Venerabile Antonio Macchia |
"Il nostro servo di Dio nacque nel 1639 da Filippo Macchia e Giovanna Alcini, genitori ricchi di fede ed anche di beni di fortuna. Antonio venne educato cristianamente e, quantunque agiato, abituato ad una vita di sacrificio.
Nel 1672, all’eta di 33 anni, sposò una certa Maria Lusignoli di Monzone. Da questo matrimonio nacquero sei figli: due morirono bambini; degli altri, uno di nome Filippo si fece sacerdote ed esercitò il suo ministero prima a Polinago come cappellano e poi a Brandola come arciprete. Dopo 14 anni di matrimonio gli venne a mancare la moglie Maria. Il figlio più giovane aveva soltanto 8 anni.
Consigliato saggiamente da persone vicine, Antonio si sposò di nuovo con certa Domenica Perrotti, sorella dell’arciprete di Polinago.
Nel 1694, appena cinquantacinquenne, moriva dopo avere speso la sua breve vita nel santo timore di Dio e nel lavoro. Antonio Macchia prima di morire fece testamento: l’atto autografo è conservato nell'archivio parrocchiale di Gombola. ·
Fu sepolto sotto il pavimento della chiesa. A quei tempi molti, per privilegio particolare, venivano sepolti in chiesa in posto riservato. Il fatto che sia stato sepolto accanto all'altare maggiore ci induce a pensare che anche in vita abbia occupato un posto di notevole prestigio.
Per quasi due secoli il santo riposò nel sarcofago presso l'altare maggiore. L'8 Maggio 1830, dovendosi rifare il pavimento della chiesa, mentre si guastava il vecchio venne trovato il corpo incorrotto di Antonio Macchia. Erano trascorsi 136 anni dalla sua morte. Fu pure rinvenuta intatta la cappa di Confratello del SS. Sacramento che indossava quando fu inumato. L’avvenimento suscitò grande commozione non solo in Gombola, ma anche nelle parrocchie vicine. L'urna con la salma mummificata di Giovanni Antonio Macchia fu poi sistemata in una stanza tra la chiesa e la canonica e divenne subite meta di pellegrinaggi.
Più volte il vescovo e l’ufficiale sanitario fecero pressione presso il parroco, perchè i resti del Macchia fossero trasferiti nel cimitero; ma la gente di Gombola era ormai troppo legata a quel santo che, come si diceva, era stato voluto dal destino ed era tornato alla luce miracolosamente dopo due secoli di oscurità.
L’unico trasferimento si ebbe nel 1959, quando dalla chiesa parrocchiale fu portato nell’oratorio della B.V. del Carmine. Proprio in questa circostanza si attribuì al santo un miracolo".
da: sac. Paride Candeli, Gombola di Polinago – Editrice Teic Modena 1986
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