domenica 10 marzo 2013

IV DOMENICA DI QUARESIMA - LAETARE (ANNO C)





Un altro tema di conversione – ripercorrendo il cammino di domenica scorsa – è quello della dignità della persona.

In questa IV Domenica di Quaresima, l’intento della Parola è quello di comunicarci la gioia: è la gioia di Israele che rientra nella terra promessa – dopo “l’infamia dell’Egitto” – e fa festa celebrando la Pasqua, come memoria della liberazione ottenuta da Dio per mezzo del suo servo Mosè.

Il Salmo, nel suo ritornello, ci ha fatto pregare “Gustate e vedete com’è buono il Signore”: siamo al giro di boa della Quaresima e la gioia pasquale, che è la gioia per la salvezza, frutto del nostro cammino di conversione, si fa sentire in tutta la sua dolcezza.

Al centro di questo lieto annuncio gioioso si colloca la parabola detta del “figliol prodigo”, o del “padre misericordioso”. Si tratta della nostra dignità filiale ritrovata: senso di tutto il cammino quaresimale, tornare ad essere figli nel Figlio.
È una parabola ben conosciuta: “Un uomo aveva due figli. Il più giovane… Il figlio maggiore… Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Dopo pochi giorni, il figlio più giovane partì per un paese lontano... vivendo in modo dissoluto”. (Lc 15)
Il figlio minore decide di tornare a casa, e crede di aver  compromesso la propria dignità a causa del peccato commesso verso Dio e verso il padre: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati” (Lc 15).
Ma il padre non da’ retta a queste parole e ordina subito una festa che è quasi una glorificazione del figlio ritornato: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi” (Lc 15,22-23). Egli si affretta così a ripristinare esteriormente i segni di quella inalienabile dignità che il figlio credeva di avere perduta per sempre.
Al centro del messaggio della parabola, sta quindi la rivelazione della dignità della persona.
Il peccato non cancella, ma allontana dalla dignità naturale di ogni persona. In generale il male non cancella la dignità della persona, ma copre quella dignità.
La dice anche la Costituzione italiana, articolo 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità ...”
Un cammino di conversione e di perdono elimina il male e il peccato facendo riemergere la dignità nascosta!
La dignità umana è perciò essenzialmente divina e filiale, inalienabile, indistruttibile come il “carattere” sacramentale impresso dal Battesimo.
Come un gioiello che il fango può solo sporcare, essa non va perduta a causa dei peccati che si commettono, ma solo offuscata nel suo splendore.
Per questo il padre della parabola non può permettere al figlio di completare la sua confessione con la terribile frase: “Trattami come uno dei tuoi salariati” (Lc 15)
Ci si può allora chiedere come questo figlio “più giovane” abbia potuto pensare una cosa simile, sia di suo padre che di se stesso.
Il fatto è che nemmeno quando stava in casa conosceva la persona di suo padre, altrimenti non se ne sarebbe andato con quella richiesta ed in quel modo. Egli credeva che la sua dignità era la sua illimitata libertà, ma la sua libertà era vera solo dentro un relazione di paternità. Di conseguenza, egli non poteva nemmeno avere una coscienza piena della propria dignità di figlio.
“Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione” (2 Cor 5)
In effetti poi, pur essendo egli “ritornato in sé” (Lc 15,17), aveva fatto un esame di coscienza superficiale, riconoscendo solamente la propria ingratitudine e il peccato commesso, ma non aveva colto la luce della verità del suo rapporto profondo con il padre. Non si era riconciliato, ma si era solo accusato!
Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio” (2 Cor 5)
Spinto dalla fame, egli aveva ragionato da “figlio maggiore”, senza porsi dal punto di vista del cuore del padre. La fame non poteva essere sufficiente a fargli capire la propria dignità di figlio, dal padre immensamente amato. Doveva fare l’esperienza sconvolgente di un’accoglienza che mai si sarebbe aspettato: “Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò” (Lc 15).
Capì in quel momento che la vera “sostanza” del padre, il suo vero “patrimonio”, era il suo immenso cuore, e la gioia di sapersi suo figlio: solo l’amore suscita dignità!
Il perdono è il più alto grado dell’amore!
Concludo con un pensiero di San Giovanni Crisostomo: “niente ci fa somigliare tanto a Dio come l’essere sempre disposti a perdonare”. Amen.

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