martedì 26 maggio 2020

Maria Angelica Mastroti, prega per noi!





Visse in odore di santità. A sei anni si ammalò di tubercolosi che la costrinse all'immobilità per ben 13 anni. Quando tutti erano in attesa della sua imminente fine, fu miracolata: era il 1870. Non cessarono, però, i suoi patimenti: un calcolo alla vescica le procurò indicibili sofferenze fino al 1873 quando un secondo intervento soprannaturale la liberò dal male; ma il suo desiderio di espiazione la indusse a mortificare il suo corpo facendo uso di cilici, giacigli di spine e sottoponendosi a lunghi digiuni. La sua vita ascetica le procurò frequenti estasi durante le quali colloquiava con la Madonna e il Figlio che la Vergine aveva tra le braccia. Il coinvolgimento spirituale ebbe anche conseguenze fisiche. Infatti una ferita da cui sgorgava spesso sangue si aprì spontaneamente sul costato e non si rimarginò più. 

Nel 1890, per seguire il suo nipote Nicola, avviato al sacerdozio, si trasferì a Castelluccio Superiore (Pz) dove continuarono a verificarsi fatti prodigiosi, tanto che la fama si sparse in tutti i paesi limitrofi. A Castelluccio si spense il 26 Maggio del 1896. La sua tomba è ancora oggi meta di numerosi fedeli.

Non esiste un pronunciamento ufficiale di beatificazione della Serva di Dio, ma la città di Castelluccio venera Maria Angelica come Beata, dedicando a lei nel giorno del 26 maggio una fiera e una Messa in suffragio con visita al cimitero ove si trova la tomba della stessa: a quest’ultimo avvenimento partecipano anche i pellegrini di Papasidero, luogo di nascita della Beata.


In questi ultimi anni l'Associazione Storico Culturale "Amici di Maria Angelica Mastroti" è costituita il 5 dicembre 2009, sta perorando l'apertura della causa di beatificazione.

Decreti: 3 santi, 9 beati e 1 venerabile





VIAGGIO VIRTUALE tra i santuari d’Italia: Curtarolo



Lasciamo il Lazio e ritorniamo in Veneto, nella provincia di Padova.
A poca distanza dal centro di Curtarolo (PD), dove, quasi lambito dalle acque del fiume Brenta, sorge il rinomato Santuario della Beata Vergine Maria di Tessara.
Il primo documento che ci parla di Santa Maria di Non, in cui viene menzionata anche Tessara, indicata come “villa” distinta e indipendente da S. Maria di Non, risale al 1130.
Il fatto è importante perché permette di stabilire come anticamante le due ville – S. Maria di Non e Tessara – fossero distinte e indipendenti e forse divise tra loro dal fiume Brenta, che un tempo formava una grande ansa scorrendo più a est dell’attuale chiesa di Tessara. Il toponimo Tessara deriverebbe da “taxus” (anticamente si chiamava Taxare) e starebbe ad indicare una località boscosa dove si trovavano con abbondanza piante di tasso. Non è possibile conoscere, causa la scarsezza e l’aridità dei documenti dell’epoca, la data esatta d’inizio della costruzione della Chiesa di Tessara, avente per titolare Sant’Egidio, e pare, anticamente, sorta su un monastero benedettino, del sec. XIII, distrutto dal tiranno Ezzelino da Romano.
Nel 1506, su intervento del Cardinale veneziano Pietro Bembo, papa Giulio II diede la chiesa in patronato alle monache Benedettine di Santa Croce della Giudecca a Venezia, che così acquisirono il diritto di eleggere il Rettore. Nella seconda metà del 1500 la chiesa di Sant’Egidio fu abbandonata, forse per incuria o forse perché con poca rendita. La chiesetta, resa ormai addirittura inagibile, necessitava di urgenti e radicali restauri. Così nella sua visita pastorale del 15 marzo 1602 il vescovo di Padova, Marco Cornaro, ordinò perentoriamente per quel Santuario, ormai in sfacelo, diversi lavori, fra cui una nicchia nel lato nord, da coprirsi con un velo di seta, per collocarvi la statua della Madonna che era sull’altare e dispose che al suo posto fosse collocata l’immagine di Sant’Egidio, il vero originario protettore della chiesa. Malgrado queste severe disposizioni i lavori non furono eseguiti celermente, tanto che nella sua visita del 1614 il vescovo Cornaro, constatato che poco era stato fatto e anzi il tetto sopra l’altare era rotto e aperto, ordinò immediatamente l’interdizione della chiesa finché questa non fosse stata rimessa in ordine. I lavori furono allora ripresi e portati a termine con esclusione però dello spostamento della statua della Madonna: ciò per evitare la protesta dei fedeli. Evidentemente il culto della Madonna di Tessara fu inizialmente dovuto alla spontaneità popolare, ma tardò ad essere riconosciuto dalle autorità religiose. Ed è grazie a questo culto mariano che la chiesa di Tessara ritrovò nel secolo XVII un nuovo impulso di fede e di partecipazione da parte di numerosi devoti, tanto che si ritenne conveniente e doveroso procedere ad ulteriori lavori di manutenzione e di abbellimento di quel luogo sacro. Lo stesso Santo vescovo di Padova, Gregorio Barbarigo, il 12 ottobre 1669 raccomandava al Parroco di S. Maria di Non una maggiore cura della chiesa di Sant’Egidio e, nell’affidargli la piena custodia di questo Santuario, gli ordinava l’acquisto della pietra sacra e la messa in opera delle finestre con vetri.
Circa un secolo più avanti, dopo la costruzione del campanile, il rettore Pietro Alberti ordinava, precisamente nel 1784, tre campane. Delle campane originarie ne esiste ora una soltanto, che porta la seguente scritta “Virgo advocata nostra defende a malis omnibus” “O Vergine, avvocata nostra, difendici da ogni male”.

Sancta Maria, Auxilium Christianorum, ora pro nobis

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Preghiamo per la Comunità Pastorale “Epifania del Signore”