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mercoledì 29 aprile 2015
martedì 28 aprile 2015
lunedì 27 aprile 2015
domenica 26 aprile 2015
IV DOMENICA DI PASQUA (ANNO B)
veniamo interrogati … per mezzo di chi egli sia
stato salvato
Gli Apostoli, muovendo i primi passi nella storia, nella nuova
era, quella detta “dopo Cristo”, hanno un solo messaggio:
Gesù Cristo il Nazareno, che voi
avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, … c’è salvezza.
Non
solo in Gesù abbiamo un nuovo modo di
affrontare la vita, e siamo salvati, cioè siamo destinati alla vita eterna, ma in
Gesù possiamo riconoscere Dio come Padre e vivere del suo amore, da fratelli.
Ecco la grande novità
della fede cristiana, ecco il
messaggio del nuovo tempo che ha inizio con la nascita, poi la passione, la
morte e la risurrezione di Gesù.
C’è in noi questa consapevolezza che la nostra vita,
il tempo, la storia è dentro questo progetto di Dio?
La vocazione, cioè la chiamata di Dio alla vita ora e per l’eternità,
è partecipazione a questo progetto.
Quando pensiamo alla
vocazione cosa pensiamo?
Ognuno di noi è “chiamato”
da Dio a partecipare al suo
progetto di salvezza: riconoscere Dio come Padre, ogni uomo come fratello, e
costruire il Regno dei Cieli, per poi viverlo per l’eternità.
Ognuno di noi può avere
l’atteggiamento del pastore o del mercenario.
Il pastore è colui che dona la vita, è colui che conosce, cioè
vive l’intimità con le pecore, cioè l’odore delle pecore, cioè è dentro la loro
vita, e invischiato nella loro vita, da averne l’odore – avete mai conosciuto
un pastore vero, di quelli all’antica, come “profuma” delle pecore? – ecco ognuno
di noi può impostare la sua vita sull’immagine Buon Pastore, Gesù, e essere
attento all’altro, a tutto, perché tutto sia bene, tutto cerchi il bene, tutto
sia orientato dal bene. Avere i sentimenti di Gesù, avere lo stile di Gesù,
pensare come Gesù: questa è lo scopo della vocazione, di ogni vocazione.
Oggi la Chiesa ci parla e chiede di pregare Gesù perché mandi nuovi sacerdoti alla sua Chiesa.
Tu hai mai pensato a diventare
sacerdote?
Tu genitore hai mai pensato di dire a tuo figlio: “pensa a
questa possibilità, se Gesù te la chiede!”
Tu nonno, tu catechista, tu
educatore … certo è Gesù che
chiama, solo lui, nessuno si inventa di diventare sacerdote, ma anche tu,
comunità educante, che educa alla fede, devi farti voce di Gesù.
Ascolteranno la mia voce e
diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Queste
sono le parole di Gesù nel Vangelo di Giovanni, ma è anche il compito di ogni vocazione, e in modo particolare di
quella sacerdotale: fare ascoltare la voce di Gesù, edificare un unico
popolo in Gesù, riconoscere che solo in Gesù la via della felicità, e che lui è
custode delle mia vita.
Stai rispondendo alla chiamata di
Dio nella tua vita?
Concludo. Scrive Papa Francesco
Cari
fratelli e sorelle!
La
quarta Domenica di Pasqua ci presenta l’icona del Buon Pastore che conosce le
sue pecore, le chiama, le nutre e le conduce. In questa Domenica, da oltre 50
anni, viviamo la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni. Ogni volta
essa ci richiama l’importanza di pregare perché, come disse Gesù ai suoi
discepoli, «il signore della messe … mandi operai nella sua messe» (Lc 10,2).
….
La
Vergine Maria, modello di ogni vocazione, non ha temuto di pronunciare il
proprio “fiat” alla chiamata del Signore. Lei ci accompagna e ci guida. Con il
coraggio generoso della fede, Maria ha cantato la gioia di uscire da sé stessa
e affidare a Dio i suoi progetti di vita. A lei ci rivolgiamo per essere
pienamente disponibili al disegno che Dio ha su ciascuno di noi; perché cresca
in noi il desiderio di uscire e di andare, con sollecitudine, verso gli altri
(cfr Lc 1,39). La Vergine Madre ci protegga e interceda per tutti noi. Ave
Maria … Amen.
giovedì 23 aprile 2015
Santi Martiri Armeni dei secoli XIX e XX
Genocidio armeno: educare per non
dimenticare
di
Bruno Forte(1)
Medz
Yeghern il “Grande Male” (2): così gli Armeni definiscono il
genocidio che un secolo fa falcidiò il loro popolo per il solo motivo della sua
fede cristiana. Era la notte tra il 23 e il 24 aprile 1915 quando molti
esponenti dell'élite armena di Costantinopoli vennero arrestati. A partire da
quella data, in un solo mese più di mille intellettuali armeni, giornalisti,
scrittori, poeti e delegati al Parlamento furono deportati verso l'interno
dell'Anatolia.
Quasi
tutti furono massacrati lungo la strada. Responsabili di arresti, deportazioni
e omicidi erano i Giovani Turchi, gruppo nazionalista nato all’inizio del
Ventesimo secolo e giunto al potere col progetto di creare in Anatolia uno
Stato turco etnicamente omogeneo. Fu messa in atto un’efferata “pulizia
etnica”, che condusse alla morte di oltre 1.200.000 persone, uccise dalla fame,
dalla malattia o dallo sfinimento, quando non eliminate fisicamente dalla
violenza criminale del potere turco, che agiva con la supervisione di ufficiali
dell'esercito tedesco in forza dell’alleanza tra Germania e Impero Ottomano.
Quanto
avvenne costituì di fatto la prova generale della Shoah attuata dai Nazisti
contro gli Ebrei durante la seconda guerra mondiale. Le fotografie di Armin T.
Wegner - il soldato tedesco che, a rischio della vita e contravvenendo agli
ordini ricevuti, rivelò al mondo lo sterminio - sono testimonianza di quei
fatti atroci. Mentre il governo turco seguita a rifiutare il riconoscimento del
genocidio armeno, una recente legge francese punisce con il carcere la
negazione di quel genocidio.
Il
12 aprile scorso Papa Francesco ha parlato apertamente dello sterminio degli
Armeni, «generalmente definito come il primo genocidio del XX secolo», citando
una dichiarazione comune del 2001 di Giovanni Paolo II e del Patriarca armeno
Karekin II in occasione della celebrazione del 1700° anniversario della
proclamazione del cristianesimo quale religione dell'Armenia. L’affermazione
del Papa ha suscitato una dura reazione della Turchia, che ha richiamato il
proprio ambasciatore e ha convocato il nunzio apostolico della Santa Sede.
