"Sabato 21 Settembre è stato beatificato nella Cattedrale di Bergamo l'umile cappuccino Tommaso da Olera.
La cerimonia è stata presieduta dal Card. Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, in rappresentanza di Papa Francesco e concelebrata dal vescovo di Bergamo mons. Francesco Beschi, dal vescovo di Innsbruck mons. Manfred Scheuer e da altri numerosi vescovi e rappresentanti della famiglia dei Frati Cappuccini.
All'altare è stata portata la reliquia del Beato Tommaso, una vertebra, riesumata nel marzo del 2012 mentre il volto che è stato scoperto è opera del maestro bergamasco Francesco Parimbelli".
Link per approfondire la figura del BEATO TOMMASO ACERBIS DA OLERA:
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Fra Tommaso da Olera
SANTI SENZA IL SAN
tratto 30Giorni n. 02 - 2003
Nonostante non sia ancora salito agli onori degli altari, questo frate del Cinquecento è ancora ricordato e invocato nelle vallate della Bergamasca. Tommaso era un illetterato, ma il popolo ne riconosceva la straordinaria umiltà e bontà, e i potenti la sapienza infusa dalla grazia. La raccolta delle sue opere era una delle letture preferite di Giovanni Roncalli
Sopra, la chiesa parrocchiale di Olera dov’è conservata la tela (nella foto a destra), attribuita a Giacomo Gritti (1819-1891) raffigurante fra Tommaso in ginocchio davanti all’Immacolata
I santi, anche prima di essere canonizzati, godono sovente di una spontanea venerazione nel popolo cristiano. Non sempre la loro fama è universale, come quella di padre Pio o di papa Giovanni XXIII: ma la dinamica non cambia, sia pure su scala ridotta. Può accadere, così, che un umile frate nato nel Cinquecento venga ancora ricordato, pregato e invocato nelle vallate della Bergamasca, benché non sia ancora salito all’onore degli altari: è il caso di fra Tommaso Acerbis, di Olera, un piccolo borgo della Val Seriana.
«Olera: un grappolo di povere case a 523 metri di altezza, attorniato da monti e rallegrato dal canto di un torrentello. Una straducola, stretta come un corridoio, a scalini di pietra, mi condusse nel cuore del paese. A due donne ravvolte, infreddolite, negli scialli, chiesi se avessero mai sentito parlare di fra’ Tommaso. “Oh, il beato Tommaso!”, mi risposero con calore. Me ne parlavano come se fosse uno di casa; ed io, con commozione crescente, le ascoltavo».
Ad appuntare queste note è il padre cappuccino Fernando da Riese, che giunse a Olera nel 1962 per raccogliere notizie su fra Tommaso. Mancava un anno al quarto centenario della nascita e i cappuccini pensavano a introdurre la causa di beatificazione. Padre Fernando restò sorpreso dalla vivida memoria che di lui serbava la sua gente, a distanza di quattro secoli dal suo passaggio.
«Non avrei mai creduto che ad Olera ci si ricordasse ancora del cappuccino bergamasco fra’ Tommaso Acerbis, che a 17 anni (nel 1580) partì dal paese natìo, per continuare il resto della sua vita nei conventi dei Cappuccini, coniugando in modo mirabile la vita del chiostro con quella sulle strade del nord Italia e del Tirolo».
A Olera, un edificio antico, ancora abitato dai discendenti degli Acerbis, famiglia di antica nobiltà decaduta, conserva sulla facciata lo stemma gentilizio. In questa casa nacque, sul finire del 1563, il futuro fra Tommaso. Negli stessi giorni si chiudeva il Concilio di Trento, l’Europa era ancora attraversata dal vento della Riforma. Bergamo e la Val Seriana facevano allora parte del territorio della Repubblica di Venezia. Il diciassettenne Tommaso bussò nel 1580 al convento dei frati cappuccini di Verona – la sua provincia ecclesiastica – per vestire il saio di san Francesco. Privo d’istruzione, Tommaso aveva maturato la vocazione, pascolando le pecore e vivendo in povertà con la famiglia. Altra scuola non ebbe, se non i tre anni di noviziato trascorsi a Verona, durante i quali i superiori gli insegnarono a leggere e scrivere, facendo eccezione alla regola di san Francesco che vieta espressamente a «quelli che non sanno lettere, d’impararle».
