GENOCIDIO ARMENO
Etchmiadzin
(AsiaNews) - Con una solenne lettera enciclica, il patriarca armeno ortodosso
Karekine II ha aperto in modo ufficiale le celebrazioni e memorie dei 100 anni
dal genocidio armeno, che dureranno per tutto il 2015.
Il
massacro di circa 1,5 milioni di armeni avviene verso la fine dell'impero
ottomano, prima con il sultano Abdul Hamid II, poi con i gruppi dei
"Giovani Turchi", e infine con lo stesso Kemal Ataturk, il padre
della patria turca. Gli armeni sono presi di mira perché cristiani, istruiti e
appartenenti alla classe media.
Soprattutto nel 1915 si chiudono le loro scuole, le chiese, le organizzazioni
e si lancia una vera e propria caccia con uccisioni, violenze, stupri,
umiliazioni. A queste seguono le deportazioni nel deserto, le fosse comuni, i
treni ripieni di sfollati e incendiati. I sopravvissuti sono coloro che sono
riusciti a raggiungere l'attuale Armenia (allora sotto il dominio russo e poi
sovietico), o la Siria e il Libano.
La
Conferenza di Parigi del 1920 ha riconosciuto il genocidio armeno e al presente
lo riconoscono almeno 20 Stati. Ma la Turchia non l'ha mai fatto, motivando i
massacri con il bisogno di combattere gruppi indipendentisti. Diversi scrittori e storici che hanno
pubblicato testi sul genocidio sono stati perseguiti. Solo lo scorso anno,
l'allora premier Recep Tayyip Erdogan ha presentato ai discendenti degli armeni
condoglianze per il massacro.
Nella
sua lettera, il patriarca Karekin II annuncia che il 23 aprile 2015 egli
presiederà una liturgia in cui proclamerà santi tutte le vittime del genocidio,
uccise "per la fede e per la patria" e farà del 24 aprile una Giornata
della Memoria per "i santi martiri del genocidio". Secondo
informazioni non confermate in via ufficiale, il 12 aprile 2015, anche papa
Francesco celebrerà in piazza san Pietro una messa a ricordo del genocidio
degli armeni. Di seguito il testo completo della lettera enciclica (Traduzione AsiaNews)
LETTERA ENCICLICA PER I 100 ANNI
DAL GENOCIDIO ARMENO DI
KAREKINE II, PATRIARCA ARMENO
"Ma
il sentiero dei giusti è come la luce che spunta e va vieppiù risplendendo,
finché sia giorno perfetto" (Proverbi 4,18)
Il
centenario del Genocidio degli armeni è davanti a noi, e le nostre anime
risuonano di una potente richiesta di verità e giustizia che non sarà messa a
tacere.
Ogni
giorno del 2015 sarà un giorno di ricordo e devozione per il nostro popolo, un
viaggio spirituale ai memoriali dei nostri martiri in patria e della diaspora,
davanti ai quali con umiltà ci inginocchiamo in preghiera, offrendo incenso per
le anime delle nostre vittime innocenti che giacciono in tombe senza nome poiché
hanno accettato di morire piuttosto che ripudiare la loro fede e la loro
nazione. Davvero "il sentiero dei giusti è come la luce che spunta e va
vieppiù risplendendo, finché sia giorno perfetto".
Nel
1915, e negli anni successivi, i turchi ottomani hanno commesso un genocidio
contro il nostro popolo. Nell'Armenia occidentale - sul nostro suolo nativo -
nella patria dell'Armenia e nelle comunità armene in tutta la Turchia, un
milione e mezzo di nostri figli e figlie hanno subito uccisioni, carestie e malattie:
sono stati deportati e costretti a marciare fino alla loro morte. Secoli di
creatività e di onesti traguardi raggiunti sono stati distrutti in un attimo.
Migliaia di chiese e monasteri sono stati dissacrati e distrutti. Le
istituzioni nazionali e le scuole rase al suolo e rovinate. I nostri tesori
spirituali e culturali sono stati sono stati sradicati e cancellati. L'Armenia
occidentale, dove per millenni - dal tempo di Noè - il nostro popolo ha
vissuto, creato e costruito la sua storia e cultura, è stata privata della sua
popolazione nativa.
Un secolo fa - quando i frammenti della
nazione armena, dopo aver perso il proprio patrimonio, sono stati sparsi in
tutto il mondo, e mentre l'Armenia orientale combatteva una lotta all'ultimo
sangue per la sopravvivenza contro gli invasori turchi - era difficile credere
in un futuro per il popolo armeno. Tuttavia una nuova alba è sorta. Con la
grazia del Signore, il nostro popolo è risorto dalla morte. Su una piccola
parte recuperata della nostra patria, la nostra gente ha ripristinato lo Stato,
ricreato un Paese dalle sue rovine e vestigia, e costruito una "patria di
luce e di speranza", di scienza, istruzione e cultura. Gli armeni esiliati
in tutto il mondo hanno costruito le case e i loro cuori nel mondo, sono
sbocciati in Paesi vicini e lontani, portando avanti le loro tradizioni e la
loro vita spirituale. Ovunque i figli della nostra nazione hanno vissuto, hanno
raggiunto il successo, guadagnandosi rispetto e fiducia, e ottenendo
riconoscimenti per il loro lavoro coscienzioso e il loro contributo alla
scienza, alle arti e al bene comune. Questa è la storia del nostro popolo
durante il secolo scorso - una storia di avversità e risurrezione. Oggi,
nonostante la difficoltà, la nostra nazione rafforza la sua sovranità
indipendente, crea una nuova vita di libertà, e guarda con speranza al futuro,
abbracciando il risveglio nazionale, l'ottimismo e la fede.