Nella
stessa Turchia le cose cominciano però a cambiare: così si è la lasciata cadere
la denuncia contro Orhan Pamuk, lo scrittore turco di fama mondiale, che in
un'intervista ad un giornale svizzero si era espresso senza ipocrisie sui
tragici fatti accaduti. Riflettere su di essi è importante per tutti, perché
gli elementi che caratterizzarono il “grande male” messo in atto esattamente un
secolo fa si sono più volte ripetuti nel XX secolo e farne memoria potrebbe
aiutare ad evitare che accadano ancora. Si tratta delle ragioni politiche
soggiacenti a quelle etnico-religiose che motivarono il genocidio, del
carattere di sterminio di massa programmato e attuato sistematicamente che esso
ebbe, e dell’impatto di quegli eventi sull’intera storia del Novecento.
L’obiettivo
dei Giovani Turchi era fare della Turchia uno stato nazionale sul modello dei
paesi europei nati nell’Ottocento: il Paese avrebbe dovuto essere “purificato”
da elementi estranei e unito con il mondo turcofono dell’Asia centrale (il Turkestan).
L’ostacolo più evidente da eliminare per portare a termine questo sogno
nazionalista erano proprio gli Armeni, cristiani e indoeuropei, organizzati in
millet, comunità religiose e nazionali, che secondo il progetto dei Turchi
erano destinate semplicemente a sparire dal territorio fino ad allora da essi
abitato, che doveva entrare a far parte della grande Turchia.
L’ambizione
dei Giovani Turchi era di conseguire con la forza ciò che la storia non aveva
realizzato. Con gli Armeni, erano i Greci e gli Assiri altri fra i più
importanti gruppi cristiani da sopprimere. A cooperare con i Giovani Turchi
nelle stragi furono inizialmente anche i curdi, iranici, ma musulmani. Gli
esseri umani da eliminare avevano la sola colpa di appartenere a un’etnia e a una
religione diverse da quella dei carnefici: nessun possibile titolo di
giustificazione poteva essere preso in considerazione; la fuga o la morte erano
le due sole alternative lasciate a un intero popolo.
Fu
così che oltre agli innumerevoli innocenti massacrati, tanti Armeni fuggirono
verso Occidente, anche in Italia, spesso modificando i loro nomi di famiglia
per non essere riconoscibili e quindi raggiungibili dai sicari della follia
omicida dei giovani Turchi. I bellissimi romanzi di Antonia Arslan (“La masseria
delle allodole” e “La strada di Smirne”) hanno reso accessibile a molti lettori
la conoscenza di questa immane tragedia.
L’eliminazione
del “diverso” veniva realizzata in maniera ufficialmente “pulita”, dando cioè
l’impressione che si trattasse di trasferimenti di massa verso nuovi
insediamenti e che solo incidentalmente ciò comportasse la perdita della vita.
In realtà, oltre gli omicidi perpetrati efferatamente, la maggior parte degli
Armeni in fuga morì per le condizioni delle marce forzate verso una salvezza
del tutto improbabile, spesso senza cibo né riposo, incalzati dalla minaccia
degli oppressori. Proprio così, quello armeno divenne il primo genocidio del
Novecento, atroce modello per tutti gli altri poi realizzati, a cominciare
dalla Shoah del popolo ebraico e dai sei milioni di morti da essa prodotti.
Impressionante
fu l’opera di formazione ideologica degli assassini, che dovevano essere
convinti di “lavorare” al servizio della causa della grande Turchia, ma che in
realtà erano spesso criminali comuni, predisposti dall’ignoranza e dalla fame
ad accettare le condizioni imposte dal potere per la loro stessa sopravvivenza.
L’impatto del Medz Yeghern fu molto forte, al di là del tradimento politico del
popolo armeno, sacrificato dalle potenze occidentali in nome di una presunta
convivenza con l’Impero Turco oramai in dissoluzione: le élites culturali che
sopravvissero al massacro portarono in giro per il mondo la raffinata cultura
della Nazione che per prima aveva abbracciato il cristianesimo come religione
ufficiale già nel quarto secolo.
La
concentrazione di memorie culturali e di fonti letterarie armene, già da tempo
presenti specie nell’Isola di San Lazzaro a Venezia, consentì l’accesso alla
loro conoscenza da parte di molti studiosi e dell’opinione pubblica, cui
scrittori e storici poterono comunicare i risultati delle loro ricerche.
Purtroppo, però, il Grande Male servì da modello per nuove e ancor più efferate
forme di barbarie, come quella concepita e messa in atto dal Nazionalsocialismo
per la distruzione degli Ebrei d’Europa. Fare memoria dei fatti avvenuti un
secolo fa non è allora solo un dovere morale di ricordo dei tanti innocenti
uccisi, ma anche una sorta di educazione a non dimenticare, affinché quel male
non abbia più a ripetersi. In questa direzione vanno le parole pronunciate da
Papa Francesco: e addolora il fatto che l’attuale élite del potere turco abbia
reagito così duramente ad esse, come se il male compiuto nulla avesse
insegnato. “Ricordare - ha ribadito il Papa - è necessario, anzi, doveroso,
perché laddove non sussiste la memoria il male tiene ancora aperta la ferita;
nascondere o negare il male è come lasciare che la ferita continui a sanguinare
senza medicarla!”.
(1)
Fonte: 22 Aprile 2015 (Zenit.org) - Il Sole 24 Ore, domenica 19 aprile 2015,
pp. 1 e 16.
(2)
Con l’espressione “genocidio armeno” (in lingua armena Medz Yeghern, Grande
Male) ci si riferisce a due eventi distinti ma legati fra loro: il primo,
quello relativo alla campagna contro gli armeni condotta negli anni 1894-1896
dal sultano Abdul Hamid II; il secondo, quello collegato alla deportazione ed
eliminazione degli armeni compiute nel corso del Primo Conflitto Mondiale dal
nuovo governo della Sublime Porta controllato dai Giovani Turchi.
NOTE
1) Il termine “genocidio” fu coniato negli anni Quaranta
dal giurista americano di origine ebraico-polacca Raphael Lemkin proprio in
riferimento alla repressione armena.
2) A proposito della collaborazione fornita dai curdi al
governo centrale, va ricordata l’istituzione da parte del sultano dei
reggimenti Hamidye, reparti paramilitari dipendenti dall’esercito e dalla
gendarmeria turchi, che vennero largamente utilizzate per depredare o
incendiare le comunità armene “ribelli”).
BIBLIOGRAFIA
B. H. Liddell Hart, La Prima Guerra Mondiale 1914-18,
Rizzoli Editore, Milano 1972.
D. Fromkin, Una pace senza pace, Rizzoli Libri, Milano
1992.
M. Gilbert, La grande storia della Prima Guerra Mondiale,
Arnoldo Mondatori Editore, Milano 1998.
A.Emin (Yalman), Turkey in the World War, Newhaven, 1930.
H.Kaiser, Imperialism, Racism and Development Theories:
The Construction of a Dominant Paradigm on Ottoman Armenians, Gomidas Institute
Books, Princeton, 1998.
H.Kaiser, The Baghdad Railway and the Armenian Genocide,
1915-1916: A Case Study in German Resistance and Complicity, in Remembrance and
Denial: the Case of the Armenian Genocide, Wayne State University Press, 1999.
