domenica 31 maggio 2020

VIAGGIO VIRTUALE tra i santuari d’Italia: Follina



Concludiamo questo viaggio in Veneto.
Avremmo potuto visitare altri infiniti luoghi mariani, famosi o meno famosi, veri e propri santuari o piccoli luoghi di culto mariano.
Siamo nella marca trevigiana, a Follina, nel santuario abbazia di S. Maria. La prima menzione dell'abbazia si trovava in un documento del 1127, attestante la vendita da parte dell'abate Bernardo di Follina ad un tale Arpone di tre campi. La pergamena è stata trascritta nel XVII secolo e la copia è oggi conservata presso la Biblioteca comunale di Treviso.
Un complesso monastico esisteva dunque ben prima dell'arrivo dei cistercensi, nella metà del XII secolo. Si trattava molto probabilmente di un monastero di benedettini dipendenti da San Fermo di Verona, in cui si venerava un'antica statua della Madonna. Non è chiaro quando e come avvenne il passaggio all'ordine cistercense. Alcune fonti affermano che i benedettini cambiarono regola monastica, ma secondo altre, più verosimili, furono sostituiti da una nuova comunità. Conseguentemente cominciò ad indebolirsi il legame con l'abbazia veronese: significativo è un documento del 1217 in cui papa Onorio III risolse a favore di Follina una lite con San Fermo, in cui la prima rifiutava un pagamento alla seconda, rivendicando la propria indipendenza da più di quarant'anni.
La tradizionale data di fondazione, l'anno 1146, ma non è di fatto supportata da fonti storiche. Gli stessi Annales Camaldulenses affermano che è impossibile determinarne le origini, concludendo che verso la metà del XII secolo l'abbazia benedettina di Follina divenne cistercense. Sembra plausibile che la comunità fosse stata chiamata da Sofia di Colfosco, moglie di Guecellone II da Camino che in effetti nel 1170 stilò un testamento con cui faceva ricche donazioni al monastero.
Di certo Follina fu a lungo legata alle abbazie di Chiaravalle e di Cîteaux, i più importanti centri cistercensi rispettivamente d'Italia e d'Europa.
Qui è venerata la Madonna di Follina, manufatto enigmatico che richiama lo stile bizantino-siriaco. Fu incoronata nel 1921 con rito solenne e in seguito aggiunti i monili preziosi. Non si conosce esattamente la sua datazione (sicuramente ante l'anno mille), ma i documenti attestano che era presente precedentemente l'arrivo dei Cistercensi, e considerata prodigiosa. È in pietra grigia e ritrae la Vergine seduta con il Bambino ritto in piedi sul ginocchio. Con la sinistra la Madre porge al Figlio un calice, verosimilmente, secondo altri una ciotola in cui il Bimbo intinge la manina. Attualmente sistemata nella porzione centrale dell'ancona gotica in legno dorato che sovrasta l'altare maggiore. Durante la Prima Guerra Mondiale, nel giugno 1918, caddero 264 granate su Follina, ma non vi furono né feriti né morti e nessuna sposa restò vedova, dicono gli annali: tutte videro ritornare i loro mariti dal fronte. La devozione popolare ritiene che sia stata la mano protettrice della Madonna di Follina.

Santa Maria, Sancta Dei Genitrix, ora pro nobis

Sarebbe bello chiedersi oggi: qual è il mio luogo mariano del cuore? Qual è l’immagine mariana che più venero fin dall’infanzia? Cosa vuol dire per me venerare la Vergine Maria? Cosa ammiro di Maria che potrei imitare per seguire meglio il Signore?



sabato 30 maggio 2020

VIAGGIO VIRTUALE tra i santuari d’Italia: Vallelonga



Come la Vergine di Valverde è legato ad un culto catalano, così anche la Madonna di Monserrato di Vallelonga, in Calabria.
Vallelonga è un comune di 750 abitanti della provincia di Vibo Valentia. Si trova a 25 km a sud-est del capoluogo sul versante tirrenico delle Serre. Sorta dalle macerie della bizantina Nicefora, appartenne alla nobile famiglia dei Castiglione Morelli.
Il nome “Monserrato” ci porta indubbiamente a Barcellona, antica città della Spagna. sormontata da una montagna sulle cui cime, a forma di denti di sega, (da qui il nome “Monteserrato”), sorge un Santuario, noto in tutto il mondo, dedicato alla Madonna. Come il culto sia arrivata a Vallelonga non è chiaro, ma come pia devozione popolare, affonderebbe le sue radici nel 1400, durante il dominio degli Aragonesi nell’Italia meridionale. La prima notizia è di Mons. Del Tufo il quale, nella sua visita pastorale, avvenuta nell’aprile del 1586, trova nella Chiesa Matrice di Vallelonga un altare dedicato alla Madonna di Monserrato, a cura della famiglia Galati. Nel 1603, sotto Papa Clemente VIII, il Regesto Vaticano conferma l’esistenza di questa Cappellania, i cui frutti ammontavano a 15 ducati. Di questo beneficio usufruiva il chierico Ottavio di Leone; rimosso questi, fu nominato Paolo Erasmo da Spoleto. Teniamo presente che in quel tempo il paese era situato a valle e, quindi, i fedeli nella chiesa matrice praticavano, già allora questa devozione. Contemporaneamente, sull’altipiano, esisteva il convento sorto agli inizi del 1500; in esso si stabilirono, in periodi diversi, prima gli Agostiniani e i Domenicani, poi dal 1671 al 1811 i Francescani Riformati. Al convento era annessa la piccola ma “comoda” chiesa dedicata alla Madonna di Monserrato, con, sull’altare maggiore, una statua di rilievo, detta Signora.
I dati del 1586-1603-1650 sono senz’altro un punto di riferimento storico, da cui possiamo dedurre che il culto della Madonna di Monserrato veniva praticato già prima del 1586. Nella visita pastorale del 15 ottobre 1630, il Vescovo Virgilio Cappone, tra cappellanie, trova quella di S. Maria di Monserrato, patronato dalla famiglia Leone- Galati. Nelle visite pastorali dal secolo XVIII in poi la cappellania non viene più ricordata, perché il titolo dell’altare assume il nome dell’Immacolata Concezione, sempre col patronato delle famiglie Galati-Leone. Nei documenti successivi questa devozione viene definita “antichissima”, da tempo “immemorabile”. Da una lettera, poi, di un frate francescano (anno 1776) veniamo a sapere che la festa della “Miracolosissima Immagine” si celebrava nella seconda domenica di luglio “con mirabile concorso di popoli del Regno” ed anche che “numerose sono le grazie che Essa di continuo elargisce”, culto che è giunto fino ad oggi.
Questo titolo mariano è presente in molti altri luoghi della Calabria, Campania, Sicilia e altri appartenuti al regno borbonico. Ma anche all’isola d’Elba c’è un santuario di Monserrato costruito nel 1606. Il suo fondatore è il primo governatore della piazza spagnola di Longone, don Josè Ponçe de Leon, un devoto alla Vergine di Monserrat, che commissionò anche la copia del quadro. Il suo attaccamento alla chiesa fu talmente vivo, che al termine del servizio al forte redasse un lascito, il 7 maggio 1616, in cui ordinava che la custodia, i possedimenti (tra cui un mulino a Reale) e le rendite dell'oratorio fossero passate agli agostiniani di Piombino, con l'incarico di officiarvi quotidianamente messa.
Una curiosità. In alcuni immagini il Bambino Gesù o gli Angeli o la Vergine sono nell’atto di segare la montagna.

