Solennità - compatrono della Diocesi
“Fulgida gemma dei pastori”
Così orazione Colletta definisce il vescovo Carlo Borromeo.
Ma chi è il Santo Borromeo?
La sua vita è ben descritta dalla Parola di Dio che abbiamo or ora ascoltata.
Carlo Borromeo. Un uomo che rifulse per la virtù della carità al prossimo, così come ci racconta la I lettura.
La santità infatti è “perfezione della carità” afferma la Lumen Gentium.
Scrive Mons. Navoni: “Alessandro Manzoni volle immortalare la figura di Carlo Borromeo come santo della carità, soprattutto in riferimento alla peste che devastò Milano nel 1576 …In tale circostanza la carità del vescovo si dispiegò in maniera così generosa, che a quel periodo di sciagura si sovrappose la sua figura paterna: da allora «fu chiamata, ed è tuttora, la peste di san Carlo. Tanto è forte la carità!». Per soccorrere gli appestati fece predisporre un ricovero e diede disposizione di asportare dal suo palazzo tutto quanto occorresse: tappezzerie, tende, coperte, tovaglie, addobbi, qualunque tessuto, fino ad arrivare alle sue vesti personali, così che si potessero confezionare vestiti da distribuire ai bisognosi. Si potrebbe dire che, non avendo potuto ospitare quella massa di gente per ovvi motivi di disponibilità di spazio e di cautela in tempi di contagio, non avendo potuto portare loro a casa sua, volle portare la sua casa a loro: e infatti il tetto che li riparava, le mura che li accoglievano, i vestiti che li ricoprivano, gli utensili che usavano, era tutto del vescovo, il vero padre dei poveri”
Carlo Borromeo. Un uomo che visse la dignità della propria vocazione, se pur egli fu avviato alla vita ecclesiastica per consuetudine.
Scrive Mons. Navoni: “in quanto figlio cadetto, secondo le consuetudini del tempo, venne destinato alla carriera ecclesiastica e a soli sette anni ricevette la tonsura, cioè entrò a far parte del clero. Quando lo zio materno, il cardinale Gianangelo Medici, divenne papa con il nome di Pio IV , secondo una prassi in voga nella Chiesa rinascimentale, lo chiamò al suo servizio creandolo cardinale ad appena ventun anni e affidandogli l’incarico di dirigere la curia romana, con un ruolo di primo piano che potrebbe essere paragonato oggi a quello del cardinale segretario di Stato. Dunque una carriera ecclesiastica fulminea e folgorante, quella di Carlo Borromeo, dovuta anche alla “fortuna” di avere uno zio papa. Fortuna o provvidenza? Come per ogni santo, anche per Carlo Borromeo, ci fu il momento della “conversione”. Infatti, quando nel 1562 il fratello maggiore improvvisamente muore, si sentì chiamato da questo fatto tragico a rivedere l’impostazione della sua vita e a prendere una decisione. Sappiamo che la sua carriera ecclesiastica si era sviluppata in maniera automatica per un figlio cadetto di una famiglia nobile che poteva vantare uno zio papa! Ora però diventava lui l’erede di tutto: avrebbe potuto decidere di abbandonare la condizione ecclesiastica per portare avanti la linea dinastica. E invece la morte del fratello provocò in lui un vero e proprio “trauma” di carattere religioso: decise consapevolmente di rinunciare alla brillante vita mondana che avrebbe potuto condurre come erede della ricca e nobile famiglia Borromeo, e decise altrettanto consapevolmente di “regolarizzare” la propria situazione ecclesiastica. Era già stato preconizzato arcivescovo di Milano e capì che quella era la volontà di Dio sulla sua vita; né volle tornare indietro. E così il 17 luglio 1563 si fece ordinare prete e il 7 dicembre (festa di sant’Ambrogio) ricevette l’ordinazione episcopale”.
Capì quindi San Carlo, che la propria vocazione era la speranza in cui era chiamato da Dio.