R. Kevorkian, L’extermination des deportés arméniens
ottomans dans les camps de concentration de Syrie-Mésopotamie (1915-1916),
Revue d’Histoire Arménienne Contemporaine, Tome II, Paris, 1998.
Y. Ternon, Gli armeni. 1915-1916: il genocidio
dimenticato, Rizzoli, Milano, 2003.
D. M. Thomas, Ararat, Frassinelli, Milano, 1984.
D.Varujan, Il canto del pane, Guerini, Milano, 1992.
D.Varujan, Mari di grano e altre poesie armene, Paoline,
Milano, 1995, a cura di Antonia Arslan.
C. Mutafian, Metz Yeghérn Breve storia del genocidio
degli armeni, Angelo Guerrini & Associati, Milano 1998.
A. Rosselli, Sulla Turchia e l’Europa, Solfanelli
Editore, Chieti, 2006.
A. Rosselli, L’olocausto armeno, Sito web Nuovi
Orizzonti, http://www.storico.org.
H. M. Sukru, “The Political Ideas of the Young Turks”, in
idem, The Young Turks in Opposition, Oxford University Press, 1995
Questa
immagine, scattata da un giornalista tedesco e conservata negli archivi del
Vaticano, documenta il massacro delle donne cristiane armene nel deserto di
Deir ez-Zor – Siria , il 24/04/1915 durante il genocidio da parte dei soldati
turchi.
CELEBRAZIONI E MEMORIE DEI 100 ANNI
DAL GENOCIDIO ARMENO
Etchmiadzin
(AsiaNews) - Con una solenne lettera enciclica, il patriarca armeno ortodosso
Karekine II ha aperto in modo ufficiale le celebrazioni e memorie dei 100 anni
dal genocidio armeno, che dureranno per tutto il 2015.
Il
massacro di circa 1,5 milioni di armeni avviene verso la fine dell'impero
ottomano, prima con il sultano Abdul Hamid II, poi con i gruppi dei
"Giovani Turchi", e infine con lo stesso Kemal Ataturk, il padre
della patria turca. Gli armeni sono presi di mira perché cristiani, istruiti e
appartenenti alla classe media.
Soprattutto nel 1915 si chiudono le loro scuole, le chiese, le organizzazioni
e si lancia una vera e propria caccia con uccisioni, violenze, stupri,
umiliazioni. A queste seguono le deportazioni nel deserto, le fosse comuni, i
treni ripieni di sfollati e incendiati. I sopravvissuti sono coloro che sono
riusciti a raggiungere l'attuale Armenia (allora sotto il dominio russo e poi
sovietico), o la Siria e il Libano.
La
Conferenza di Parigi del 1920 ha riconosciuto il genocidio armeno e al presente
lo riconoscono almeno 20 Stati. Ma la Turchia non l'ha mai fatto, motivando i
massacri con il bisogno di combattere gruppi indipendentisti. Diversi scrittori e storici che hanno
pubblicato testi sul genocidio sono stati perseguiti. Solo lo scorso anno,
l'allora premier Recep Tayyip Erdogan ha presentato ai discendenti degli armeni
condoglianze per il massacro.
Nella
sua lettera, il patriarca Karekin II annuncia che il 23 aprile 2015 egli
presiederà una liturgia in cui proclamerà santi tutte le vittime del genocidio,
uccise "per la fede e per la patria" e farà del 24 aprile una Giornata
della Memoria per "i santi martiri del genocidio". Secondo
informazioni non confermate in via ufficiale, il 12 aprile 2015, anche papa
Francesco celebrerà in piazza san Pietro una messa a ricordo del genocidio
degli armeni. Di seguito il testo completo della lettera enciclica (Traduzione AsiaNews)
LETTERA ENCICLICA PER I 100 ANNI
DAL GENOCIDIO ARMENO DI
KAREKINE II, PATRIARCA ARMENO
"Ma
il sentiero dei giusti è come la luce che spunta e va vieppiù risplendendo,
finché sia giorno perfetto" (Proverbi 4,18)
Il
centenario del Genocidio degli armeni è davanti a noi, e le nostre anime
risuonano di una potente richiesta di verità e giustizia che non sarà messa a
tacere.
Ogni
giorno del 2015 sarà un giorno di ricordo e devozione per il nostro popolo, un
viaggio spirituale ai memoriali dei nostri martiri in patria e della diaspora,
davanti ai quali con umiltà ci inginocchiamo in preghiera, offrendo incenso per
le anime delle nostre vittime innocenti che giacciono in tombe senza nome poiché
hanno accettato di morire piuttosto che ripudiare la loro fede e la loro
nazione. Davvero "il sentiero dei giusti è come la luce che spunta e va
vieppiù risplendendo, finché sia giorno perfetto".
Nel
1915, e negli anni successivi, i turchi ottomani hanno commesso un genocidio
contro il nostro popolo. Nell'Armenia occidentale - sul nostro suolo nativo -
nella patria dell'Armenia e nelle comunità armene in tutta la Turchia, un
milione e mezzo di nostri figli e figlie hanno subito uccisioni, carestie e malattie:
sono stati deportati e costretti a marciare fino alla loro morte. Secoli di
creatività e di onesti traguardi raggiunti sono stati distrutti in un attimo.
Migliaia di chiese e monasteri sono stati dissacrati e distrutti. Le
istituzioni nazionali e le scuole rase al suolo e rovinate. I nostri tesori
spirituali e culturali sono stati sono stati sradicati e cancellati. L'Armenia
occidentale, dove per millenni - dal tempo di Noè - il nostro popolo ha
vissuto, creato e costruito la sua storia e cultura, è stata privata della sua
popolazione nativa.
Un secolo fa - quando i frammenti della
nazione armena, dopo aver perso il proprio patrimonio, sono stati sparsi in
tutto il mondo, e mentre l'Armenia orientale combatteva una lotta all'ultimo
sangue per la sopravvivenza contro gli invasori turchi - era difficile credere
in un futuro per il popolo armeno. Tuttavia una nuova alba è sorta. Con la
grazia del Signore, il nostro popolo è risorto dalla morte. Su una piccola
parte recuperata della nostra patria, la nostra gente ha ripristinato lo Stato,
ricreato un Paese dalle sue rovine e vestigia, e costruito una "patria di
luce e di speranza", di scienza, istruzione e cultura. Gli armeni esiliati
in tutto il mondo hanno costruito le case e i loro cuori nel mondo, sono
sbocciati in Paesi vicini e lontani, portando avanti le loro tradizioni e la
loro vita spirituale. Ovunque i figli della nostra nazione hanno vissuto, hanno
raggiunto il successo, guadagnandosi rispetto e fiducia, e ottenendo
riconoscimenti per il loro lavoro coscienzioso e il loro contributo alla
scienza, alle arti e al bene comune. Questa è la storia del nostro popolo
durante il secolo scorso - una storia di avversità e risurrezione. Oggi,
nonostante la difficoltà, la nostra nazione rafforza la sua sovranità
indipendente, crea una nuova vita di libertà, e guarda con speranza al futuro,
abbracciando il risveglio nazionale, l'ottimismo e la fede.