Eppure, da illetterato qual era, compose trattati di mistica e ascetica che furono raccolti, parecchi anni dopo la sua morte, sotto il titolo Fuoco d’amore e pubblicati nel 1682. Un testo che non ha mai avuto una vera e propria edizione critica, oggi in via di preparazione. Un volume amato e letto assiduamente da un altro grande bergamasco: Angelo Roncalli.
«Ricordo ancora l’impressione che mi fece, la gioia provata da papa Giovanni quando il 24 novembre 1959 ricevette in dono da un signore d’Innsbruck (dott. Giuseppe Mitterstiller) il libro Fuoco d’amore di fra’ Tommaso da Olera».
Chi scrive è monsignor Loris Capovilla, allora segretario di papa Giovanni:
«Rammento bene che il Papa asserì di ritrovare in esso una sua vecchia conoscenza, cioè questo laico cappuccino, di cui dalla sua giovinezza conosceva la vita, le opere, ed inoltre la fama di santità che godeva in Alto Adige […]. Papa Giovanni rileggeva frequentemente le pagine di questo Fuoco d’amore, che tenne sempre in evidenza sul suo tavolo, assieme ai libri di preghiera e di meditazione; anzi più volte me ne lesse copiose pagine, commentandole e pronunciando giudizi di alta stima e venerazione per il pio scrittore. […] Diceva che fra’ Tommaso doveva essere stato condotto certamente dallo Spirito del Signore a stendere pagine così limpide ed in conformità con l’ortodossa dottrina».
Nonostante gli studi compiuti con fervore e diligenza durante gli anni del noviziato veronese, il suo italiano rimase elementare e sgrammaticato. Eppure i suoi scritti rivelano una profondità spirituale e un’esattezza dottrinale sorprendenti. E un suo confratello, fra Ilarione da Mantova, annotava, a questo proposito:
«L’ho veduto molte volte doppo la Comunione ritirarsi in cella a scrivere cose di meditazioni della vita et passione del Signore; et havendomi egli alquante volte lette quelle sue opere spirituali doppo scritte, confidentemente mi affermava […] ch’egli per se stesso non poteva capire come havesse poste quelle cose in carta».
Per tutta la vita svolse lavori umili, «cercando l’elemosina, lavando le scudelle, facendo cucina et horto», come scrisse una volta. Sembra di rivedere in lui quel fra Galdino di manzoniana memoria che, in quella stessa terra lombarda, tra Bergamo e Lecco, bussa alla porta di Lucia per la questua e racconta la graziosa “parabola” del “miracolo delle noci”. Ma fra Galdino è soltanto un personaggio secondario nel grande affresco dei Promessi sposi. Fra Tommaso invece diventerà, a dispetto del suo ruolo di semplice frate cercatore, una personalità straordinaria per la sua epoca.
Dopo il suo definitivo ingresso nell’ordine cappuccino, a partire dal 1583, rimane a Verona fino al 1605, poi si sposta in diverse città del Veneto: Vicenza, Padova, Rovereto, fino al 1619. Ovunque si diffonde la fama di santità di questo “apostolo senza stola”. Visita malati, porta pace nelle contese, bussa alle porte dei poveri e dei ricchi per diffondere il Vangelo: il popolo ne riconosce la straordinaria umiltà e bontà, i potenti la sapienza infusa dalla grazia, di un illetterato capace di consigliare e correggere, guidare e confortare. La fonte di questa sapienza non era altro se non lo sguardo continuamente rivolto al crocifisso, com’è nella più schietta tradizione francescana. «Né ho mai letto una sillaba de’ libri» ebbe a scrivere, «ma bene mi fatico a leggere il passionato Christo».