Sancta Maria, Regina Confessorum, ora pro nobis.

Preghiamo per tutti gli operatori parrocchiali.

venerdì 29 maggio 2020

VIAGGIO VIRTUALE tra i santuari d’Italia: Alghero



Tutto è meraviglia in Sardegna: natura, arte, fede e cucina.
Oggi siamo ad Alghero (SS), città sul mare.
Il titolo mariano di Valverde è molto presente nella penisola italiana.
Il santuario di Alghero dista 7 km dalla città.
Nel 1435 è documentata la presenza di un luogo di culto dedicato a Santa Maria de Vallvert, al quale apparteneva il simulacro oggi di proprietà della chiesa ricostruita nel 1635 ed ampliata con 6 cappelle laterali, che prima di allora era intitolata alla Madonna della Freccia.
L'intitolazione alla Madonna di Valverde è molto probabilmente da mettere in relazione con la conquista catalana di Alghero, avvenuta nel 1354, analogamente a quanto accaduto nel 1323 ad Iglesias, dove esiste una chiesa dall'analoga intitolazione.
La statuina della Madonna, in terracotta scura, è alta 33 cm, tiene in braccio il Bambino Gesù, ha il capo sormontato da un'aureola dorata, la mano destra sul petto mentre con la sinistra regge il mondo. La statuina è in genere rivestita da un abito carico di gioielli che le fa assumere una singolare forma triangolare. Il simulacro risale al XV secolo ed è inquadrabile in ambito italiano. Fu rinvenuta, secondo la tradizione, sotto una colonna di granito (oggi nel piazzale antistante il santuario), che si trovava in precedenza davanti alla distrutta chiesetta di Santa Maria del Pilar, costruita nel 1649-50, la cui intitolazione derivava proprio dalla "inventio" della Madonnina. Ciò è attestato da un'epigrafe, poi collocata nel 1808 sopra l'ingresso principale del santuario di Valverde.
Narrano le vicende, che nel 1530, il piccolo simulacro della Madonna Nera, al quale gli algheresi sono devotissimi, venne nascosto sotto "il pilar" posto sul sagrato, quando un'orda di barbareschi e turchi, oltre a saccheggiare la chiesa campestre, portò via quindici prigionieri. La Madonna apparve in sogno al parroco di Alghero, rivelò il nascondiglio, recuperata, fu portata in cattedrale, dove "fuggì" per ritornare al proprio luogo d'origine. Dove rimase.

L'imponente è l’altare in marmo di Carrara del 1750, impreziosito da quattro colonne tortili in marmo nero, con la nicchia superiore che ospita la statua della Madonna della Freccia, mentre la nicchia inferiore è per la Madonnina di Valverde.
Non temerai il terrore della notte né la freccia che vola di giorno (Sal 91,5).
Statua lignea grande detta "Madonna della freccia", conosciuta almeno dal 1637, può essere attribuita a maestranze catalane del XV secolo. Rappresenta la Vergine con il Bambino sul braccio destro, mentre con la mano sinistra stringe una freccia. Un documento del 1695 attesta che, a quella data, la venerazione per questa statua era stata già soppiantata da quella per la Madonnina di terracotta scura detta "del Pilar di Valverde".
A testimonianza dell'affetto e della devozione di tantissimi devoti, sono le centinaia di ex voto.
Nel 1695 vennero utilizzati 66 gioielli del tesoro del santuario, per essere fusi ed ottenere, tre anni dopo, una preziosissima corona d''oro, arricchita da 145 smeraldi, costati 1016 lire; questa purtroppo venne rubata dalla cattedrale di Alghero, nel 1960.

