Il Martire Fortunato venerato a
Casei Gerola il 16 ottobre e la III domenica di ottobre è un martire dei primi
secoli del cristianesimo romano, di cui non si sa nulla. Non è certamente un
martire nella valle di Agaunum, in
quanto sarebbe insensato pensare che la sepoltura sia potuta avvenire a decine
di chilometri di distanza dalla valle svizzera alla catacombe romana della via Appia. È venerato
come soldato, cioè come milite di Cristo, da qui l’idea fantasiosa di farlo un
compagno di San Maurizio e della legione tebea.
Di certo sappiamo che morì
martire a Roma, in un secolo tra la grande persecuzione di Nerone e la pace di
Costantino, per cui sepolto in una catacomba romana. Nelle catacombe romane di
San Callisto, riposò, fino al 1746, quando il cardinale Guadagni, vicario di
Papa Benedetto XIV per la città di Roma, ne ordinò la traslazione e
l’esposizione nella Collegiata romana di Santa Maria in Via Lata. Da Santa
Maria in Via Lata le reliquie di San Fortunato giunsero a Casei nel 1765, come
dono della Santa Sede al Prevosto dell’Insigne Collegiata, ai canonici e alla
comunità casellese, tramite il vescovo di Tortona Mons. Giuseppe Ludovico de
Anduxar. Non deve meravigliare questo gesto, se si considera che la Parrocchia
di Casei, fino al Prevosto don Bianchi agli inizi del 1900, fu di “collazione
papale”, cioè il suo parroco era nominato direttamente da Roma con bolla papale
e per potervi essere designato un sacerdote doveva esibire un titolo accademico
in teologia conseguito presso una facoltà romana, come attesta un documento
dell’archivio parrocchiale, datato 1806. All’epoca della traslazione a Casei di
San Fortunato risale la preziosa urna che custodisce le reliquie e in quell’occasione
le ossa del capo frantumate (indizio del martirio avvenuto a colpi di clava,
come si usava fare presso l’esercito romano in occasione delle decimazioni, o
nelle lotte nel circo o perché mal conservate e mal estratte... non è certo un punto a favore della pia bugia che fosse della legione tebea, che fu sterminata per decimazione!) vennero inserite
nella sagoma in gesso del teschio, poi rivestito con l’elmo.
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