Colpito dalla fama di santità di fra Tommaso, l’arciduca Leopoldo V, nel 1619, lo chiamò nel Tirolo, perché arginasse con il suo esempio e la sua predicazione la diffusione del luteranesimo nelle sue terre. Fra Tommaso, trasferito a Innsbruck, per dodici anni, fino al 1631, l’anno della morte, fu il più ascoltato consigliere dell’arciduca e venne ricevuto più volte dallo stesso imperatore Ferdinando II. Fu inoltre consigliere spirituale degli arcivescovi di Trento e di Salisburgo, ai quali suggeriva il modo migliore per applicare le riforme del Concilio Tridentino nelle loro diocesi. Tutto questo, senza mai trascurare i propri doveri, la questua quotidiana, il lavoro manuale, il contatto con la povera gente del Tirolo. “Der Bruder von Tirol”, il frate del Tirolo, era il soprannome che gli avevano dato. In questi anni fra Tommaso non rivide più la sua terra natale. Ma in Val Seriana, più che altrove, non ha mancato di far sentire, anche in tempi recenti, la sua intercessione.
«Come rintocco di campane fra le vallate» scrive ancora padre Fernando da Riese «così ad ogni generazione e per oltre quattro secoli, gli abitanti di Olera si trasmisero la devozione al loro conterraneo: invocandolo ad ogni stagione sia dell’anno che della vita e pregandolo di intercedere per tutto il borgo a difesa da ogni male fisico e morale. Lo ritenevano il loro miglior amico, “come un angelo da Dio mandato”, commenta uno scrittore antico».
Padre Fernando da Riese, che è stato il primo vicepostulatore della sua causa di beatificazione, raccolse molte testimonianze sulla intercessione di fra Tommaso a favore dei suoi conterranei.
«La signora Renata Zanchi, ventiquattrenne, nel settembre 1962 si trovò in condizioni disperate per una flebite da parto. I medici non sapevano più cosa fare e l’inferma si era oramai rassegnata a morire. I familiari corsero da me, mi fecero celebrare una messa in onore di fra’ Tommaso e, giorni dopo, la signora guarì perfettamente».
È, in breve, una delle testimonianze raccolte dalla viva voce dell’allora parroco di Olera don Franco Cavalieri. Nella chiesa, accanto alla tela che rappresenta la “vera effigie del gran servo di Dio fra’ Tommaso, cappuccino laico di Olera” inginocchiato dinanzi all’Immacolata, sono appesi cuori e tavolette votive.
Nella sua quotidiana fatica per difendere il credo cattolico e contrastare il calvinismo e il luteranesimo, a corte come tra la gente, fra Tommaso giungeva a intuire le profondità del mistero di Maria, di cui sono pervasi i suoi scritti. In essi, fra l’altro, è anticipata in modo limpido la formulazione del dogma dell’Immacolata concezione. E non solo negli scritti.
«Olera: un grappolo di povere case a 523 metri di altezza, attorniato da monti e rallegrato dal canto di un torrentello. Una straducola, stretta come un corridoio, a scalini di pietra, mi condusse nel cuore del paese. A due donne ravvolte, infreddolite, negli scialli, chiesi se avessero mai sentito parlare di fra’ Tommaso. “Oh, il beato Tommaso!”, mi risposero con calore. Me ne parlavano come se fosse uno di casa; ed io, con commozione crescente, le ascoltavo».
Ad appuntare queste note è il padre cappuccino Fernando da Riese, che giunse a Olera nel 1962 per raccogliere notizie su fra Tommaso. Mancava un anno al quarto centenario della nascita e i cappuccini pensavano a introdurre la causa di beatificazione. Padre Fernando restò sorpreso dalla vivida memoria che di lui serbava la sua gente, a distanza di quattro secoli dal suo passaggio.
«Non avrei mai creduto che ad Olera ci si ricordasse ancora del cappuccino bergamasco fra’ Tommaso Acerbis, che a 17 anni (nel 1580) partì dal paese natìo, per continuare il resto della sua vita nei conventi dei Cappuccini, coniugando in modo mirabile la vita del chiostro con quella sulle strade del nord Italia e del Tirolo».
