È bello leggere la premessa di
questa biografia di un martire delle catacombe: “Recentemente una ricerca, condotta da uno storico locale, Francesco
Stefani, con metodi scientifici senza indulgere a sentimentalismi e
campanilismi, ne ha ricostruito la figura come riportato di seguito tenendo
conto per i passaggi dubbi dell’ipotesi più accreditata, facendo naturalmente
salvi futuri auspicabili miglioramenti e integrazioni”.
Bello per due motivi. La scheda
biografica è firmata dallo storico locale che parla di se in terza persona. Bello
perché parla di criteri scientifici e senza sentimentalismi, ma poi la scheda è
certamente non scientifica e con molto sentimentalismo di gusto ottocentesco.
Si perché, Santa Calepodia, di cui
non si sa nulla essendo un corpo santo o
martire delle catacombe, non può essere descritta in questa modo. Quale fonte
riporta una biografia del genere? Certamente un panegirico tra il 1600 e il 1800.
Ecco il testo.
Santa
Calepodia era una giovane romana di famiglia aristocratica, colta e di sicuro
avvenire. (sic! Scientifica nota!) Nonostante i privilegi del suo stato sociale
abbracciò molto giovane la dottrina egualitaria del Cristianesimo repressa
duramente dall’autorità imperiale.
Illuminata dallo Spirito Santo che la fornì
dei doni apostolici della sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza,
pietà e timore di Dio, ella dedicò la sua breve vita a predicare il Vangelo ai
fedeli e a diffondere la Buona Novella tra i pagani.
Per questi motivi fu arrestata e condotta
davanti ai giudici. Rifiutò di abiurare e sostenne con forza la propria fede di
fronte ai carnefici. Fu martoriata e messa a morte.
La sua salma fu posta nel cimitero di
Priscilla sulla via Salaria, una delle più antiche e vaste catacombe della
città eterna.
La sua tomba divenne luogo di venerazione al
cospetto della quale i fedeli della comunità pregavano e celebravano la
liturgia eucaristica.
Tuttavia, a differenza di tanti martiri noti,
il culto della santa non superò i ristretti limiti locali in cui si era
formato, non raggiunse le altre comunità dell’impero.
Per Calepodia non furono costruiti santuari e
neanche annotato l’anniversario nel calendario ufficiale. La sua memoria, al
pari di tanti altri martiri oscuri, cadde lentamente nell’oblio in parallelo
con l’abbandono delle antiche catacombe.
Uno storico serio sa che non è vero
questa cosa! I martiri antichi venerati non furono abbandonati nelle catacombe,
ma traslati nella città di Roma. Una delle traslazioni più straordinarie fu
quella operata per la Basilica di Santa Prassede.
Difatti, scrive lo stesso nostro
storico, il suo sepolcro fu indentificato nell’epoca della riscoperta delle
catacombe con i soliti criteri “sentimentali”
dell’epoca: molti sepolcri ancora intatti erano di martiri, nasce la questione
dei corpi santi o martiri delle catacombe.
Ecco le sue parole:
“Il
suo sepolcro è stato riscoperto soltanto molti secoli dopo, alla fine del ‘500,
quando gli operai pontifici resero nuovamente visitabile l’antica catacomba di
Priscilla che era crollata in gran parte.
Sono stati allora ritrovati i resti mortali di
santa Calepodia identificati dalla lapide funeraria che conteneva, accanto al
nome, i simboli cristiani, gli appellativi di vergine e martire e l’epitaffio
che indicava la sua attività missionaria.
Prelevate dagli scavatori, queste sacre
spoglie sono state concesse ai frati camaldolesi che le trasferirono nel loro
convento di Rua delle Bregonze sulle colline vicentine.
Reliquie minori della santa sono state donate
ad altre chiese, compresa la chiesetta del nuovo paese di Canale, a nord di
Roma”.
Santa Calepodia, chi?
Santa Calepodia
martire, traslata dalla catacomba di Priscilla nella provincia di Vicenza, e anche
venerata (se la reliquia fu prelevata da Rua delle Bregonte (VI)!) come co-patrona
di Canale Monterano (Roma).
Nulla di più e nulla di meno!
Ringrazio per la segnalazione della mia ricerca. La narrazione agiografica riprende naturalmente la tradizione seicentesca, l'epoca in cui il culto di s. Calepodia è stato introdotto nel paese di Canale Monterano, e si basa principalmente sull'osservazione della graziosa immagine lignea conservata nella chiesa parrocchiale e su altri elementi significativi descritti nel volume. Volume in fase di ristampa in terza edizione integrata. Tuttavia si può visionare il video Youtube che lo descrive al link: https://www.youtube.com/watch?v=NItR5JCtdeo, oppure digitando "calepodia", mostra video, su Google o su Youtube. Cordialità FS
RispondiEliminaHo pubblicato il suo commento, ma è tutto da dimostrare che le reliquie dell'Eremo Camaldolese di Rua nelle Bregonze, di Ravenna, della Sabina e di Canale corrispondono alla stesso corpo, purtroppo l'omonimia non è identità. Se ci fosse un documento certo, allora l'affermazione è inopinabile, se non c'è, è più probabile non siano frammenti dello stesso corpo.
RispondiEliminaAlcuni osservazioni:
RispondiElimina1) è tutto da dimostrare che le reliquie dell'Eremo Camaldolese di Rua nelle Bregonze, di Ravenna, della Sabina e di Canale corrispondono allo stesso corpo, purtroppo l'omonimia non è identità. Se ci fosse un documento certo, allora l'affermazione è inopinabile, se non c'è, è più probabile non siano frammenti dello stesso corpo
2) La questione della festa mobile legata alla Pentecoste, conferma la non conoscenza del dies natalis, ok, però è eccessivo ed errato affermare che questo è un indizio importante: è solo una scelta arbitrale dei nostri padri, non che Calepodia fosse una evangelizzatrice.
3) l'urna di Vicenza poi non afferma che è una vergine e martire, ma solo martire (CALEPODIAE M.), così come il catalogo del 1769. In cui poi noi diciamo essere di una martire delle catacombe di Priscilla, perché dalle catacombe venivano estratti solo i martiri, quindi è una supposizione, non è un’affermazione del catalogo, diversamente dal cartiglio sull'urna.
4) la statua di Canale è molto graziosa, bella la meditazione artistica, un bel panegirico per la festa, però non può essere messa come quarto punto della questione agiografica, ma a conclusione della ricerca sulla Martire.
5) la questione agiografica seicentesca non è da usare come punto di partenza e di supporto per una agiografia contemporanea, è forviante.
6) Calepodia colta, giovane romana, di alto rango? Chi lo dice, la statua? Perché lo scultore sapeva più di quando noi sappiamo? No, anzi. La statua, se pur graziosa, devota, non può farci dire che la Martire fosse giovane, colta e agiata. È come dire che il buon Pastore tipico dell'iconografia catacombale possa dirci qualcosa di Gesù, ma è solo un richiamo simbolico, non un ritratto. Chissà che volto aveva Calepodia, chissà che età, chissà se poi il nome è veramente suo, oppure solo imposto dopo il ritrovamento delle ossa nella catacomba di Priscilla.
7) la fantasiosa lapide poi è eccessiva, la possa solo capire in un fervore di devozione e di ricerca, ma non come elemento da includere in una ricerca, può essere destabilizzante.