La vita. Biagio, medico armeno vissuto nel IV
secolo, divenne vescovo della città di Sebaste, odierna Sivas, per acclamazione del popolo, ma all’insorgere delle persecuzioni,
fu costretto a fuggire sui monti in una grotta e molte animali selvatici gli si
avvicinavano per chiedere la sua benedizione. Alcuni soldati videro la scena e
fecero rapporto al governatore imperiale. Arrestato, fu imprigionato, e siccome
non voleva abiurare la fede cristiana fu lungamente picchiato e sospeso ad un
legno, dove con pettini di ferro gli fu scorticata la pelle e quindi lacerate
le carni. Dopo un nuovo periodo di prigionia, Biagio fu gettato in un lago, dal
quale uscì salvo, quindi per ordine dello stesso giudice, subì il martirio
decapitato, insieme con due fanciulli, nel 316 d. C.
La sua storia è giunta fino a noi
attraverso il libro de La Leggenda Aurea, scritta da Jacopo da Varagine
intorno al 1260, che ebbe grande diffusione nel Medioevo.
Biagio è invocato contro i mali di
gola, perché durante la sua prigionia, un ragazzo che aveva una lisca di pesce
conficcata nella gola, fu salvato dopo il segno di croce compiuto del santo
vescovo. Alla morte, il corpo di Biagio viene deposto nella sua cattedrale a Sebaste,
ma nel 732, mentre gli arabi
incalzano nella loro guerra di espansione e conquista, le sue spoglie vengono
imbarcate da alcuni armeni alla volta di Roma. Secondo la tradizione,
un’improvvisa tempesta costrinse la nave ad interrompere il viaggio nelle acque
di Maratea presso l'isolotto di Santojanni.
I profughi pensarono che quella
fosse la sede definitiva del santo.
La popolazione di Maratea accolse
con entusiasmo le reliquie di S. Biagio e costruì in cima al colle che sovrasta
la cittadina, che prese poi il nome del S. Martire, una cappella sulle rovine
di un tempio dedicato alla dea Minerva. Nel corso dei secoli la cappellina si è
ampliata raggiungendo le dimensioni dell'attuale basilica fin dal XIII secolo.
Nel XVII il re di Spagna Filippo IV volle costruire all'interno del santuario
la cosiddetta Cappella reale dove
tuttora sono custodite le reliquie in un cofanetto di marmo posto sotto
l'altare sopra il quale campeggia il busto d'argento del patrono Biagio che non
è più l'originale, modellato nel 1706 e rubato nel 1976, ma una copia fedele
che risale al 1979. Il 3 maggio 1941 fu fatta una ricognizione ufficiale
per il riconoscimento di quanto contenuto nell’urna: il torace, una parte del
cranio, un osso di un braccio e un femore.
Nella cappella è conservata anche
una coppa d'argento in stile gotico che raccoglieva la cosiddetta manna,
un liquido acquoso di color biondo, gocciolante dall'urna, ma anche dalle
colonne e dalle pareti della cappella, e talvolta persino dagli altari e dai
muri di tutta la chiesa. Fu papa Pio IV, all’epoca vescovo di Cassano, che nel
1563 riconobbe il liquido come “manna
celeste”. Ma dal 1620, circa, il fenomeno si è attenuato e si è ripetuto
sporadicamente.
In varie altre città sono custoditi
reliquie di S. Biagio: a Carosino
(un pezzo della lingua), a Caramagna Piemonte (un pezzo del cranio), nel
santuario di Cardito (un ossicino del braccio), a Palomonte, a Penne (il cranio?!),
Giulianova (il braccio), a Lanzara (due piccole ossa della mano), a Ruvo (una
reliquia del braccio), a Dubrovnik in Croazia (il cranio?!), a Ostuni (un pezzo
di osso), a San Piero Patti (un molare), a Mercato Vecchio di Montebelluna (un
pezzo di veste).
La più antica testimonianza del
culto di S. Biagio
e del potere a lui attribuito contro i mali di gola la fornisce uno dei più
rinomati medici fiorito verso la metà del sec. VI: Aezio di Amida.
Questi nell'opera medica intitolata Tetrabiblion
riporta non solo le cure mediche propriamente dette, ma anche altri metodi in
uso nella comune pratica terapeutica ed accettati dalla medicina dell’epoca.
Ebbene nel paragrafo dove tratta «Delle
spine ingoiate e conficcatesi nelle tonsille», dopo aver esposto i vari
rimedi di cura, accenna alla potenza di S. Biagio in questi termini: «si tocchi la gola del paziente e si dica:
come Gesù fece uscire Lazzaro dal sepolcro e Giona dal ventre del cetaceo, così
anche tu osso o scheggia; S. Biagio martire e servo di Cristo ti comanda: esci
o discendi».
Da questa notizia, datata verso la
metà del sec. VI, si può intuire che il culto di S. Biagio era praticato da almeno
50 anni. Quindi si può concludere, sempre con le debite precauzioni, che alla
fine del V secolo S. Biagio in Oriente era venerato ed invocato.
Nei secoli successivi (VIII-XI) i
libri liturgici ci parlano di una chiesa (martyrion)
dedicata a S. Biagio a Costantinopoli, situata nel quartiere detto Tà Miltiàdu, presso la chiesa di S.
Filippo apostolo.
L’iconografia. Il santo vescovo e martire è raffigurato come un uomo anziano con barba
bianca e le tipiche insegne episcopali (mitria, pastorale, e a volte un libro);
con la palma dei martiri; con il pettine da cardatore con cui fu torturato; con
due ceri a croce; con il bimbo e la madre o due bambini o solo un bambino, per
ricordare il celebre miracolo; con gli animali selvatici e fantastici, per
ricordare il suo rifugio tra i monti durante le persecuzioni; con il maialino e
il lupo, per ricordare il miracolo della restituzione del piccolo suino nero
alla povera vedova; con un felino con un bocca un pesce e un bimbo che si tocca
la gola, forse perché, dice il proverbio: “A
san Blâs la gjate si leche il nâs” (Il giorno della festa di S. Biagio la
gatta si lecca il naso), un legame tra lisca di pesce, gatto e bimbo salvato;
con il vaso delle medicine; con il corno da caccia per una fortuita connessione
del nome Blasius con il verbo tedesco
«blasen» che significa soffiare, da
qui deriva il patronato, nei paesi germanici e scandinavi, dei suonatori di
strumenti a fiato e per estensione anche dei venti.
La benedizione. Due ceri benedetti nel giorno della Candelora (perché è Cristo che salva
e benedice), sono uniti in croce (segno della salvezza), con un nastro rosso
(segno della Passione di Gesù e del martirio di Biagio), e sono imposti al di
sotto del mento contro la gola di ogni fedele (come segno esplicativo!), dopo
che il sacerdote ha benedetto i fedeli invocando l’intercessione del Santo.
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