Gloria a te, o Signore, gloria senza limiti,
"Come uno scudo Tu ci proteggi con il Tuo favore" (Salmi 5,12). Riponendo
la nostra speranza in Te, o Signore, il nostro popolo è stato illuminato e
rafforzato. La Tua luce ha acceso l'ingegnosità del nostro spirito. La Tua
forza ci ha spinto verso le nostre vittorie. Abbiamo creato anche se altri
hanno distrutto le nostre creazioni. Abbiamo continuato a vivere anche se altri
ci volevano morti. Tu, o Signore, hai voluto che la nostra gente - condannata a
morte da un piano genocida - sia riuscita a vivere e risorgere, in modo da
poter presentare questa giusta causa davanti alla coscienza dell'umanità e al
diritto delle genti, per liberare il mondo dalla callosa indifferenza di Pilato
e dalla negazione criminale della Turchia.
Per il bene della giustizia - fino al trionfo
della nostra causa, noi continueremo la nostra lotta senza ritirarci - Chiesa,
Nazione e Stato insieme. Il sangue dei nostri martiri innocenti e le sofferenze
del nostro popolo gridano per avere giustizia. I nostri santuari distrutti, la
violazione dei nostri diritti nazionali, la falsificazione e distorsione della
nostra storia, tutti gridano per avere giustizia. Essendo sopravvissuto al
genocidio, il nostro popolo ha creduto e continua a credere che la moltitudine
dei Paesi retti, delle Organizzazioni nazionali e civiche, e degli individui
che hanno riconosciuto e condannato il genocidio armeno saranno presto
affiancati da altri che credono che l'affermazione della verità e della
giustizia siano il prerequisito e il garante di un mondo pacifico, privo di
ostilità e di violenza.
In
ricordo del nostro milione e mezzo di martiri del genocidio, esprimiamo la
nostra gratitudine alle nazioni, alle organizzazioni e agli individui che hanno
avuto il coraggio e la convinzione di riconoscere e condannare il genocidio
armeno. Esprimiamo gratitudine a quei Paesi e popoli gentili che hanno
accettato i figli della nostra nazione come fratelli e sorelle. Questi esempi
di giustizia e di umanità sono pagine luminose nella storia dell'umanità. Essi
saranno sempre ricordati e apprezzati per generazioni, e saranno di beneficio
alla vita tranquilla, sicura e migliore del mondo.
Come Pontefice degli armeni, è di conforto per
lo spirito annunciare alla nostra gente che il 23 aprile 2015, durante la
Divina Liturgia, la nostra Santa Chiesa offrirà un servizio speciale per canonizzare
i suoi figli e figlie che hanno accettato il martirio come santi "per la
fede e per la patria", e proclamerà il 24 aprile come Giornata del ricordo
dei Santi Martiri del Genocidio.
O, popolo armeno, abbellito dall'Alto - una
nazione martire; una nazione risorta - vivi con coraggio, avanza con sicurezza,
con il tuo sguardo rivolto verso il monte verso l'Ararat che contiene l'Arca, e
con il cuore incrollabile mantieni alta la tua speranza. L'incoraggiamento e il
messaggio del Signore sono rivolte a te: "Anche se non sei forte, sei
stato fedele alla mia parola e non hai tradito il mio nome ... Tieni saldo
quello che hai in modo che nessuno porterà via la tua corona della
vittoria" (Apocalisse 3, 8-11). Quindi, cerchiamo di rimanere saldi
davanti a Dio, giusto e vero, sui fermi sentieri della fede che, come la luce
del mattino, disperde le tenebre e rende visibili gli orizzonti della speranza.
La nostra strada è con Dio; e una vita di fede è la nostra vittoria.
Rendiamo
fecondo il centenario valorizzando il percorso di travaglio e di rinascita del
nostro popolo, durato 100 anni, in modo che i nostri figli - riconoscendo la
volontà eroica dei loro nonni e genitori di vivere e creare e i loro sforzi
intrapresi per il bene della nazione e della patria - possano creare un nuovo
giorno luminoso per la nostra patria e per la nostra gente, dispersa in tutto
il mondo. Trasformiamo la memoria dei nostri martiri in energia e forza per la
nostra vita spirituale e nazionale e, davanti a Dio e a tutti gli uomini, illuminiamo
il percorso dal nostro giusto cammino per guidare il nostro passo verso la
realizzazione della giustizia e delle nostre sacre aspirazioni.
Dal nostro amato centro spirituale, creato da
Cristo, e davanti alla Santa Sede Madre del Santo altare di Echmiadzin (della
discesa dell'Unico Unigenito ), preghiamo Dio per la pace, la sicurezza e il
benessere della nostra patria, del nostro amato popolo in tutto il mondo e,
soprattutto, per la luce eterna e la pace per le anime innocenti dei Santi
Martiri del Genocidio. Possano l'amore e la fratellanza, la giustizia e la
verità regnare sopra l'umanità, e possano le vie dei giusti irradiare,
orientare e diffondere la luce fino all'alba di un nuovo giorno, che porti pace
e felicità a tutto il mondo.
La
grazia, l'amore e la pace di Nostro Signore Gesù Cristo sia con voi e con tutti
noi. Amen.
UN PO’ DI STORIA
Secondo
la tradizione, i primi fondatori della Chiesa Armena furono gli apostoli Taddeo
e Bartolomeo. Sin dall’inizio del IV secolo si ha notizia di vescovi armeni e
di persecuzioni e martiri negli anni 150, 250 e 284. A partire dal IV secolo,
la religione cristiana diventa religione di stato. Questo avvenne ad opera del
grande santo Gregorio, detto l’Illuminatore che, dopo aver convertito e
battezzato il re nel 301, costruì la prima chiesa nel luogo dove ora sorge la
città di Etchmiadzin, e con la sua predicazione convertì tutta l’Armenia.
Gregorio Illuminatore fissò la propria sede a
Valaršapat, l’allora capitale del Regno, a sud dell’odierna Erevan, ove fondò,
seconda la tradizione, la prima cattedrale d’Armenia sul luogo indicatogli da
Cristo. Perciò la denominazione di Etchmiazdin che significa “[qui] discese
l’Unigenito”. Benché vi fosse alle origini una pluralità di denominazioni per
indicare il capo della Chiesa armena, presto prevalse quella di catholicos che,
a partire dal V secolo, si diffuse nelle Chiese della periferia orientale
dell’impero bizantino. Seconda a Va?aršapat nell’ordine gerarchico, la sede di
Ašdišat, nel sud, godette nei primi tempi di grandissimo prestigio e autorità,
dovuti probabilmente a presenze cristiane risalenti ad epoche anteriori.
