“Gli diedero da bere vino mescolato con fiele. Egli lo assaggiò, ma non ne volle bere. (Mt 27,34)
E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la inzuppò di aceto, la fissò su una canna e gli dava da bere. (Mt 27,48)
e gli davano vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese. (Mc 15,23)
Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere». (Mc 15,36)
Ecco i versetti,
Si parla di aceto, e una volta di vino e fiele e di vino e mirra.
L’evangelista Marco è più preciso nel riferire la miscela, composta da vino e mirra.
L’evangelista Matteo, invece, riferisce di vino e fiele. Può darsi che “Matteo”, parlando di fiele, intendesse rimarcare il sapore amaro della mirra. Molto più probabile è che il traduttore in greco da un testo originale semitico abbia confuso il termine aramaico mōrā, “mirra”, con mērorāh, “fiele” (Ricciotti, V ita di Gesù Cristo, nota al par. 605; 1941).
L’antico Trattato giudaico sul Sinedrio (Sanhedrin, 43 a) riporta: “Quando un uomo deve essere giustiziato, gli si permette di prendere un grano di incenso in un calice di vino per perdere la coscienza (…). Le nobildonne di Gerusalemme si incaricano di questo compito” (Messori, Patì sotto Ponzio Pilato?, cap. XXV I, 1992).
Avrà un nome questa bevanda? Certamente era una bevanda per far perdere la coscienza.
Il rifiuto di Gesù è segno che Egli vuole vivere fino in fondo la Passione con coscienza, perché non subisce, ma accoglie la volontà del Padre.
Una curiosità. Scrive la beata Caterina Emmerick, nelle sue rivelazioni sulla Passione:
“I carnefici avevano portato due vasi di color bruno, dei quali uno conteneva aceto e fiele e un altro vino mescolato a fiele. Da quest'ultimo ne presentarono una coppa a Gesù, che bagnò appena le labbra riarse, ma non bevve”.
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