A Olera, un edificio antico, ancora abitato dai discendenti degli Acerbis, famiglia di antica nobiltà decaduta, conserva sulla facciata lo stemma gentilizio. In questa casa nacque, sul finire del 1563, il futuro fra Tommaso. Negli stessi giorni si chiudeva il Concilio di Trento, l’Europa era ancora attraversata dal vento della Riforma. Bergamo e la Val Seriana facevano allora parte del territorio della Repubblica di Venezia. Il diciassettenne Tommaso bussò nel 1580 al convento dei frati cappuccini di Verona – la sua provincia ecclesiastica – per vestire il saio di san Francesco. Privo d’istruzione, Tommaso aveva maturato la vocazione, pascolando le pecore e vivendo in povertà con la famiglia. Altra scuola non ebbe, se non i tre anni di noviziato trascorsi a Verona, durante i quali i superiori gli insegnarono a leggere e scrivere, facendo eccezione alla regola di san Francesco che vieta espressamente a «quelli che non sanno lettere, d’impararle».
Eppure, da illetterato qual era, compose trattati di mistica e ascetica che furono raccolti, parecchi anni dopo la sua morte, sotto il titolo Fuoco d’amore e pubblicati nel 1682. Un testo che non ha mai avuto una vera e propria edizione critica, oggi in via di preparazione. Un volume amato e letto assiduamente da un altro grande bergamasco: Angelo Roncalli.
«Ricordo ancora l’impressione che mi fece, la gioia provata da papa Giovanni quando il 24 novembre 1959 ricevette in dono da un signore d’Innsbruck (dott. Giuseppe Mitterstiller) il libro Fuoco d’amore di fra’ Tommaso da Olera».
Chi scrive è monsignor Loris Capovilla, allora segretario di papa Giovanni:
«Rammento bene che il Papa asserì di ritrovare in esso una sua vecchia conoscenza, cioè questo laico cappuccino, di cui dalla sua giovinezza conosceva la vita, le opere, ed inoltre la fama di santità che godeva in Alto Adige […]. Papa Giovanni rileggeva frequentemente le pagine di questo Fuoco d’amore, che tenne sempre in evidenza sul suo tavolo, assieme ai libri di preghiera e di meditazione; anzi più volte me ne lesse copiose pagine, commentandole e pronunciando giudizi di alta stima e venerazione per il pio scrittore. […] Diceva che fra’ Tommaso doveva essere stato condotto certamente dallo Spirito del Signore a stendere pagine così limpide ed in conformità con l’ortodossa dottrina».
Nonostante gli studi compiuti con fervore e diligenza durante gli anni del noviziato veronese, il suo italiano rimase elementare e sgrammaticato. Eppure i suoi scritti rivelano una profondità spirituale e un’esattezza dottrinale sorprendenti. E un suo confratello, fra Ilarione da Mantova, annotava, a questo proposito:
«L’ho veduto molte volte doppo la Comunione ritirarsi in cella a scrivere cose di meditazioni della vita et passione del Signore; et havendomi egli alquante volte lette quelle sue opere spirituali doppo scritte, confidentemente mi affermava […] ch’egli per se stesso non poteva capire come havesse poste quelle cose in carta».
Per tutta la vita svolse lavori umili, «cercando l’elemosina, lavando le scudelle, facendo cucina et horto», come scrisse una volta. Sembra di rivedere in lui quel fra Galdino di manzoniana memoria che, in quella stessa terra lombarda, tra Bergamo e Lecco, bussa alla porta di Lucia per la questua e racconta la graziosa “parabola” del “miracolo delle noci”. Ma fra Galdino è soltanto un personaggio secondario nel grande affresco dei Promessi sposi. Fra Tommaso invece diventerà, a dispetto del suo ruolo di semplice frate cercatore, una personalità straordinaria per la sua epoca.
Dopo il suo definitivo ingresso nell’ordine cappuccino, a partire dal 1583, rimane a Verona fino al 1605, poi si sposta in diverse città del Veneto: Vicenza, Padova, Rovereto, fino al 1619. Ovunque si diffonde la fama di santità di questo “apostolo senza stola”. Visita malati, porta pace nelle contese, bussa alle porte dei poveri e dei ricchi per diffondere il Vangelo: il popolo ne riconosce la straordinaria umiltà e bontà, i potenti la sapienza infusa dalla grazia, di un illetterato capace di consigliare e correggere, guidare e confortare. La fonte di questa sapienza non era altro se non lo sguardo continuamente rivolto al crocifisso, com’è nella più schietta tradizione francescana. «Né ho mai letto una sillaba de’ libri» ebbe a scrivere, «ma bene mi fatico a leggere il passionato Christo».