Sancta Maria, Stella matutina, ora pro nobis

Preghiamo per la perseveranza nella preghiera

giovedì 28 maggio 2020

VIAGGIO VIRTUALE tra i santuari d’Italia: Arborio



Oggi un bel risotto!
Siamo ad Arborio, in provincia di Vercelli.
Il santuario della “Madonna delle Grazie” o “Madonna della Cintura” viene comunemente chiamata dagli arboriesi “Madonna del Bosco”. Situata fuori dal paese poco lontano dalla strada che porta a S. Giacomo Vercellese, si chiama in questo modo per via del grande complesso boscoso che in tempi passati era nominata “Selvamora”. L’edificio attuale fu completato nel 1751 come riportano diverse iscrizioni murali. Un affresco ancora leggibile di un “Cristo in Pietà” come viene comunemente denominata questa raffigurazione di Gesù il quale, a volto mesto, occhi chiusi e mani distese incrociate sul davanti esce da un sepolcro, fa supporre che una costruzione ben più antica sorgesse nello stesso luogo poi inglobata nell’attuale santuario. Questo tipo di rappresentazione è stata molto comune dal sec. XV all’inizio del XVI e si trovano molti esempi anche nel vercellese. Si ha notizia anche di un’eremita che nel 1655 dimorò in questo luogo per alcuni mesi. Il culto della cosiddetta “Madonna della cintura” è di origine incerta. Il culto della cintura è legato all’apostolo Tommaso, che lo volle pegno dalla Vergine nella sua assunzione al Cielo. Anche Santa Monica, madre di S. Agostino, chiese alla Vergine un segno di consolazione per il proprio dolore e ricevette una cintura di pelle, indumento ancor ‘oggi indossato nell’ordine agostiniano. Molte le località dove si venera questa particolare rappresentazione della Vergine che si vede nell’atto di porgere appunto una cintura, culto diffuso dall’ordine agostiniano.
Nel 1654 venne fondata ad Arborio una confraternita ad essa dedicata. La sede fu fissata nella allora Chiesa Parrocchiale di S. Martino, demolita al momento della costruzione di quella attuale. L’immagine della Madonna era una pala d’altare, andata perduta. La tela rappresenta i possedimenti degli Arborio-Gattinara, dipinta intorno al 1650, riportava un edificio senza pronao fuori dal paese. Potrebbe trattarsi già del santuario anche se non rappresentato correttamente. A metà XVIII sec. la popolazione decise di riprendere e modificare la chiesetta portandola alla costruzione attuale. Il Santuario è stato sempre meta di molti fedeli, segno sono i numerosi ex-voto esposti lungo le pareti della chiesa e in sacrestia.
Sancta Maria,
Regina sine labe originali concepta, ora pro nobis

Preghiamo per i vedovi e le vedove
Preghiamo per essere consolati nelle afflizioni
Preghiamo per coloro che ci affliggono

mercoledì 27 maggio 2020

I MIEI SANTI PREFERITI


“Dimmi i santi che ami e io ti dirò la santità che speri” 

(Card. José Saraiva Martins)

 

san Marco ev. e martire, 25 aprile

san Damiano medico e martire, 26 settembre

san Giuseppe di Nazareth, 19 marzo

san Giovanni il Battista, 24 giugno

san Davide re, 29 dicembre

san Giuseppe il Giusto (l’egiziano), 4 settembre

san Giobbe, 10 maggio

sant'Antonio da Padova, 13 giugno

san Gaspare del Bufalo, 21 ottobre

san Sostene di Calcedonia, 10 settembre

san Nicola da Tolentino, 10 settembre

san Rocco il Pellegrino, 16 agosto

santa Maria Goretti, 6 luglio

san Bruno, fondatore dell'Ordine Certosino, patrono del comune di Serra S. Bruno, 6 ottobre.

san Carlo Borromeo, 4 novembre

san Claudio de la Colombiere, 15 febbraio

san Francesco d'Assisi, 4 ottobre

san Francesco di Paola, 2 aprile

san Leopoldo Mandic, 12 maggio

san Gaetano Catanoso, 4 aprile

san Giuseppe da Copertino, 18 settembre

sant’Ambrogio, 7 dicembre

santa Barbara vergine e martire, 4 dicembre

santa Bernadette vergine, 16 aprile

santa Camilla Battista da Varano, 31 maggio

santa Lucia vergine e martire, 13 dicembre

santa Marcellina vergine, 17 luglio

santa Margherita Maria Alacocque, 16 ottobre

santa Marina vergine, 18 giugno

santa Teresa del Bambin Gesù, 1 ottobre

sant'Annibale Maria Di Francia, 1 giugno

santi Arcangeli, 29 settembre

santi Martiri della Chiesa Ambrosiana 

(Gervasio, Protasio, Nazario, Celso, Nabore, Felice e Vittore)

san Sebastiano Martire, 20 gennaio

santa Angela Merici, 27 gennaio

san Vito martire, 15 giugno

san Tommaso apostolo, 3 luglio

san Girolamo Emiliani, 9 febbraio

beato Mario Borzaga sac. OMI martire, 30 aprile

Venerabile Maria Antonia Samà vergine, + 27 maggio 1953

serva di Dio Concetta Lombardo vergine e martire, + 22 agosto


Santa Maria, prega per noi!


Santa Maria Regina di Tutti i Santi
«Gli anconetani le attribuiscono, per esempio, l’arresto della pestilenza del XVIII secolo. E più avanti sono testimoni del miracolo del 25 giugno 1796 che si è protratto fino al febbraio dell’anno successivo. Era il periodo in cui le truppe francesi stavano per occupare la città di Ancona e proprio in quelle settimane di guerra cruenta la Madonna Regina di tutti i Santi ha iniziato ad aprire e chiudere gli occhi in più di un’occasione. Napoleone, assistendo al prodigio, rimase impressionato, evitò di saccheggiare la cattedrale e ordinò ai suoi soldati di coprire l’immagine. A seguito di quanto è accaduto la tela è stata incoronata Regina di tutti i Santi da Pio VII che, di ritorno dalla prigionia, nel 1814 venne in pellegrinaggio ad Ancona per ringraziarla per la riavuta libertà».

Monsignor Angelo Spina, arcivescovo di Ancona


VIAGGIO VIRTUALE tra i santuari d’Italia: Castrì di Lecce



Oggi, lasciamo il Veneto e attraverso l’autostrada adriatica raggiungiamo il Salento.
Siamo a Castrì di Lecce
Questa località registra la presenza antropica sin dall'età del ferro e tale convinzione è sorretta dal fatto che il territorio su cui sorge il paese fu sede di una tarda stazione megalitica, testimoniata dalla presenza, in tempi a noi vicini, di tre menhir, di cui oggi resta il monolite denominato della Luce in quanto allogato affianco alla chiesetta della Madonna della Luce che è sita, a destra, sul lato della strada provinciale che da Lizzanello conduce a Calimera. Il monolite, ormai nell'abitato di Castrì di Lecce, fino a qualche decennio fa appariva alla periferia del paese, addossato ad un muretto a secco. La pietra di questo menhir è quella leccese. Presenta in cima un incavo nel quale dovette essere un tempo innestata una croce. Fu, questa, un'usanza del Cristianesimo alto-medievale che così intendeva sacralizzare antiche costruzioni pagane. Siamo così nel contesto di un luogo di culto mariano nato su un luogo pagano. Sui menhir, nulla di sicuro si può dire. Una chiave di lettura è quello che li definisce simboli religiosi o idoli primitivi, presenti anche, e venerati nell'oriente semitico.
La cappella della Madonna della Luce fu edificata da maestranze locali nel 1570. L'interno con copertura a botte, spoglio di qualsiasi elemento decorativo, ospita un modesto altare, realizzato nel 1702, che conserva un affresco della Vergine col Bambino databile al XIII secolo. La statua è invece in cartapesta leccese.
La Vergine sorregge con una mano il Bambino Gesù benedicente e con l’altra una fiaccola. Una chiave di lettura è nel Vangelo di Giovanni: Di nuovo Gesù parlò loro e disse: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». (Gv 8,12).
La Vergine mostra Gesù come la vera luce.