Infatti dice sempre al Lumen gentium: “È dunque evidente per tutti, che tutti coloro che credono nel Cristo di qualsiasi stato o rango, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana”.
Il suo stato vocazionale, il suo rango sociale, era il luogo in cui Il Signore lo chiamava alla pienezza della vita cristiana.
Carlo Borromeo come dice l’Apostolo, nella II lettura, ebbe un dono nella sua vocazione. Ripropose nel XV I secolo l’ardore apostolico, che gli fece compiere numerosi viaggi in tutta la diocesi (allora era ben più ampia che oggi, comprendeva ad esempio il Canton Ticino); fu un profeta del suo tempo, tanto da essere esempio per altri vescovi da subito e per i secoli a divenire; un entusiasta evangelizzatore: sia nel suo operare di persona che nell’esortare la formazione cristiana del clero e del popolo.
Edifico e rinnovò la Chiesa di Milano, a tal punto che i suoi insegnamenti sono ancora presenti.
Esorto alla santità personale. Rifulse di santità, compiendo in se stesso la “misura della pienezza di Cristo”. Ma anche esortò alla santità di vita, progettando percorsi adeguati per ogni categoria.
Scrive Mons. Navoni: “Secondo la spiritualità dell’epoca, la peste del 1576 fu percepita da san Carlo come un appello di Dio al senso del peccato, alla conversione, alla penitenza e alla espiazione. Tutto ciò lo portò ad accentuare nella sua vita le pratiche penitenziali e ascetiche: preghiere prolungate, digiuni, veglie notturne, sopportazione delle sofferenze, indifferenza per la propria salute fisica. Ebbe sempre particolare devozione per il Crocifisso, ma negli ultimi anni di vita, attraverso un’ascesi personale molto rigorosa, intensificò la contemplazione della passione del Signore, della valore rendentivo della Croce, del mistero della sua sepoltura, come se volesse identificarsi con Cristo crocifisso.”
Questa sua spiritualità emergeva nella sua vita, nelle sue relazioni, nelle sue scelte.
Un uomo , Carlo Borromeo, che si impegnava di vivere con l'aiuto di Dio, a mantenere e perfezionare la santità battesimale che aveva ricevuto. (Cfr Lumen gentium, 5)
San Carlo, un pastore che offre la vita per le sue pecore.
Scrive Mons. Navoni: “Alla fine di ottobre del 1584, dopo aver visitato per la quarta volta a Torino la Santa Sindone, si ritirò al Sacro Monte di V arallo per gli esercizi spirituali: il suo fisico era già debilitato dalle veglie e dai digiuni e il luogo era umido e malsano. Colto da febbre, venne trasportato a Milano, dove morì la sera del 3 novembre, a soli 46 anni di età. Il papa di allora, Gregorio XIII, informato della morte del Borromeo, esclamò: «Un gran lume si è spento in Israele»”
Celebrare San Carlo è gioire per la bellezza di tante anime che hanno edificato la nostra Chiesa, rendendola bella e feconda nella fede.
Celebrare San Carlo è ringraziare il Signore perché in ogni tempo della storia manda il suo Spirito che accompagna l’umanità a vivere la pienezza della vita evangelica.
Celebrare la solennità di San Carlo è ricordarci della possibilità che la santità è anche per ciascuno di noi. Gesù, il Buon Pastore, rende possibile quello che a noi sembra impossibile: basta seguire Lui, e a noi sarà spianata una via di vera santità, cucita su ciascuno di noi.
Concludo con un pensiero sulla santità a me molto caro:
"Guardiamo i santi, ma non soffermiamoci troppo a contemplarli, piuttosto contempliamo con loro Colui la cui contemplazione ha riempito la loro vita (...) Prendendo da ciascuno quel che ci sembra più conforme alle parole e agli esempi di nostro Signore Gesù, nostro solo e vero modello".
(beato Carlo di Gesù)
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