Colpito dalla fama di santità di fra Tommaso, l’arciduca Leopoldo V, nel 1619, lo chiamò nel Tirolo, perché arginasse con il suo esempio e la sua predicazione la diffusione del luteranesimo nelle sue terre. Fra Tommaso, trasferito a Innsbruck, per dodici anni, fino al 1631, l’anno della morte, fu il più ascoltato consigliere dell’arciduca e venne ricevuto più volte dallo stesso imperatore Ferdinando II. Fu inoltre consigliere spirituale degli arcivescovi di Trento e di Salisburgo, ai quali suggeriva il modo migliore per applicare le riforme del Concilio Tridentino nelle loro diocesi. Tutto questo, senza mai trascurare i propri doveri, la questua quotidiana, il lavoro manuale, il contatto con la povera gente del Tirolo. “Der Bruder von Tirol”, il frate del Tirolo, era il soprannome che gli avevano dato. In questi anni fra Tommaso non rivide più la sua terra natale. Ma in Val Seriana, più che altrove, non ha mancato di far sentire, anche in tempi recenti, la sua intercessione.
«Come rintocco di campane fra le vallate» scrive ancora padre Fernando da Riese «così ad ogni generazione e per oltre quattro secoli, gli abitanti di Olera si trasmisero la devozione al loro conterraneo: invocandolo ad ogni stagione sia dell’anno che della vita e pregandolo di intercedere per tutto il borgo a difesa da ogni male fisico e morale. Lo ritenevano il loro miglior amico, “come un angelo da Dio mandato”, commenta uno scrittore antico».
Padre Fernando da Riese, che è stato il primo vicepostulatore della sua causa di beatificazione, raccolse molte testimonianze sulla intercessione di fra Tommaso a favore dei suoi conterranei.
«La signora Renata Zanchi, ventiquattrenne, nel settembre 1962 si trovò in condizioni disperate per una flebite da parto. I medici non sapevano più cosa fare e l’inferma si era oramai rassegnata a morire. I familiari corsero da me, mi fecero celebrare una messa in onore di fra’ Tommaso e, giorni dopo, la signora guarì perfettamente».
È, in breve, una delle testimonianze raccolte dalla viva voce dell’allora parroco di Olera don Franco Cavalieri. Nella chiesa, accanto alla tela che rappresenta la “vera effigie del gran servo di Dio fra’ Tommaso, cappuccino laico di Olera” inginocchiato dinanzi all’Immacolata, sono appesi cuori e tavolette votive.
Nella sua quotidiana fatica per difendere il credo cattolico e contrastare il calvinismo e il luteranesimo, a corte come tra la gente, fra Tommaso giungeva a intuire le profondità del mistero di Maria, di cui sono pervasi i suoi scritti. In essi, fra l’altro, è anticipata in modo limpido la formulazione del dogma dell’Immacolata concezione. E non solo negli scritti.
La chiesa dedicata all’Immacolata concezione di Maria, a Volders, in Tirolo, voluta da fra Tommaso Acerbis
A Volders, sulle rive del fiume Inn, nel Tirolo, sorge una chiesa dedicata all’Immacolata concezione di Maria, che fu voluta da fra Tommaso e portata a termine, ventitré anni dopo la sua morte, da Ippolito Guarinoni, medico di corte a Innsbruck, figlio spirituale e grande amico di fra Tommaso. Era il 1654, esattamente duecento anni prima della proclamazione del dogma da parte di Pio IX.