Sancta Maria, Virgo praedicanda, ora pro nobis

Preghiamo perché ogni cristiano sia luce, memore delle parole di Gesù: Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte.

martedì 26 maggio 2020

Maria Angelica Mastroti, prega per noi!





Visse in odore di santità. A sei anni si ammalò di tubercolosi che la costrinse all'immobilità per ben 13 anni. Quando tutti erano in attesa della sua imminente fine, fu miracolata: era il 1870. Non cessarono, però, i suoi patimenti: un calcolo alla vescica le procurò indicibili sofferenze fino al 1873 quando un secondo intervento soprannaturale la liberò dal male; ma il suo desiderio di espiazione la indusse a mortificare il suo corpo facendo uso di cilici, giacigli di spine e sottoponendosi a lunghi digiuni. La sua vita ascetica le procurò frequenti estasi durante le quali colloquiava con la Madonna e il Figlio che la Vergine aveva tra le braccia. Il coinvolgimento spirituale ebbe anche conseguenze fisiche. Infatti una ferita da cui sgorgava spesso sangue si aprì spontaneamente sul costato e non si rimarginò più. 

Nel 1890, per seguire il suo nipote Nicola, avviato al sacerdozio, si trasferì a Castelluccio Superiore (Pz) dove continuarono a verificarsi fatti prodigiosi, tanto che la fama si sparse in tutti i paesi limitrofi. A Castelluccio si spense il 26 Maggio del 1896. La sua tomba è ancora oggi meta di numerosi fedeli.

Non esiste un pronunciamento ufficiale di beatificazione della Serva di Dio, ma la città di Castelluccio venera Maria Angelica come Beata, dedicando a lei nel giorno del 26 maggio una fiera e una Messa in suffragio con visita al cimitero ove si trova la tomba della stessa: a quest’ultimo avvenimento partecipano anche i pellegrini di Papasidero, luogo di nascita della Beata.


In questi ultimi anni l'Associazione Storico Culturale "Amici di Maria Angelica Mastroti" è costituita il 5 dicembre 2009, sta perorando l'apertura della causa di beatificazione.

Decreti: 3 santi, 9 beati e 1 venerabile





VIAGGIO VIRTUALE tra i santuari d’Italia: Curtarolo



Lasciamo il Lazio e ritorniamo in Veneto, nella provincia di Padova.
A poca distanza dal centro di Curtarolo (PD), dove, quasi lambito dalle acque del fiume Brenta, sorge il rinomato Santuario della Beata Vergine Maria di Tessara.
Il primo documento che ci parla di Santa Maria di Non, in cui viene menzionata anche Tessara, indicata come “villa” distinta e indipendente da S. Maria di Non, risale al 1130.
Il fatto è importante perché permette di stabilire come anticamante le due ville – S. Maria di Non e Tessara – fossero distinte e indipendenti e forse divise tra loro dal fiume Brenta, che un tempo formava una grande ansa scorrendo più a est dell’attuale chiesa di Tessara. Il toponimo Tessara deriverebbe da “taxus” (anticamente si chiamava Taxare) e starebbe ad indicare una località boscosa dove si trovavano con abbondanza piante di tasso. Non è possibile conoscere, causa la scarsezza e l’aridità dei documenti dell’epoca, la data esatta d’inizio della costruzione della Chiesa di Tessara, avente per titolare Sant’Egidio, e pare, anticamente, sorta su un monastero benedettino, del sec. XIII, distrutto dal tiranno Ezzelino da Romano.
Nel 1506, su intervento del Cardinale veneziano Pietro Bembo, papa Giulio II diede la chiesa in patronato alle monache Benedettine di Santa Croce della Giudecca a Venezia, che così acquisirono il diritto di eleggere il Rettore. Nella seconda metà del 1500 la chiesa di Sant’Egidio fu abbandonata, forse per incuria o forse perché con poca rendita. La chiesetta, resa ormai addirittura inagibile, necessitava di urgenti e radicali restauri. Così nella sua visita pastorale del 15 marzo 1602 il vescovo di Padova, Marco Cornaro, ordinò perentoriamente per quel Santuario, ormai in sfacelo, diversi lavori, fra cui una nicchia nel lato nord, da coprirsi con un velo di seta, per collocarvi la statua della Madonna che era sull’altare e dispose che al suo posto fosse collocata l’immagine di Sant’Egidio, il vero originario protettore della chiesa. Malgrado queste severe disposizioni i lavori non furono eseguiti celermente, tanto che nella sua visita del 1614 il vescovo Cornaro, constatato che poco era stato fatto e anzi il tetto sopra l’altare era rotto e aperto, ordinò immediatamente l’interdizione della chiesa finché questa non fosse stata rimessa in ordine. I lavori furono allora ripresi e portati a termine con esclusione però dello spostamento della statua della Madonna: ciò per evitare la protesta dei fedeli. Evidentemente il culto della Madonna di Tessara fu inizialmente dovuto alla spontaneità popolare, ma tardò ad essere riconosciuto dalle autorità religiose. Ed è grazie a questo culto mariano che la chiesa di Tessara ritrovò nel secolo XVII un nuovo impulso di fede e di partecipazione da parte di numerosi devoti, tanto che si ritenne conveniente e doveroso procedere ad ulteriori lavori di manutenzione e di abbellimento di quel luogo sacro. Lo stesso Santo vescovo di Padova, Gregorio Barbarigo, il 12 ottobre 1669 raccomandava al Parroco di S. Maria di Non una maggiore cura della chiesa di Sant’Egidio e, nell’affidargli la piena custodia di questo Santuario, gli ordinava l’acquisto della pietra sacra e la messa in opera delle finestre con vetri.
Circa un secolo più avanti, dopo la costruzione del campanile, il rettore Pietro Alberti ordinava, precisamente nel 1784, tre campane. Delle campane originarie ne esiste ora una soltanto, che porta la seguente scritta “Virgo advocata nostra defende a malis omnibus” “O Vergine, avvocata nostra, difendici da ogni male”.

