domenica 9 settembre 2012

XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)





“Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!»” (Mc 7)
Una scena disgustosa è questa. Crea un po’ ribrezzo: eppure nessuno obbietta, non c’è mormorio nella folla. Gesù compie quei gesti quasi da negromante, e il popolo accoglie tacendo.

Quante volte capita di sentire di uomini o donne credenti che vanno a cercare riti simili per essere salvati dal loro male, per avere una speranza o la felicità perduta?

Spesso sono cialtroni che approfittano della nostra buona fede e ci vendo il nulla per qualcosa di vero e santo.

Spesso noi siamo i cialtroni che ci accostiamo a Dio cercando il miracolo, o meglio il miracolismo, pensando solo così di risolvere il nostro desiderio di felicità.



Il sordomuto assomiglia a noi quando siamo nel peccato.
Possiamo avere accanto Dio, che ci sussurra le parole più dolci. Non lo sentiamo.
Possiamo aver vicino le persone più acute e più buone, che desiderano aiutarci. Non prestiamo attenzione.
O passiamo davanti a chi ha bisogno di un conforto, di una speranza. È come se fossimo soli al mondo, chiusi nel nostro piccolo mondo.

Eppure il Dio della Bibbia è si è rivelato “agli smarriti di cuore”.

Egli ha bussato al nostro cuore chiedendoci di aprirlo alla Speranza, alla Vita, e all’Amore.

Ecco il nostro “Effatà!”: spalancare lo sguardo sul volto di Dio, aprire la nostra sordità alla sua novità di vita.

Dice l’Apostolo Giacomo (II lettura): “La vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria, sia immune da favoritismi personali”.

La nostra fede è ancora non immune da questa dinamica. È limitata e non spalancata, è chiusa e non aperta.

Rileggiamo quello scrive l’Apostolo:
“Supponiamo che, in una delle vostre riunioni, entri qualcuno con un anello d’oro al dito, vestito lussuosamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se guardate colui che è vestito lussuosamente e gli dite: «Tu siediti qui, comodamente», e al povero dite: «Tu mettiti là, in piedi», oppure: «Siediti qui ai piedi del mio sgabello», non fate forse discriminazioni e non siete giudici dai giudizi perversi?”

L’Apostolo è duretto nel definire questo: “non siete giudici dai giudizi perversi?”
Cioè egli rimprovera la comunità cristiana di essersi allontanata, di aver deviato dalle norme generalmente riconosciute. Questo vuol dire infatti essere perversi.
E quali sono queste norme?
L’Apostolo ci esorta ad unire la fede alle sue opere, solo così saremo aperti alla Speranza, alla Vita e all’Amore di Dio in Cristo Gesù.
Infatti più aventi nel cap. 2 al versetto 14 dirà l’Apostolo Giacomo: “A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere?”.

Il Signore che «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!», come dice il Vangelo in domenica, doni a ciascuno di noi che si dice cristiano la capacità di portare a compimento in noi e attraverso di noi, nel mondo, l’opera di bene iniziata da Cristo.




Concludo con un pensiero del Cardinale Ratzinger, ora papa Benedetto XVI:
«Abbiamo sempre bisogno del coraggio di denunciare apertamente il male, per promuovere un miglioramento ma forse oggi abbiamo ancora più bisogno del coraggio di fare emergere con chiarezza il bene che c’è in ogni persona e nel mondo».

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