Forse anche per questo papa Giovanni amava tanto gli scritti di fra Tommaso, tanto da volerli ascoltare come lettura spirituale, anche sul letto di morte. Scrive ancora monsignor Capovilla:
«Negli ultimi giorni di sua vita, specie da quando cominciò a restare a letto – il 20 maggio 1963 – papa Giovanni volle che a turno – il sottoscritto, l’infermiere fra’ Federico Bellotti, e i giovani aiutanti Guido e Giampaolo Gusso – gli leggessimo oltre a pagine dell’Imitazione di Cristo, del breviario, e di altri libri di pietà, copiosi brani del Fuoco d’amore. Della delizia che riceveva da questa lettura egli ne parlava con tutti i visitatori, a cominciare dal suo confessore monsignor Cavagna, addirittura con i medici, sino alle suore e al personale di servizio».
Sono molti i motivi di interesse dei trattati raccolti nel Fuoco d’amore di fra Tommaso. Ad esempio, i sette capitoli dedicati al Cuore di Gesù, che anticipano di trent’anni le rivelazioni di Gesù a santa Margherita Maria Alacoque, che tanta parte avranno nella spiritualità occidentale degli ultimi secoli.
Le lunghe meditazioni sul cuore trafitto di Gesù richiamano alla memoria L’incredulità di Tommaso, opera di un altro grande bergamasco, Caravaggio, che fu contemporaneo di fra Tommaso e con lui ebbe in comune, oltre che la nascita, la frequentazione costante degli ambienti più umili così come delle case dei potenti.
Sono questi, insieme a molti altri, i motivi che hanno spinto il vescovo di Bergamo, Roberto Amadei, a richiamare, nel 2000, con una lettera aperta al Papa, la speranza che fra Tommaso – di cui nel 1987 sono state proclamate le “virtù eroiche” – sia presto beatificato. Si attende ora una guarigione prodigiosa, supportata da riscontri scientifici. Ma la gente di Olera non ha dubbi che la sua intercessione sia, da più di quattro secoli, operante e potente.
«A colloquio con le persone del borgo» scrive ancora padre Fernando da Riese «alle quali chiedemmo di fra’ Tommaso, le riposte furono sempre piene di venerazione e di fede nel suo patrocinio. E, invariabilmente, al nome di fra’ Tommaso premettevano l’appellativo di beato. Rimasi piacevolmente sorpreso da questa memoria viva. La mattina seguente, mentre stavo per partire, il parroco mi presentò la signora Orsola Acerbis in Schiavi che, con piacere evidente, mi disse: “Da diciassette anni, ogni giorno, io recito nove Gloria Patri al beato Tommaso. Il beato Tommaso m’ha salvato un figlio. Si chiama Romano e ora conta vent’anni. Nel gennaio 1960 fu sorpreso da emiplegia: non poteva più muovere né braccio né gamba sinistri. Quando lo portarono all’ospedale di Bergamo, io corsi nella nostra chiesa e m’inginocchiai all’altare dove si conserva la tela del beato Tommaso in ginocchio davanti all’Immacolata. Alzando verso la sacra immagine una camicia di mio figlio, pregai il beato che mi facesse la grazia. Poi andai anch’io all’ospedale, portando con me la camicia benedetta. Romano la indossò e notò in lui una cosa “strana”. S’accorse che riusciva a muovere la mano sinistra, poi il braccio, poi la gamba. In pochi giorni me lo son visto tornare a casa completamente guarito. Da allora sta bene, lavora e non accusa il benché minimo disturbo. Per provare quanto mi stava raccontando, chiamò il figlio e me lo mostrò. Era un giovanottone alto e dal colorito pieno. Lui stesso mi disse che ogni giorno pregava il suo potente benefattore. Tornando verso il mio convento del Veneto, a Padova, mi riconfermai ancor di più che il venerabile fra’ Tommaso da Olera non solo merita d’essere fatto conoscere come un personaggio illustre di un tempo lontano […], ma anche – e soprattutto – farlo amare ed invocare: come si fa con un santo, sicuri di essere da lui ascoltati ed esauditi».