A
partire dal momento della conversione del Regno, il destino dell’Armenia fu
inscindibilmente connesso a quell’opzione storica. Non appena trascorso un
secolo e mezzo, nel 451, la Chiesa Armena affronterà il suo primo battesimo di
sangue comunitario, noto come il “martirio dei Vardanank”, guidata dalla
convinzione saldamente confessata ed espressamente dichiarata: “Chi credeva che
il cristianesimo fosse per noi come un abito, ora saprà che non potrà
togliercelo come il colore della pelle” . Tale convinzione suggellerà per i
secoli successivi l’anima e la cultura del popolo armeno e inciderà nella
maniera più emblematica nel Genocidio dell’inizio del Novecento. Infatti, pur
essendo gli ideatori del progetto di sterminio motivati soprattutto da fattori
di ordine diverso da questo religioso, fu quest’ultimo in ogni caso a prestare,
alla resa dei fatti, il criterio di discriminazione effettiva nella decisione
vita e morte: si salvarono solo quanti accettarono di abiuare la fede
cristiana.
L’anno
del “martirio dei Vartanank”, il 451, risulta decisivo nella storia armena
anche per un altro motivo, poiché proprio in quel medesimo anno si celebrava il
IV Concilio ecumenico delle cristianità, occidentale ed orientale, il quale
sarà in seguito rigettato dagli armeni.
Il martirio comunitario della Chiesa armena,
nel 451, non sarebbe comunque pienamente spiegabile senza tenere conto di un
altro evento della massima importanza nella storia armena: la creazione
dell’alfabeto e della conseguente cultura letteraria all’inizio del V secolo
(404-406) ad opera del santo Vartabed (maestro) Mesrop Maštoc‘ e del santo
catholicos Sahak, con la collaborazione di numerosi discepoli. Sebbene l’idea
di un alfabeto fosse stato ispirato a Mesrop da necessità missionarie, la sua
realizzazione però suggellò definitivamente il singolare, ma pure esemplare,
connubio armeno tra fede e cultura, tra nazionalità e religione.
GLI ARMENI A MILANO
A
Milano, gli armeni hanno cominciato ad avere le loro funzioni religiose
immediatamente dopo la prima guerra mondiale, dapprima nella chiesa anglicana
di via Solferino e poi, a partire dal 1958, in una chiesa propria, che sorge in
via Jommelli 30. Questa chiesa, dedicata ai Quaranta santi Martiri di Sebaste e
costruita secondo i canoni del più classico stile armeno, fu voluta dai due
fratelli Onnik e Sarkis Diarbekirean vissuti a Milano nel 1920 in fuga dal
massacro, trasferitisi poi in Argentina, provvidero a fare costruire la chiesa
della sede milanese.
La comunità armena lombarda consta oggi di
oltre 1000 persone, in maggioranza liberi professionisti, industriali,
rappresentanti, commercianti, artisti ed alcuni artigiani.
“Unità
nelle cose necessarie, libertà in quelle dubbie, carità in tutte”. (S.
Agostino)
sabato 18 aprile 2015
Pellegrino a Loreto ...
beato Bartolo di S. Angelo in Vado |
Preghiera
a tutti i Santi
O spiriti celesti, voi santi venerati in
questo luogo e a voi tutti Santi del Paradiso,
volgete pietosi lo sguardo sopra di noi,
ancora peregrinanti in questa valle di
dolore e di miserie.
Voi godete ora la gloria che vi siete
meritata seminando nelle lacrime in questa terra di esilio.
Dio è adesso il premio delle vostre fatiche,
il principio, l'oggetto e il fine dei vostri godimenti.
O anime beate, intercedete per noi!
Ottenete a noi tutti di seguire fedelmente
le vostre orme,
di seguire i vostri esempi di zelo e
di amore ardente a Gesù e alle anime,
di ricopiare in noi le sue sante virtù,
affinché diveniamo segno della sua presenza
e
un giorno partecipi della vostra gloria
immortale.
Amen.
giovedì 16 aprile 2015
Compatrono di Ancona, Gabriele Ferretti
Il Beato Gabriele nacque in Ancona dalla nobile famiglia dei Conti Ferretti nel 1385. Il Conte Liverotto, suo padre, e Alvisia, sua madre, educarono Gabriele alle più squisite virtù cristiane, specialmente alla purezza che traspariva dal suo comportamento angelico. A 18 anni si fece Religioso francescano nell'Ordine dei Frati Minori. Nel chiostro studiò filosofia e teologia con raro profitto, per cui, ordinato Sacerdote, si dedico con frutto alla predicazione, convertendo molti peccatori. Ebbe da Dio il privilegio di conoscere il futuro, e il dono di guarire i malati con il semplice segno della Croce o al contatto della sua tonaca.
Nutrì tenera devozione alla Vergine Santissima, che spesso gli appariva con il Bambino Gesù tra le braccia nel silenzio della cella o nel bosco del Convento. Il 12 novembre 1456, dopo una vita piena di virtù e di miracoli a favore degli umili e dei sofferenti, dolcemente spirava. San Giacomo della Marca, ai funerali solennissimi, ne tesseva l'elogio dinanzi al Vescovo, al Senato e al popolo Anconitano. Presso le sue spoglie incorrotte, che si venerano nella Chiesa di San Giovanni Battista in Ancona, si moltiplicano da secoli grazie e miracoli; e i malati, benedetti con l'olio della lampada del Beato Gabriele, ottengono la sua celeste protezione.
martedì 14 aprile 2015
Beato Pietro, grazie!
Chiesa del Rosario Sirolo (AN) |
Il Beato Pietro (Marchionni) nacque a Treia (MC) attorno all'anno 1230. Francesco d'Assisi (1182-1226) aveva appena chiuso la sua stupefacente giornata terrena. Nel 1228 Gregorio IX lo aveva elevato agli onori dell'altare. Pietro non ebbe la fortuna, a quanto sembra, di conoscere personalmente il più grande uomo di Dio di quel tempo, ma sentì aleggiare nel suo paese e nella sua giovinezza quel profumo, quel fascino irresistibile. E si lasciò trascinare, portare. Entrò, anche lui, nella compagnia dei cavalieri di Madonna Povertà che Francesco aveva ideato, ossia nell'Ordine dei Frati Minori. Non sappiamo il luogo e il tempo in cui fece l'anno di Noviziato, probabilmente proprio alla Porziuncola, ed emise poi la professione religiosa. Ma è certo che Pietro era uno di quegli uomini che non scherzava e che, se non era proprio tra quei compagni della prima ora, era comunque uno che di quella prima esperienza conservava l'entusiasmo, lo spirito e l'ardore.
Si diede il nostro santo, una volta divenuto Frate Minore, nella sua città natale alla predicazione del Vangelo: e fu uno di quegli araldi della Parola di Dio che non lascia indifferenti, che trasforma le situazioni e che cambia il cuore.
