Di Redazione
Roma, (ZENIT.org)
Sarebbe in preparazione in Cina, in questi giorni, la
consacrazione di un secondo vescovo con il "consenso parallelo", cioè
con l'approvazione della Santa Sede. Secondo indiscrezioni raccolte
dall'agenzia Reuters,
si tratterebbe di padre Cosmo Ji Chengyi della diocesi
di Zhumadian, nella provincia di Henan, dove, lo scorso 4 agosto, era
stato ordinato mons. Joseph Zhang Yinlin, 44 anni, nuovo vescovo
coadiutore di Anyang.
Alla funzione era presente anche Cosmo Ji Chengyi, e già da
giorni si parla di una sua imminente consacrazione episcopale. Secondo
Anthony Lam, ricercatore senior presso il Holy Spirit Study Centre, un
organo della diocesi di Hong Kong, entrambe queste ordinazioni sono
"un buon segno di una maggiore apertura da parte del governo cinese".
Se nella provincia di Henan si respira quindi un'aria di
distensione, ben diverso è il clima nella diocesi Wenzhou, dove il clero
cattolico, attraverso una Lettera aperta - riportata integralmente
dall'agenzia Asia News
- ha esortato i cristiani e i cittadini cinesi a non rimanere più in
silenzio e dire basta a tutti i soprusi.
In particolare i sacerdoti di Wenzhou, nel documento pubblicato a
fine luglio, lanciano l'allarme per la campagna avviata lo scorso anno dal
governo della provincia del Zhejiang, col titolo “Tre rettifiche e una
demolizione”, che ha subìto nel tempo un netto peggioramento fino a
diventare "un chiaro tentativo di abbattere le croci da ogni singola
chiesa".
Attraverso questa iniziativa, infatti, i funzionari comunisti
"agiscono per vendetta” e abusano dei propri diritti e delle proprie
prerogative. Perciò “vanno portati davanti alla giustizia prima che il pacifico
sviluppo della Cina venga una volta di più messo a rischio”, scrive il clero
cattolico. Rimarca, quindi, che per questa “giusta causa”,
ovvero proteggere il simbolo sacro del cristianesimo, “è pronto a tutto,
anche a morire”.
"In quanto individui con i diritti umani concessi da Dio,
ogni singola persona ha la libertà di credere - si legge nella lettera
-. Per salvaguardare la croce e preservare il nostro basilare diritto alla
libertà di credo, continueremo a vigilare e difenderci l’un l’altro, approntando
una resistenza razionale e ragionevole".
Il desiderio, come cittadini della Cina, è di "una
democrazia più profonda e più inclusiva", e di "uno stato di
diritto". "Come figli e figlie della Cina - scrivono ancora i
sacerdoti - tutti noi aneliamo a una situazione di pace e stabilità a
lungo termine. Non possiamo in alcun modo tornare indietro là dove 'la gente
ordinaria soffre sia in tempo di prosperità che di crisi'; non permetteremo a
nessuno di andare contro lo sviluppo armonioso".
"Abbiamo desiderato per tanto tempo una situazione culturale,
religiosa e sociale che fosse tollerante, nella quale adattare la religione
cristiana alla cultura cinese", è scritto ancora. "Le autorità
della provincia del Zhejiang hanno demolito le croci per vendetta. È questo il
vostro modo di intendere la 'cinesizzazione della religione' annunciata
qualche tempo fa da Xi Jinping?".
Quindi il grido conclusivo, innalzato "per la libertà di
religione, per la dignità della legge, per il continuo sviluppo della Cina, per
il benessere a lungo termine del popolo cinese, tutti i credenti attraverso
tutta la Cina, quelle decine di milioni riempite dal senso di
giustizia". "Basta rimanere in silenzio! Gridiamo!".
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