Forse anche per questo papa Giovanni amava tanto gli scritti di fra Tommaso, tanto da volerli ascoltare come lettura spirituale, anche sul letto di morte. Scrive ancora monsignor Capovilla:
«Negli ultimi giorni di sua vita, specie da quando cominciò a restare a letto – il 20 maggio 1963 – papa Giovanni volle che a turno – il sottoscritto, l’infermiere fra’ Federico Bellotti, e i giovani aiutanti Guido e Giampaolo Gusso – gli leggessimo oltre a pagine dell’Imitazione di Cristo, del breviario, e di altri libri di pietà, copiosi brani del Fuoco d’amore. Della delizia che riceveva da questa lettura egli ne parlava con tutti i visitatori, a cominciare dal suo confessore monsignor Cavagna, addirittura con i medici, sino alle suore e al personale di servizio».
Sono molti i motivi di interesse dei trattati raccolti nel Fuoco d’amore di fra Tommaso. Ad esempio, i sette capitoli dedicati al Cuore di Gesù, che anticipano di trent’anni le rivelazioni di Gesù a santa Margherita Maria Alacoque, che tanta parte avranno nella spiritualità occidentale degli ultimi secoli.
Le lunghe meditazioni sul cuore trafitto di Gesù richiamano alla memoria L’incredulità di Tommaso, opera di un altro grande bergamasco, Caravaggio, che fu contemporaneo di fra Tommaso e con lui ebbe in comune, oltre che la nascita, la frequentazione costante degli ambienti più umili così come delle case dei potenti.
Sono questi, insieme a molti altri, i motivi che hanno spinto il vescovo di Bergamo, Roberto Amadei, a richiamare, nel 2000, con una lettera aperta al Papa, la speranza che fra Tommaso – di cui nel 1987 sono state proclamate le “virtù eroiche” – sia presto beatificato. Si attende ora una guarigione prodigiosa, supportata da riscontri scientifici. Ma la gente di Olera non ha dubbi che la sua intercessione sia, da più di quattro secoli, operante e potente.
«A colloquio con le persone del borgo» scrive ancora padre Fernando da Riese «alle quali chiedemmo di fra’ Tommaso, le riposte furono sempre piene di venerazione e di fede nel suo patrocinio. E, invariabilmente, al nome di fra’ Tommaso premettevano l’appellativo di beato. Rimasi piacevolmente sorpreso da questa memoria viva. La mattina seguente, mentre stavo per partire, il parroco mi presentò la signora Orsola Acerbis in Schiavi che, con piacere evidente, mi disse: “Da diciassette anni, ogni giorno, io recito nove Gloria Patri al beato Tommaso. Il beato Tommaso m’ha salvato un figlio. Si chiama Romano e ora conta vent’anni. Nel gennaio 1960 fu sorpreso da emiplegia: non poteva più muovere né braccio né gamba sinistri. Quando lo portarono all’ospedale di Bergamo, io corsi nella nostra chiesa e m’inginocchiai all’altare dove si conserva la tela del beato Tommaso in ginocchio davanti all’Immacolata. Alzando verso la sacra immagine una camicia di mio figlio, pregai il beato che mi facesse la grazia. Poi andai anch’io all’ospedale, portando con me la camicia benedetta. Romano la indossò e notò in lui una cosa “strana”. S’accorse che riusciva a muovere la mano sinistra, poi il braccio, poi la gamba. In pochi giorni me lo son visto tornare a casa completamente guarito. Da allora sta bene, lavora e non accusa il benché minimo disturbo. Per provare quanto mi stava raccontando, chiamò il figlio e me lo mostrò. Era un giovanottone alto e dal colorito pieno. Lui stesso mi disse che ogni giorno pregava il suo potente benefattore. Tornando verso il mio convento del Veneto, a Padova, mi riconfermai ancor di più che il venerabile fra’ Tommaso da Olera non solo merita d’essere fatto conoscere come un personaggio illustre di un tempo lontano […], ma anche – e soprattutto – farlo amare ed invocare: come si fa con un santo, sicuri di essere da lui ascoltati ed esauditi».
I visited the Capuchin church in Innsbruck a few days before his beatification. But they did not have any holy cards of him.
RispondiEliminaCiao!
RispondiEliminapossiedo molti santini del Beato anche con reliquia ex indumentis, invierò in futuro.
Mi piacerebbe andare anche a me a Innsbruk :) per ora mi accontento di poter essere ritornato a Olera. Conosco il nuovo beato da molti anni e sono state molte volte nel suo paese natio.