Gloria a te, o Signore, gloria senza limiti,
"Come uno scudo Tu ci proteggi con il Tuo favore" (Salmi 5,12). Riponendo
la nostra speranza in Te, o Signore, il nostro popolo è stato illuminato e
rafforzato. La Tua luce ha acceso l'ingegnosità del nostro spirito. La Tua
forza ci ha spinto verso le nostre vittorie. Abbiamo creato anche se altri
hanno distrutto le nostre creazioni. Abbiamo continuato a vivere anche se altri
ci volevano morti. Tu, o Signore, hai voluto che la nostra gente - condannata a
morte da un piano genocida - sia riuscita a vivere e risorgere, in modo da
poter presentare questa giusta causa davanti alla coscienza dell'umanità e al
diritto delle genti, per liberare il mondo dalla callosa indifferenza di Pilato
e dalla negazione criminale della Turchia.
Per il bene della giustizia - fino al trionfo
della nostra causa, noi continueremo la nostra lotta senza ritirarci - Chiesa,
Nazione e Stato insieme. Il sangue dei nostri martiri innocenti e le sofferenze
del nostro popolo gridano per avere giustizia. I nostri santuari distrutti, la
violazione dei nostri diritti nazionali, la falsificazione e distorsione della
nostra storia, tutti gridano per avere giustizia. Essendo sopravvissuto al
genocidio, il nostro popolo ha creduto e continua a credere che la moltitudine
dei Paesi retti, delle Organizzazioni nazionali e civiche, e degli individui
che hanno riconosciuto e condannato il genocidio armeno saranno presto
affiancati da altri che credono che l'affermazione della verità e della
giustizia siano il prerequisito e il garante di un mondo pacifico, privo di
ostilità e di violenza.
In
ricordo del nostro milione e mezzo di martiri del genocidio, esprimiamo la
nostra gratitudine alle nazioni, alle organizzazioni e agli individui che hanno
avuto il coraggio e la convinzione di riconoscere e condannare il genocidio
armeno. Esprimiamo gratitudine a quei Paesi e popoli gentili che hanno
accettato i figli della nostra nazione come fratelli e sorelle. Questi esempi
di giustizia e di umanità sono pagine luminose nella storia dell'umanità. Essi
saranno sempre ricordati e apprezzati per generazioni, e saranno di beneficio
alla vita tranquilla, sicura e migliore del mondo.
Come Pontefice degli armeni, è di conforto per
lo spirito annunciare alla nostra gente che il 23 aprile 2015, durante la
Divina Liturgia, la nostra Santa Chiesa offrirà un servizio speciale per canonizzare
i suoi figli e figlie che hanno accettato il martirio come santi "per la
fede e per la patria", e proclamerà il 24 aprile come Giornata del ricordo
dei Santi Martiri del Genocidio.
O, popolo armeno, abbellito dall'Alto - una
nazione martire; una nazione risorta - vivi con coraggio, avanza con sicurezza,
con il tuo sguardo rivolto verso il monte verso l'Ararat che contiene l'Arca, e
con il cuore incrollabile mantieni alta la tua speranza. L'incoraggiamento e il
messaggio del Signore sono rivolte a te: "Anche se non sei forte, sei
stato fedele alla mia parola e non hai tradito il mio nome ... Tieni saldo
quello che hai in modo che nessuno porterà via la tua corona della
vittoria" (Apocalisse 3, 8-11). Quindi, cerchiamo di rimanere saldi
davanti a Dio, giusto e vero, sui fermi sentieri della fede che, come la luce
del mattino, disperde le tenebre e rende visibili gli orizzonti della speranza.
La nostra strada è con Dio; e una vita di fede è la nostra vittoria.
Rendiamo
fecondo il centenario valorizzando il percorso di travaglio e di rinascita del
nostro popolo, durato 100 anni, in modo che i nostri figli - riconoscendo la
volontà eroica dei loro nonni e genitori di vivere e creare e i loro sforzi
intrapresi per il bene della nazione e della patria - possano creare un nuovo
giorno luminoso per la nostra patria e per la nostra gente, dispersa in tutto
il mondo. Trasformiamo la memoria dei nostri martiri in energia e forza per la
nostra vita spirituale e nazionale e, davanti a Dio e a tutti gli uomini, illuminiamo
il percorso dal nostro giusto cammino per guidare il nostro passo verso la
realizzazione della giustizia e delle nostre sacre aspirazioni.