Sancta Maria, Auxilium Christianorum, ora pro nobis

Preghiamo per la Chiesa
Preghiamo per la Comunità Pastorale “Epifania del Signore”

lunedì 25 maggio 2020

"La nostra Fede è questa"




Dai giornali:

Padre Evangelos Yfantidis, reverendissimo vicario generale archimandrita del trono ecumenico di Venezia, uno dei vertici degli Ortodossi in Italia, sprezzanto del pericolo. «Per voi è rischioso, secondo noi no. La nostra Fede è questa e continueremo a usare il cucchiaino...»

Torna la Messa alla presenza dei fedeli alla parrocchia Sant'Arialdo di Baranzate …. e lo scambio dello sguardo di pace.

Fanno ridere (e non solo) le due prese di posizione.

Quella ortodossa che riduce la Fede ad una pratica: La nostra Fede è questa e continueremo a usare il cucchiaino.

Può la fede ridursi alluso di un cucchiaino, e affermarla come con questa veemenza?

Poi c’è la posizione cattolica, che ignora la possibilità liturgica: lo scambio della pace è sempre stato opzionale. Per cui perché ridurlo allo sguardo di pace? Che serve? Non è più importante educare la nostra gente alla vera liturgia e a vivere la pace nella concretezza del quotidiano che ridursi a queste pantomime? Poi ci chiediamo perché sorgono come funghi i tradizionalisti e i nostalgici della messa latina!
Mah!

VIAGGIO VIRTUALE tra i santuari d’Italia: Antrodoco



Oggi in viaggio tra i monti Sibillini, e pian piano passando per Cascia si arriva nel reatino, fino ad Antrodoco (RI).
Il Santuario della Madonna delle Grotte sorge lungo le Gole di Antrodoco. La chiesa fu costruita tra il 1603 e il 1604 nel luogo dove una pastorella di nome Berardina Boccacci, nel 1601, aveva scoperto nei pressi di una piccola grotta, un’immagine sacra che rappresentava la Vergine con Gesù Bambino in braccio. L'allora vescovo di Rieti, Cesare Segni, fece erigere un altare e vi celebrò la prima messa il 29 settembre del 1602. Visto il grande afflusso di fedeli, il popolo antrodocano raccolse la somma necessaria per avviare la fabbrica che fu iniziata il 24 aprile del 1603 e completata dopo appena un anno su progetto dell’architetto toscano Ruggeri Fausto da Montepulciano. La facciata è in pietra; il portale è in stile barocco, sormontato dallo stemma del Vescovo Gaspare Pasquali che portò a termine i lavori di costruzione (1604 – 1612). L’interno si presenta ad una sola navata con copertura a capriate lignee. Nella cripta sono sepolti i resti dei soldati francesi morti a seguito dei moti contadini del 1799 nel Regno Borbonico.
La statua della Madonna delle Grotte è un’opera dello scultore romano A. Fogli, su ordinazione della madre del cardinale Federico Tedeschini, nel 1901 per l'occasione del terzo centenario del ritrovamento dell'icona. La devozione popolare di Antrodoco alla Madonna delle Grotte si organizzò in processione, con molta probabilità nel 1712, per la presenza in loco del beato Antonio Baldinucci e divenne ricorrente anche nei momenti di pericolo per terremoto, epidemie, siccità e invasioni come ricorda lo scrittore antrodocano Amilcare Calice.

Sancta Maria, Refugium peccatorum, ora pro nobis

Preghiamo per i malati e i medici
Preghiamo per i carcerati, la polizia carceraria e i cappellani

domenica 24 maggio 2020

Un bellissimo santino




Oggi ho ricevuto un bellissimo santino di P. Picot de Clorivière, lo raffigura mentre prega davanti al Santissimo Sacramento, luogo in cui spirò il 9 gennaio 1820.
Chi è Padre Pietro Giuseppe Picot de Clorivière?
Troviamo su Wikipedia la biografia, che nella parte finale ho aggiornato.

Pierre-Joseph Picot de Clorivière nacque a Saint-Malo in Bretagna, da una famiglia di commercianti e armatori. Restò presto orfano; studiò dai Benedettini di Douai. Dalla scuola uscì a sedici anni, nel 1752, per imbarcarsi in Marina. Ma poco tempo dopo tornò a casa e si indirizzò agli studi commerciali. Nel 1754 studiava Diritto alla Sorbona. Nel 1755 seguì gli Esercizi Spirituali: comprese di essere chiamato al sacerdozio. Il 23 febbraio 1756, dopo che era stato a messa nella chiesa dei gesuiti, una Signora gli disse: «Il Signore vi chiama sotto la protezione di s. Ignazio e di s. Francesco Saverio. Ecco il noviziato dei Gesuiti. Entrate.» Superata la resistenza della famiglia, entrò al noviziato dei gesuiti di Parigi il 14 agosto 1756 e il 17 agosto dell'anno seguente pronunciava i primi voti. Nel 1762 i gesuiti vennero espulsi dalla Francia; egli studiò teologia a Liegi, dove fu ordinato sacerdotale il 2 ottobre 1763. Trascorse qualche anno in Inghilterra, sotto il nome di Pierre Picot.
Svolse il suo apostolato in Inghilterra e in Belgio. Divenuto prete secolare dopo la soppressione della Compagnia, iniziò a dedicarsi alla direzione spirituale dei religiosi (fu confessore degli Eremitani e di altri religiosi di Parigi) e poi, trasferitosi in Bretagna, si diede all'insegnamento e alla predicazione di missioni popolari.
Il 13 febbraio 1790 il governo rivoluzionario decretò la soppressione degli ordini di voti solenni in Francia: Picot de Clorivière progettò una nuova forma di vita consacrata che potesse rispondere meglio alle esigenze dei tempi, dei sodalizi i cui membri non indossassero abiti o altri segni distintivi e non conducessero vita comune. Fondò, quindi, a Parigi l'associazione dei Preti del Sacro Cuore di Gesù e la Società delle Figlie del Cuore di Maria, che anticiparono i moderni istituti secolari.