Fu poi trasferito nel Convento antico di S. Francesco ad Alto, in Ancona, fondato da S. Francesco nel 1219, in occasione del suo ritorno dalla visita ai luoghi santi della terra del Signore. Nella Chiesa del Convento di Ancona il Beato Pietro ebbe, secondo il racconto dei Fioretti, l'estasi del Crocifisso: fu visto, infatti, "elevato da terra cinque o sei braccia (ossia 2 metri e mezzo) insino appiè del Crocifisso della chiesa, dinanzi al quale stava in orazione" (Fioretti, cap. 42). Qui il Beato Pietro conobbe e visse insieme al Beato Corrado da Offida (1241-1306), col quale si legò con vincolo di speciale amicizia. I Fioretti di S. Francesco, che parlano di questi due santi frati nei capitoli 42-44, affennano che "tra loro era tanto amore e tanta carità che un medesimo cuore e una medesima anima pareva in loro due; e si legarono insieme a questo patto, che ogni consolazione, la quale la misericordia di Dio facesse loro, se la dovessero insieme rivelare l'uno all'altro in carità" (Fioretti, cap. 44).
Da qui il Beato Pietro, insieme al Beato Corrado da Offida, fu mandato nel luogo di Sirolo (AN), dove il Beato Corrado guarì una povera donna, pregando per lei tutta la notte e liberandola, così, dal demonio e dove il Beato Pietro ebbe la visione di S. Michele Arcangelo, il quale in segno di gratitudine per la Quaresima che il santo praticava in preparazione della sua festa del 29 settembre, gli procurò la grazia dell'esperienza impareggiabile della certezza del perdono dei peccati.
Dal luogo di Sirolo i due santi frati andarono in quello di Forano nel Comune di Appignano (MC), anch'esso visitato da S. Francesco nel 1215, essendo ospizio e chiesa dei monaci cistercensi della vicina abbazia di Fiastra: il luogo era circondato da una bella selva, per cui ci si poteva dedicare abbondantemente alla preghiera nel silenzio e nella discrezione. Qui entrambi ebbero visioni celestiali, dedicandosi con lo spirito tipico dei figli del Poverello alla meditazione della Parola di Dio e dei misteri fondamentali della nostra salvezza, ossia l'umiltà dell'incarnazione e l'amore e la sofferenza della Croce.
Dopo varie esperienze legate alle vicende della Chiesa e dell'Ordine del tempo, il Beato Pietro ritornò al Convento di Sirolo, dove il 19 febbraio 1304 si addormentò piamente nel Signore, carico di opere buone e di santità. "Stella lucente e uomo celestiale ", come lo chiamano i Fioretti, il Beato Pietro era ritenuto santo, già nella sua vita terrena. Avendo nel tempo operato vari miracoli, fu sempre circondato di venerazione, onorato e amato per quell'alone di santità che da lui promanava. Finché l'11 settembre 1793 il Papa Pio VI con- fermò il culto e il titolo di Beato e concesse l'Ufficio e la Messa propri in suo onore.
Essendo semidistrutto il Convento di S. Francesco di Sirolo, alla fine dell'800 il corpo del Beato Pietro fu trasportato nella Chiesa della Beata Vergine del Rosario, sem pre in Sirolo, dove attualmente si trova.
FONTE: treiaonline.it
La celebrazione del VII Centenario della morte del Beato Pietro da Treia, compatrono della città di Sirolo e uno dei figli più illusti della terra marchigiana e della memoria francescana della Regione possa, non solo rinvigorirne la devozione e l'affetto, ma anche restituirne lo spirito nei frati e nei devoti, rinnovarne nel territorio l'esempio e ritrovare nei luoghi a lui legati la sua anima e la sua presenza.
FONTE: treiaonline.it
lunedì 13 aprile 2015
Pellegrino a Loreto ...
Litanie
dei Santi
Signore Pietà! Signore, pietà!
Cristo pietà, Cristo, pietà!
Signore, pietà! Signore, pietà!
Santa Maria, madre di Dio, prega per noi.
San Michele, prega per noi.
San Giovanni Battista, prega per noi.
San Giuseppe, prega per noi.
Santi Pietro e Paolo, pregate per noi.
Sant'Andrea, prega per noi.
San Giovanni, prega per noi.
Santi apostoli ed evangelisti, pregate per noi.
Santa Maria Maddalena, prega per noi.
Santi discepoli del Signore, pregate per noi.
Santo Stefano, prega per noi.
Sant'Ignazio d'Antiochia, prega per noi.
San Lorenzo, prega per noi.
Sante Perpetua e Felicita, pregate per noi.
Sant'Agnese, prega per noi
Sant’Emidio vescovo e martire, prega per noi
Santi martiri di Cristo, pregate per noi.
San Gregorio, prega per noi.
Sant'Agostino, prega per noi.
Sant'Atanasio, prega per noi.
San Basilio, prega per noi.
San Martino, prega per noi.
San Benedetto, prega per noi.
San Francesco, prega per noi.
San Domenico, prega per noi.
San Romualdo, prega per noi
San Nicola da Tolentino, prega per noi.
San Francesco Saverio, prega per noi.
San Giovanni Maria [V ianney],
prega per noi.
San Giuseppe da Copertino, prega per noi.
Santa Caterina da Siena, prega per noi.
Santa Teresa d'Avila, prega per noi
Santa Veronica Giuliani, prega per noi
San Serafino da Montegranaro, prega per noi
beato Girolamo da Sant'Angelo in Vado, prega per noi
beata Castoria Gabrielli, prega per noi
beato Bartolo da Sant'Angelo in Vado, prega per noi
beato Benedetto da Urbino, prega per noi
beato Francesco da Libbra, prega per noi
beato Raniero da Fabriano, prega per noi
Venerabile Francesca Ticchi, prega per noi
Santi e beati pellegrini a Loreto, pregate per noi
Santi e sante di Dio, pregate per noi.
venerdì 10 aprile 2015
Il compatrono di Vigevano
Gian Francesco Carreri, della nobilissima famiglia Carreri, nacque a Mantova nel 1420. Suo padre, Francesco, era notaio di Gian Francesco Gonzaga e proprio in suo onore venne battezzato. Nel 1440 indossò l’abito Domenicano e cambiò il suo nome di battesimo in Matteo. La sua predicazione attraversò il centro-nord Italia, ma raggiunse il culmine della sua vita spirituale proprio a Vigevano dove ancora in vita gli furono attribuite miracolose conversioni e guarigioni. Visse e predicò nel Convento di San Pietro Martire, dove morì il 5 ottobre 1470, non prima di aver provato la Passione di Cristo: il Crocifisso gli apparve e gli trapassò il cuore. Il suo corpo è venerato nella chiesa di San Pietro Martire. Nel 1482 Papa Sisto IV permise la celebrazione della memoria liturgica ai vigevanesi e nel 1518 fu proclamato compatrono (protettore).
giovedì 9 aprile 2015
Il Santo di Palmoli, Valentino martire romano
Si legge nel sito iltrigno.net:
Tra i Santi della Chiesa, il 14 febbraio è celebrata la festa di San Valentino, il santo dei fidanzati. Secondo la tradizione popolare, ogni volta che incontrava due giovani, San Valentino li incoraggiava a sposarsi, ritenendo questa l'unica soluzione per combattere il peccato.