Dal nostro amato centro spirituale, creato da
Cristo, e davanti alla Santa Sede Madre del Santo altare di Echmiadzin (della
discesa dell'Unico Unigenito ), preghiamo Dio per la pace, la sicurezza e il
benessere della nostra patria, del nostro amato popolo in tutto il mondo e,
soprattutto, per la luce eterna e la pace per le anime innocenti dei Santi
Martiri del Genocidio. Possano l'amore e la fratellanza, la giustizia e la
verità regnare sopra l'umanità, e possano le vie dei giusti irradiare,
orientare e diffondere la luce fino all'alba di un nuovo giorno, che porti pace
e felicità a tutto il mondo.
La
grazia, l'amore e la pace di Nostro Signore Gesù Cristo sia con voi e con tutti
noi. Amen.
UN PO’ DI STORIA
Secondo
la tradizione, i primi fondatori della Chiesa Armena furono gli apostoli Taddeo
e Bartolomeo. Sin dall’inizio del IV secolo si ha notizia di vescovi armeni e
di persecuzioni e martiri negli anni 150, 250 e 284. A partire dal IV secolo,
la religione cristiana diventa religione di stato. Questo avvenne ad opera del
grande santo Gregorio, detto l’Illuminatore che, dopo aver convertito e
battezzato il re nel 301, costruì la prima chiesa nel luogo dove ora sorge la
città di Etchmiadzin, e con la sua predicazione convertì tutta l’Armenia.
Gregorio Illuminatore fissò la propria sede a
Valaršapat, l’allora capitale del Regno, a sud dell’odierna Erevan, ove fondò,
seconda la tradizione, la prima cattedrale d’Armenia sul luogo indicatogli da
Cristo. Perciò la denominazione di Etchmiazdin che significa “[qui] discese
l’Unigenito”. Benché vi fosse alle origini una pluralità di denominazioni per
indicare il capo della Chiesa armena, presto prevalse quella di catholicos che,
a partire dal V secolo, si diffuse nelle Chiese della periferia orientale
dell’impero bizantino. Seconda a Va?aršapat nell’ordine gerarchico, la sede di
Ašdišat, nel sud, godette nei primi tempi di grandissimo prestigio e autorità,
dovuti probabilmente a presenze cristiane risalenti ad epoche anteriori.
A
partire dal momento della conversione del Regno, il destino dell’Armenia fu
inscindibilmente connesso a quell’opzione storica. Non appena trascorso un
secolo e mezzo, nel 451, la Chiesa Armena affronterà il suo primo battesimo di
sangue comunitario, noto come il “martirio dei Vardanank”, guidata dalla
convinzione saldamente confessata ed espressamente dichiarata: “Chi credeva che
il cristianesimo fosse per noi come un abito, ora saprà che non potrà
togliercelo come il colore della pelle” . Tale convinzione suggellerà per i
secoli successivi l’anima e la cultura del popolo armeno e inciderà nella
maniera più emblematica nel Genocidio dell’inizio del Novecento. Infatti, pur
essendo gli ideatori del progetto di sterminio motivati soprattutto da fattori
di ordine diverso da questo religioso, fu quest’ultimo in ogni caso a prestare,
alla resa dei fatti, il criterio di discriminazione effettiva nella decisione
vita e morte: si salvarono solo quanti accettarono di abiuare la fede
cristiana.
L’anno
del “martirio dei Vartanank”, il 451, risulta decisivo nella storia armena
anche per un altro motivo, poiché proprio in quel medesimo anno si celebrava il
IV Concilio ecumenico delle cristianità, occidentale ed orientale, il quale
sarà in seguito rigettato dagli armeni.
Il martirio comunitario della Chiesa armena,
nel 451, non sarebbe comunque pienamente spiegabile senza tenere conto di un
altro evento della massima importanza nella storia armena: la creazione
dell’alfabeto e della conseguente cultura letteraria all’inizio del V secolo
(404-406) ad opera del santo Vartabed (maestro) Mesrop Maštoc‘ e del santo
catholicos Sahak, con la collaborazione di numerosi discepoli. Sebbene l’idea
di un alfabeto fosse stato ispirato a Mesrop da necessità missionarie, la sua
realizzazione però suggellò definitivamente il singolare, ma pure esemplare,
connubio armeno tra fede e cultura, tra nazionalità e religione.
GLI ARMENI A MILANO
A
Milano, gli armeni hanno cominciato ad avere le loro funzioni religiose
immediatamente dopo la prima guerra mondiale, dapprima nella chiesa anglicana
di via Solferino e poi, a partire dal 1958, in una chiesa propria, che sorge in
via Jommelli 30. Questa chiesa, dedicata ai Quaranta santi Martiri di Sebaste e
costruita secondo i canoni del più classico stile armeno, fu voluta dai due
fratelli Onnik e Sarkis Diarbekirean vissuti a Milano nel 1920 in fuga dal
massacro, trasferitisi poi in Argentina, provvidero a fare costruire la chiesa
della sede milanese.
La comunità armena lombarda consta oggi di
oltre 1000 persone, in maggioranza liberi professionisti, industriali,
rappresentanti, commercianti, artisti ed alcuni artigiani.
“Unità
nelle cose necessarie, libertà in quelle dubbie, carità in tutte”. (S.
Agostino)