Nel 1779 divenne parroco a Paramé, dove promosse le Confraternite e l'adorazione del Santissimo Sacramento; si occupò di opere caritative, aprì scuole per ragazzi, fondò un "Bureau de charité" diretto da Thèrése de Bassablons, futura Figlia del Cuore di Maria e martire. Nel 1786 dirigeva il seminario di Dinan; nel 1787 a Dinan incontrò Maria Adelaide Champion de Cicé. Il 25 marzo 1790 in un quaresimale difese l'eccellenza dello stato religioso, sostenendo che esso deve essere libero da ingerenze statali. Il giorno seguente fu arrestato, ma, riconosciuto innocente, fu presto liberato. Dopo la promulgazione della costituzione civile del clero, si dimise dal seminario di Dinan e riprese il suo progetto di partire per il Maryland. Ma il 19 luglio 1790 ebbe l'ispirazione “come in un batter d'occhio” del progetto di una vita religiosa che potesse esistere “all'insaputa dei popoli e anche loro malgrado”. Una Società «adatta alle circostanze in cui si trovava la Chiesa e tale da permettere di vivere nel mondo, in ogni situazione, una vita religiosa autentica, imitando la vita della Vergine Maria
e dei primi cristiani». Si trasferì a Parigi e invitò Adelaide a seguirlo: da Parigi veniva il male e lì bisognava combattere. Entrambi dovevano cambiare spesso casa per sfuggire alla polizia e, durante il Terrore, vivere in clandestinità. Il 2 febbraio 1791 Pierre-Joseph con altri otto sacerdoti e un laico si consacrano recitando a Montmartre un atto d'offerta da lui composto, che anche Adelaide pronunzia, con una decina di compagne disperse a Parigi e in Bretagna. In questa consacrazione hanno origine la Società del Cuore di Gesù e la Società del Cuore di Maria.
Dopo l'attentato contro Napoleone del 24 dicembre 1800 lasciò Parigi per predicare missioni nei villaggi e ritiri spirituali in giro per la Francia. Nel 1804 rientrò a Parigi, ma, accusato di aver avuto contatti con l'autore dell'attentato, il 5 maggio 1804 fu arrestato e restò in carcere per cinque anni; il suo legame con le due Società erano le lettere che M.me de Carcado, della Società delle Figlie del Cuore di Maria, visitatrice autorizzata dalla polizia, consegnava per lui. Fu liberato nell'aprile del 1809. Nel 1814 il Generale residente in Russia, p. Brzozowskji, gli affidò la ricostituzione in Francia della Compagnia, di cui fu il superiore provinciale. Si dimise nel gennaio del 1818.
Morì nella cappella della casa dei gesuiti, inginocchiato alla balaustra nell'adorazione al Sacramento. 

È stata aperta la causa di canonizzazione, anche se non risulta in archivio su HagiografhyCircle, nessuna data. Certo è il decreto sulla conformità degli scritti alla dottrina cattolica, la cui procedura si è conclusa il 21 dicembre 1938.

VIAGGIO VIRTUALE tra i santuari d’Italia: Camerino



Lasciamo l’Emila e ritorniamo nelle Marche.
Siamo a Camerino, situata su un colle tra le valli del Chienti e del Potenza, chiusa dai Monti Sibillini e dal Monte San Vicino, Camerino è una gemma da scoprire.
Questa città, a 50 km da Macerata, vanta la Bandiera Arancione del Touring Club Italiano. Il sisma avvenuto nel 2016 ha piegato le sue ali, ma oggi questo luogo riparte dalle origini e dalla storia per rinascere più forte.
L’antico centro del ducato dei Da Varano è conosciuto per essere un avamposto d’arte e non solo, qui le tradizioni culinarie son ben preservate.
Di nobile famiglia e di questa città è figlia, Santa Camilla Battista del Monastero di Santa Chiara, purtroppo reso inagibile dal terremoto, accolto in una struttura di legno e antismica.
A pochi metri dal centro storico di Camerino, si può ammirare il convento di Renacavata. Nel complesso architettonico del Convento si distinguono quattro parti che vanno dal Cinquecento fino al Novecento completamente ristrutturati (1968-72). La Chiesa preesistente all’arrivo dei Cappuccini conserva sull’altare maggiore la terracotta policroma recentemente attribuita a Santi Buglioni (1494-1575), raffigurante la Vergine col Bambino con accanto S. Francesco che indossa l’abito dei Cappuccini.
Il convento di Renacavata di Camerino è strettamente legato agli inizi dell’ordine cappuccino, da qui si estese ben presto in tutta Italia e successivamente in tutto il mondo.
All’inizio erano in due, due frati desiderosi di condurre una vita eremitica secondo la regola di Francesco, e Papa Clemente VII glielo concesse. Altri si unirono e a Renacalcata improntarono il loro rifugio su una struttura immersa nel verde delle colline marchigiane, donata loro dalla duchessa di Camerino nel 1529.
Ottenendo la bolla “Religionis Zelus” (3 luglio 1528) di fatto davano vita ad un nuovo ordine francescano, accanto a quelli già esistenti dei “Frati Minori” e dei “Frati Minori Conventuali”.
Tra i primissimi nomi dell´ordine troviamo quello di “frati minori della vita eremitica”, dove per “eremitica” si intendeva un modo di vivere la Regola del poverello di Assisi alla luce del suo Testamento, in luoghi semplici e ritirati, ma non inaccessibili, vivendo in grande povertà, predicando la buona novella e assistendo i bisognosi.
Il nome “cappuccini” nascerà pochi anni dopo l´approvazione della bolla: i bambini di Camerino, luogo di nascita dell´ordine, così appellavano i primi frati per la foggia del loro cappuccio tipicamente a punta, come era stato quello di Francesco. Questo gioviale modo di chiamare i frati passò subito ad indicare l´intera congregazione, che divenne dei “Frati Minori Cappuccini”.
In questo convento di Renacavata a sede il noviziato dei Cappuccini, luogo per la formazione dei giovani che si vogliano consacrare al Signore, vivendo le virtù evangeliche, secondo l’empio di San Francesco, per essere segno in attesa del Regno di Dio.
L’immagine che ci accompagna in questa giornata è una Vergine dei Cappuccini, che devoti sono affidati a Lei, una Madre della Misericordia che sotto il suo manto protegge i suoi figli.