«Di San Valentino nel mondo ce ne sono vari: a volte si tratta di qualche corpo di martire cui è dato il nome di Valentino; altre, di S.Valentino che non hanno a che fare col nostro». Così scrive P. Beniamino Maurizio S.F. nel volume Palmoli mia (Storia di Palmoli) pubblicato nel dicembre 1999, dall'Editrice Il Nuovo di Vasto. "Chiese e reliquie di S. Valentino - soggiunge P. Beniamino Maurizio - sono disseminate per il mondo e oggi, sotto la spinta consumistica, tutti tendono a festeggiarlo il 14 febbraio. Il S. Valentino, protettore di Palmoli, è S. Valentino prete e martire romano, la cui festa ricade il 14 febbraio. Una certa critica, oggi, tenderebbe a identificarlo con quello di Terni, vescovo e martire (ci mancherebbe!!); ma la cosa è molto discutibile e - credo - poco attendibile (già non è attendibile la prima identificazione!). Se la città eterna dei sette colli ebbe la fortuna d'avergli dato i natali e d'essere stato teatro delle sue meraviglie, non meno fortunata è Palmoli che possiede la maggior parte del prezioso tesoro della sua salma e gli ha eretto una magnifica tomba, ricchissima, adorna di fini marmi e lo ha eletto a suo comprotettore veneratissimo.
Ma purtroppo per Palmoli, molte altre città possiedono lo stesso prezione tesoro. Cito tre esempi: Cavour (TO), Monselice (PD) e Belvedere (CS).
San Valentino di Cavour fonte: cavour.info |
Per cui: sono quattro omonimi o sono quattro falsi?
Sarei per quattro omonimi del presunto San Valentino prete martire di Roma.
Ma continuiamo a leggere ...
Questo lembo di terra del forte e gentile Abruzzo, prima ancora che si fosse ornato del Sacro Deposito, ne aveva già una sacra reliquia miracolosa, il Santo Braccio (altro martire, dubito che sia dello stesso corpo!), concessa dal Rev.mo Don Andrea Valentini, con autentica del 13 dicembre 1704 dell'Eccell.mo Cardinal di Stato Duina, alla Chiesa Matrice dal titolo di Santa Maria delle Grazie, da qualche anno prima eretta in ricettizia innumerata. La traslazione della Sacra gloriosa salma dell'invitto prete e martire, S. Valentino avvenne nel 22 dicembre 1824 (ecco la prova delle date di autentica troppo distanti!), quando se n'era precedentemente ottenuta la concessione, con rescritto dell'Eccell.mo Cardinal Giuseppe Perugini, Prefetto dei Sacrari Apostolici, addì 18 novembre dello stesso 1824. Mentre un comitato di eletti cittadini palmolesi si era portato in Roma a rilevarne le Sacre Spoglie per trasportarle al paese via Molise, l'intera popolazione di Palmoli, non sapendo trattenersi più a lungo ad attendere, festante era andata ad incontrarle processionalmente nella limitrofa Trivento. Ora Palmoli, ricca ed orgogliosamente altera del Sacro Deposito, parecchie volte all'anno celebra la festa del glorioso Comprotettore, solennizzandone ora la nascita ai 14 febbraio; ora la fortunata traslazione del Corpo Santo, al 22 dicembre; ora la donazione del Santo Braccio, il Martedì di Pentecoste; ora, infine la commemorazione dei miracoli da lui operati e, nel 1837, dal 2 al 5 settembre; e nel 1865, dal 18 al 22 maggio ed infine nel 1916, per i quali ultimi si attende fiduciosi il competente giudizio della Superiore Autorità Ecclesiastica per la maggiore pubblicazione; a maggior diffusione della venerazione del Santo, ed a gloria della SS. Religione di Cristo, che può gloriarsi d'aver nutrito un figlio, il quale, opponendo il forte petto all'impeto dei suoi nemici, suggellò col sangue la sua fede per ingemmarle il serto di sempre nuovo fulgore e per fortificare ed ampliare il celeste suo regno".
Quindi un vero martire di Cristo, visto i segni miracolosi, ma non è il S. Valentino prete e martire, che poi per motivi di storicità è epurato dall'odierno Martirologio Romano. Tanto che si pensa che il Valentino presbitero romano, sia il Valentino di Terni, un romano che divenne vescovo ternano.
Continuiamo la lettura ...
Non si hanno notizie precise sul santo vissuto nel 270 d.C. sotto l'imperatore Claudio II, detto il "Gotico". Ed è proprio l'imperatore Claudio II a farlo imprigionare a causa delle guarigioni compiute dal Santo e per il rifiuto opposto all'ordine di convertirsi al paganesimo.
Fu così che "l'amico dei fidanzati" venne decapitato. Ma prima di morire Valentino volle compiere un miracolo, rivolgendo gli occhi al cielo, ridonando la vista ad una bellissima fanciulla cieca, figlia di Asterius, che era il comandante delle Carceri.
Dopo l'editto di Costantino del 313 che concedeva ai cristiani la libertà di culto, la Chiesa volle sostituire la festa pagana della divinità romana Lupercus, che simboleggiava la dissolutezza e la libertà dei costumi, con il culto di S.Valentino, esempio di fede e di onore spirituale che si perfeziona nell'unione coniugale. A cominciare dal IV secolo si diffuse la festa di San Valentino protettore degli innamorati, ma anche festa dell'amore.
Fu così che "l'amico dei fidanzati" venne decapitato. Ma prima di morire Valentino volle compiere un miracolo, rivolgendo gli occhi al cielo, ridonando la vista ad una bellissima fanciulla cieca, figlia di Asterius, che era il comandante delle Carceri.
Dopo l'editto di Costantino del 313 che concedeva ai cristiani la libertà di culto, la Chiesa volle sostituire la festa pagana della divinità romana Lupercus, che simboleggiava la dissolutezza e la libertà dei costumi, con il culto di S.Valentino, esempio di fede e di onore spirituale che si perfeziona nell'unione coniugale. A cominciare dal IV secolo si diffuse la festa di San Valentino protettore degli innamorati, ma anche festa dell'amore.
Concludo il Santo di Palmoli, è semplicemente un omonimo al S. Valentino presbitero e martire di Roma, se poi è veramente vissuto. Certo un omonimo lo è comunque!