Sancta Maria, Mater boni consilii, ora pro nobis

Preghiamo per essere sempre illuminati dalla Spirito Santo nelle nostre scelte
Preghiamo per le vocazioni alla vita religiosa
Preghiamo per tutti coloro che sono in discernimento vocazionale

sabato 23 maggio 2020

VIAGGIO VIRTUALE tra i santuari d’Italia: Bettola



Oggi, passiamo il grande fiume Po, e da Ossuccio (CO) a Bettola (PC) ci sono 188 km di tragitto.
Bettola, un piccolo comune di 2690 abitanti. Il torrente Nure divide il paese in due rioni, San Giovanni (sulla sponda sinistra del Nure) e San Bernardino (sulla sponda destra), un tempo comuni autonomi collegati tra loro con un ponte nel 1878, in seguito alla loro unificazione in un unico comune.
Nella centrale piazza Colombo, c’è il Santuario, costruito alla fine dell'ottocento e consacrato dal Beato Giovanni Battista Scalabrini nel 1885, vescovo di Piacenza, a celebrazione di un'apparizione mariana avvenuta nel 1496 ad una pastorella sul Colle dei Frati.
Nella considerazione di questo evento, che attirò attorno al luogo dell'Apparizione interesse e devozione, Bettola fu definita da alcuni storici la "figlia della Madonna".
«Una giovane pastorella se ne stava pascolando il gregge su di un'altura poco lontana dall'abitato e vicino al torrente; mentre le pecorelle se ne stavano brucando fra i cespugli, essa si stava riposando sotto una quercia, quando tutto ad un tratto, fra i rami dell'albero si partiva uno splendore di luce intensa. La giovane alzava lo sguardo e vedeva, in celeste visione, una maestosa Donna, vestita di sole e con in braccio un bambino. All'estasiata giovinetta la Madonna indirizzava un messaggio:
"Sono la Madonna, dì ai maggiorenti del paese che io voglio sia eretta qui una chiesa sotto il titolo di Maria della Quercia ad onore e gloria del mio Gesù».
L'edificio, progettato da Guglielmo Della Cella in puro stile romanico-lombardo con la facciata in sassi bianchi e neri, fu realizzato con la partecipazione plebiscitaria di tutto il popolo, sia per i lavori manuali, sia per la raccolta delle offerte necessarie all'acquisto dei materiali. Un atto notarile conferma che l'area su cui sorge la parrocchiale di San Giovanni fu donata dalla famiglia Bianchi nel 1870, la quale mantenne in perpetuo il diritto di una grata comunicante con il lato sinistro del santuario.
La chiesa venne tutta costruita con i sassi del Nure trasportati a mano dai parrocchiani. Come raccontano le cronache del tempo, il signor Perani Giovanni, guardiano delle carceri, suonava la sveglia alle quattro del mattino per risuonarla alle cinque, l'orario d'inizio dei lavori gratuiti. Uomini e donne facevano il “passamani” ammucchiando le pietre davanti all'erigenda chiesa. Alle 11 un nuovo suono di tromba del sig. Giovanni per segnalare alle donne l'ora di ritornarsene in casa per preparare il pranzo ai mariti affamati, che lasciavano il lavoro alle 12 precise.
All’interno il santuario custodisce notevoli affreschi e vetrate realizzate nel secolo scorso dal pittore Luciano Ricchetti e sculture di Paolo Perotti (1970) e Giorgio Groppi (1987).
Di valore artistico anche la bella cancellata del famedio in ferro battuto, lavorato con bravura nelle fucine Leonardi di Grazzano Visconti.
Accanto al Santuario svetta, snello ed elegante con la sua agilità zebrata di 54 metri, il campanile.
Sulla guglia piramidale un austero angelo custode alza col braccio destro il faro della fratellanza, dedicato ai caduti in guerra e del lavoro della Val Nure.

Sancta Maria, Mater Christi, ora pro nobis

Preghiamo per i ragazzi e i giovani
Preghiamo per tutti coloro che lavorano nella pastorizia e nell’allevamento
Preghiamo perché impariamo a riconoscere i segni di Dio

venerdì 22 maggio 2020

VIAGGIO VIRTUALE tra i santuari d’Italia: Ossuccio



Dopo questo vagare dalla Marche a tutta la penisola per rintracciare la presenza del titolo mariano del Bell’Amore, ritorniamo in Lombardia.
Siamo al Sacro Monte della Beata Vergine del Soccorso è situato a Ossuccio, in comune di Tremezzina, fa parte del gruppo dei nove Sacri Monti del Piemonte e della Lombardia inseriti nel 2003 dall'UNESCO nella lista dei Patrimoni dell'umanità.
Questo complesso è sulla riva occidentale del lago di Como, a 25 km dalla città omonima, nel territorio comunale di Ossuccio. Giace su un dirupo a 419 metri sul livello del mare, di fronte all'isola Comacina. È completamente isolato da ogni altra costruzione, circondato da campi, da piantagioni di ulivi e da boschi.
Fin dalla romanità è attestato questo luogo come centro cultuale dedicato a Cerere che attirava grande afflusso di popolo soprattutto alle idi di settembre, come riportato da Plinio il Giovane, console nell'anno 100 d. C. e amico dell'imperatore Traiano che sul Lario possedeva due ville. Recenti scavi sotto il santuario hanno evidenziato tracce di impianto polivolumetrico tipico dei santuari pagani romani.
Le quattordici cappelle, tutte costruite tra il 1635 e il 1710, a pianta centrale, sono in stile barocco impreziosite da 230 statue in stucco e terracotta, a grandezza naturale, realizzate da diversi artisti: Agostino Silva, Carlo Gaffuri e Innocenzo Torriani. I costumi delle statue riproducono fedelmente l'abbigliamento signorile e popolare degli abitanti della zona in quel tempo.
Le cappelle rappresentano i Misteri del Rosario e conducono al santuario che rappresenta la quindicesima tappa ed è dedicato all'Assunzione della Madre di Dio.
La chiesa è stata costruita su terreno impervio, su rocce di aspra e selvaggia bellezza, dove già sorgeva un precedente edificio di culto: il suo corpo principale fu completato nel 1537. L'abside e i due bracci della chiesa sono opere più tarde. L'alto campanile fu completato nel 1719, dopo 25 anni di lavoro: è opera dell'architetto ticinese Giovanni Battista Bianchi.
L'aula è a navata unica, formata da quattro campate; vi si accede attraverso un porticato posto sulla facciata. All'interno la navata è decorata da lesene con capitelli a stucco, da statue e da marmi di gusto barocco.
Sulla parete sinistra, a metà navata, è posto un marmoreo altare laterale, sopra il quale, tra due nere colonne tortili, è messa in evidenza una icona cara alla devozione popolare: si tratta di un affresco di autore ignoto, datato 1501, raffigurante la Madonna col Bambino e Sant'Eufemia.
Al fondo della navata, il braccio sulla destra porta alla Sacrestia (costruita nel 1710); quello sulla sinistra conduce alla Cappella della Madonna costruita nel 1878 e riccamente decorata: essa custodisce la veneratissima statua della Beata Vergine del Soccorso.
Si tratta di un'opera risalente verosimilmente all'inizio del XIV secolo proveniente forse da un preesistente edificio di culto.

Sancta Maria, Virgo potens, ora pro nobis

Preghiamo, Signore aumenta la mia fede
Preghiamo, Signore, credo, solo tu hai parole di vita eterna
Preghiamo per coloro che sono sfiduciati

giovedì 21 maggio 2020

VIAGGIO VIRTUALE tra i santuari d’Italia: Mercatello sul Metauro



Oggi lasciamo la Lombardia e ci rechiamo nelle Marche, in quel lembo di terra marchigiano che ci conduce verso l’Umbria, qui sorge la cittadina di Mercatello sul Metauro (PU).
Una città che vanta di aver dato i natali a due sante: Veronica Giuliani, clarissa cappuccina, “ricca di carismi spirituali, corrispose nel corpo e nell’anima alla passione di Cristo”; e Margherita da Metola, terziaria domenicana, “che, sebbene cieca e storpia fin dalla nascita e abbandonata dai suoi genitori, confidò sempre in cuore suo nel nome di Gesù".

Qui è anche morta la Serva di Dio Maria Francesca Ticchi, tra le clarisse cappuccine di S. Veronica.
La Chiesa di Santa Maria del Metauro è un edifico di piccole dimensioni, composto da un'unica navata rettangolare. Fu eretto nel sec. XV per custodire una piccola cappella decorata da un'immagine della Madonna col Bambino del Trecento, molto venerata perché' ritenuta miracolosa. L'edificio venne consacrato nel 1641 da Onorato degli Honorati, vescovo di Urbania. A tale periodo risale un generale riassetto della chiesa e degli altari. Ulteriori modifiche e abbellimenti vennero realizzati pochi anni dopo (1647), quando vi si inserì la Congregazione dell'Oratorio di San Filippo Neri.
La chiesa, come testimoniato dalla piccola lapide posta sopra il portale d'ingresso in arenaria, è stata restaurata nel 1880 dietro l'intervento del canonico Pasquale Sebastiani. Sulla destra, addossato all'edificio, vi è ciò che resta dell'antico convento. Questa struttura è attualmente occupata dalla sacrestia e sormontata dal seicentesco campanile a vela a due celle. L'altar maggiore è occupato da un "ornato ligneo intagliato", probabile opera di Giampietro Zuccari del 1641, dipinto e dorato da Tommaso Vannucci da Fossombrone nel 1660. Questo racchiude l'affresco raffigurante la Madonna col Bambino.
L'altare di destra custodisce la statua riccamente vestita della Madonna del Bell’Amore, che reca sul capo una preziosa corona d'argento.
In Siracide 24,24 leggiamo: «Io sono la madre del bell'amore e del timore, della conoscenza e della santa speranza», dal secolo X questo versetto ha ispirato un meraviglioso titolo mariano, che richiama all’amore primo, quello per Gesù.
Il titolo mariano è presente in altre località italiane.
1) l'immagine miracolosa della Madonna del Bell'Amore, si venera nella Chiesa delle suore Minime Scalze di S. Francesco di Paola in Roma, tela che il Venerabile Padre Bernardo Maria Clausi, dei Minimi, regalò nel 1839 alla comunità, quando risiedeva a Roma.
2) il Santuario e l’immagine della Madonna del Piastraio o del Bell’amore a Stazzema, in Versiglia.
3) nella borgata di Santa Maria di Gesù a Palermo, nell’incrocio tra le vie Belmonte Chiavelli e Falsomiele, sorge la Chiesa di Maria del Bell’Amore;
4) il santuario e l’immagine di Nostra Signora del Bell'amore che si venera a S. Fruttuoso – Genova
5) l’immagine della Madonna del Bell’Amore di S. Leonardo di Porto Maurizio, che portava con sé nelle missioni al popolo, opera di Sebastiano Conca del XVI secolo, ora custodita nella Chiesa di S. Bonaventura al Palatino in Roma.

Sancta Maria, Mater purissima, ora pro nobis

PREGHIERA ALLA MADRE DEL BELL'AMORE
DI SAN GIOVANNI PAOLO II

Salve o Madre, Regina del mondo, Tu sei la Madre del bell'Amore, Tu sei la Madre di Gesù, fonte di grazia, il profumo di ogni virtù, lo specchio di ogni purezza.
Tu sei gioia nel pianto, vittoria nella battaglia, speranza nella morte. Quale dolce sapore il tuo nome nella nostra bocca, quale soave armonia nelle nostre orecchie, quale ebbrezza nel nostro cuore!
Tu sei felicità dei sofferenti, la corona dei martiri, la bellezza delle vergini. Ti supplichiamo guidaci dopo questo esilio al possesso del tuo Figlio Gesù. Amen