IL MARTIRE VINCENZO DI ROMA, il “Santo” di Acate - (2)
Si legge in italreport.it
avendo italareport modificato il link riporto quello nuovo
Salvatore Cultraro, Acate (Rg), 19 gennaio 2015.- Il calendario liturgico ricorda il martirio di San Vincenzo, protettore di Acate, il 22 gennaio ma, come è ben noto, nella cittadina iblea il Santo Martire viene onorato e festeggiato la terza domenica dopo la Pasqua. Una scelta non certo arbitraria e casuale ma, che al contrario, si rifà ad una serie di motivazioni valide, anche se non matematicamente certe. Come riferisce don Rosario Di Martino nel suo volume, “Biscari e il suo Martire che sorride”, una delle motivazioni che giustificherebbero la scelta della terza domenica dopo Pasqua per i festeggiamenti, potrebbe essere suffragata dal fatto che il Corpo del Santo Martire sia arrivato a Biscari proprio in concomitanza della terza domenica dopo Pasqua del 1701 o 1702. Le prime notizie storiche, documentate, sulla prima festa solenne in onore del Santo si hanno a partire dal 1722, data della fine dei lavori di ricostruzione, a causa degli ingenti danni riportati dal terremoto del 1693, dell’antica chiesa di San Giuseppe, annessa al Castello e riaperta al culto proprio nel 1722, con il cambio di denominazione in chiesa di San Vincenzo, come si legge nel cartiglio marmoreo posto all’ingresso della sagrestia, per la presenza, sull’altare maggiore, del Corpo del Santo. Ma l’ipotesi più accreditata sarebbe un’altra. Sempre come ci riferisce don Rosario nella sua opera citata, nel calendario liturgico di alcuni Santi si celebrano due ricorrenze: la morte e la traslazione delle loro reliquie. E tra essi c’è anche San Vincenzo, Diacono di Saragozza, il quale si festeggia nel giorno del suo martirio, il 22 gennaio e nel giorno della sua traslazione da Costantinopoli, il 27 aprile. Ed infatti, già a partire dalla prima festa solenne in suo onore, quella del 1722, non si scelse la giornata del 22 gennaio, forse a causa del rigido periodo invernale, ma quella della sua traslazione, anticipata al 26 per non farla coincidere con la Pasqua, tradizione, questa, protrattasi nei secoli e giunta fino ai nostri giorni. I nostri avi, quindi, avrebbero preferito dare più risalto alla data della traslazione (giustamente, per non creare confusione con il diacono di Saragozza! Nulla a che vedere con la traslazione del Santo Diacono) del corpo del Martire, da Costantinopoli, città della Turchia. Una nazione, questa, che ci riporta alla memoria la nota leggenda sulla vita del Santo Martire, tramandata, per secoli, da padre in figlio. Secondo questa leggenda (come quella di Santa Fortunata di Baucina, una invenzione!), infatti, Vincenzo sarebbe stato un principe figlio unico di un re turco, educato al cristianesimo dalla madre, convertitasi all’insaputa dell’emiro suo marito. Vincenzo, quindi, avrebbe deciso di partecipare alla Prima Crociata, combattendo contro i suoi connazionali e lo stesso padre. Indubbiamente un’onta per il padre il quale, dopo averlo invano richiamato a riabbracciare la fede islamica, ne avrebbe ordinato la morte. Vincenzo colto di sorpresa mentre riposava sotto una palma, sarebbe stato, pertanto, ucciso dallo stesso padre con un colpo di scimitarra alla guancia destra. Questa la leggenda, sfatata però dalle ricerche storiche portate avanti da anni con successo, e suffragate da validissimi riscontri scientifici (ahahha ... le leggende non si sfatano con la scienza, basta il buon senso!), dal reverendissimo parroco, don Rosario Di Martino. Ricerche che hanno finalmente fatto luce sulla figura del Santo Martire, da secoli avvolta da un alone di mistero. Oggi, grazie a questi studi, sappiamo, con certezza quasi matematica che il corpo custodito nell’artistica urna di cristallo di Boemia ed esposto alla venerazione dei fedeli sull’altare maggiore dell’omonima chiesa, apparterrebbe a Vincenzo, giovane diacono spagnolo (certo, ma uno dei tanti, come già scritto nel BLOG, con puntuale dovizia... perché quello di Acate deve essere il vero e non quello di altri luoghi!), martirizzato durante le persecuzioni contro i cristiani, ordinate da Diocleziano nel 300 d.C. .... Successivamente, per salvaguardarlo dalle profanazioni dei Mori, il suo corpo sarebbe stato portato a Costantinopoli. E proprio dalla presenza delle reliquie del Santo Martire a Costantinopoli e per la loro misteriosa (ahahha!) traslazione a Roma (dicono così anche a Fara Novarese per San Damiano martire!!) presso le catacombe vaticane (???? al massimo romane), potrebbe essere nata la leggenda che lo voleva figlio di un emiro turco, generando, come ipotizza don Rosario nell’opera citata, “una certa confusione che ha storpiato il modo di chiamare il corpo del Santo: Santo Crociato invece di Santo del Crociato”. Rifacendosi, infatti, a numerosi storici, don Rosario ha rilevato che alcuni antenati dei Principi di Biscari, oltre ad avere avuto radici storiche a Saragozza e quindi devoti al Diacono Vincenzo, avrebbero preso parte a più di una Crociata.
Come già detto teorie raffazzonate! Un colabrodo di ipotesi che sfranano con la traslazione a Roma, per giunta in catacomba!
Luogo, la catacomba, o le catacombe, abbandonate e dimenticate fino alla fine del XVI secolo, che stando alle teorie acatesi, vengono usate per seppellire un bottino così importante per poi DIMENTICARLO ed essere ritrovato nel XVIII secolo ... ma mi faccia il piacere, direbbe Totò!
Torniamo al testo ...
Torniamo al testo ...
In modo particolare un tale, Perricone Castelli, presente in Terra Santa, quale Capitan Generale, nel 1188, durante la Terza Crociata. Il Perricone, conoscendo la devozione della propria famiglia nei confronti del Santo Diacono di Saragozza, è probabile che abbia trafugato le reliquie del Santo Martire per sottrarle alle scorrerie dei musulmani. Questo spiegherebbe il legame, anche se confuso, tra la leggenda e la realtà. Il corpo del Santo Martire, una volta recuperato dal crociato, sarebbe stato chiamato, il “Santo del Crociato”, denominazione, questa, che tramandata oralmente dalla tradizione popolare si sarebbe alterata in “Santo Crociato”.
Solite pie bugie! Uff ... Mi sembrano una logica di Testimone di Geova che trova la soluzione aggirando l'ostacolo!
un esempio trovato sul web |
Propongo al lettore di guardare la somiglianza con altri ricomposizioni di corpi delle catacombe per far capire che se fosse stato il diacono di Saragozza non avrebbero certo ricomposto da soldato o crociato o come lo si vuole chiamare.
Questo, che è San Generoso Martire, venerato a Ortona dei Marsi, è molto somigliate come fattura artistica a quello di Acate.
Altri esempi
San Fulgenzio martire Chiesa della Maddalena Lisbona, Portogallo |
Infine san Benedetto martire venerato a Vallebona, simile a quello di Acate: sorride?
Come già scritto sul BLOG: "ma povero "corpo santo" per dover dire qualcosa, come se fosse non sufficiente essere un semplice martire di Cristo, ne inventano una nuova in ogni periodo".
Questa è l'ultima: datata gennaio 2015!
Cari sacerdoti,
è sempre buona cosa un po' di umiltà e chiamare ogni cosa con il suo nome, come hanno fatto a Milazzo con S. Candida!
Pace, Gesù è risorto!
Pace, Gesù è risorto!