sabato 20 ottobre 2012

Il santo missionario dei briganti

di Giulio Andreotti




(... ) Il santo nasce nel 1786 in Roma (e senza fare del campanilismo non dispiace il sottolinearlo) in un momento storico particolarmente movimentato, con la Santa Sede alle prese con le conseguenze tumultuose della sanguinosa Rivoluzione francese. Giovanetto, frequenta la Chiesa del Gesù attigua alla sua abitazione di Palazzo Altieri. Lo attrae in modo particolare il santo missionario Francesco Saverio e si sente per un momento portato verso la Compagnia. Ma non era questo il disegno della Provvidenza. La sua vocazione era per il sacerdozio secolare, ma non davvero in una visione statica.
Nel vocabolario dialettale romano – ormai in disuso – vi era un’espressione per indicare una persona dalla vita calma e privilegiata: “Sta come un canonico (alcune volte si diceva anche: “Sta come un papa”).

Nel primo decennio dell’Ottocento correvano tempi di certo non agevoli né per il Papa né per i canonici. Così il novello canonico di San Marco, don Gaspare, si trova dinanzi al bivio drammatico della imposizione al clero del giuramento di fedeltà all’imperatore contro le direttive papali. Alcuni si piegavano ma il canonico del Bufalo no. È lapidaria la sua risposta, pur sapendo che questo voleva dire l’esilio: «Non debbo, non posso, non voglio». Di qui il suo allontanamento coatto da Roma con una prima destinazione a Imola, poi a Bologna, indi per sette mesi nel carcere di San Giovanni a Monte e più tardi a Lugo. Lo raggiunge, nel primo anno di allontanamento, la notizia della morte della madre. Soffre ma non deflette e afferma una sua superiorità. In una sua lettera dice: «Scrivo queste poche righe per non incomodare chi presiede alla revisione». Il cerchio si stringe ulteriormente. Chi non giura non può restare nello Stato del papa. Così don Gaspare, via Firenze, raggiunge altri esiliati in Corsica.
Ha modo in questi lunghi anni di conoscere meglio i confratelli nel sacerdozio e di impostare un modello di aggiornamento del clero che si concretizzerà, al ritorno a Roma, nella creazione della Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue. Rinuncia al canonicato e si dedica con profondità a quest’opera di rinnovamento sacerdotale e di apostolato popolare. I nuclei di sacerdoti e di collaboratori si irradieranno prodigiosamente. Il primo verrà collocato nel piccolo comune umbro di Giano nel 1815.
Crocefisso in mano, i missionari del Preziosissimo Sangue faranno nei singoli centri giornate di meditazione, di dialoghi, di confessioni. Segue, quattro anni più tardi, la casa di Pieve Torina, presso Camerino. Nel 1821 è la volta di Albano, che sarà un punto cardine per la Congregazione. Di qui si irradiano in Romagna, ma specialmente nella difficile area ciociara allora denominata di Marittima e Campagna, infestata dai briganti.

Più di un secolo dopo, lavorando in modo capillare per il mio compito politico in tutti i comuni del basso Lazio, ho trovato in molte tradizioni locali tracce di questi risvegli organizzati di vita religiosa: da Terracina a Sonnino, da Sermoneta a quella Vallecorsa legata alla santa De Mattias. Anche nella cittadina dei miei genitori, Segni, mi mostrarono documenti di archivio con proteste perché i gonfalonieri avevano tagliato il piccolo tributo necessario per organizzare una nuova missione. Qui il discorso dovrebbe andare al disagio della coesistenza tra poteri religiosi e poteri di rappresentanti per così dire terreni dei papi. Ci sarebbe voluto molto tempo e molta acqua doveva scorrere sotto i ponti del Tevere prima di poter sentire (come sentimmo dal cardinale Montini) che il potere temporale era un peso da cui finalmente la Chiesa venne liberata.Per il momento la diarchia dei vescovi e dei legati pontifici continuava non senza incomprensioni e disagi.
Non mancarono critiche e anche calunnie (ma quale fondatore non ha avuto questo tipo di sofferenze?).

I maldicenti trovano purtroppo credito anche là dove non dovrebbero. Così in uno scambio di lettere tra personaggi di Curia si registra l’accusa ai sacerdoti della Congregazione di non osservare l’astinenza del venerdì, peggio, di aver contatto con i briganti. Fu facile a don Gaspare smentire il primo addebito e spiegare che senza contattarli sarebbe stato difficile adempiere al mandato di far tornare questi malfattori sulla strada giusta.
Circa i briganti stessi, in una lettera del novembre 1823 il santo scrive: «Tre grazie poi io le richiedo con la presente. La prima d’interporre i suoi buoni offici presso Nostro Signore per la remissione dei pochi briganti rimasti, mentre si accerti, e ne sia lode a Dio, che dallo stabilimento delle case di missione la Provincia presenta una notabile mutazione». In un foglio del 1824, dice: «Sul brigantaggio, posto che non si è creduto dare un qualche benigno ordine nel principio del pontificato presente: 1. Si riassuma il sistema del ricovero nelle chiese ed asilo ecclesiastico, dicendo, per esempio: questo giova anche per chi ramingo si trovasse, e così per indirectum s’influirebbe a minorare o togliere gli stessi briganti; 2. Si mettano le selve, dette sacre, parimenti di asilo. L’ottimo altrimenti è contrario al bene; 3. Non si dia per massima ascolto ai memoriali ciechi. Taccio altre cose, perché a me basta predicare e confessare».
D’altra parte forse proprio il rigore di vita delle case della Congregazione creava comparazione disagevole per un certo modo comodo che dominava in giro.
Ma proprio a Frosinone si svolse un difficile e lungo episodio di incomprensione, con intreccio d’interessi di proprietari immobiliari e l’esclusivismo di una comunità claustrale.
Il richiamo al rigore che i missionari facevano e il successo nell’indurre a bruciare libri cattivi, a consegnare armi proibite, a far pubbliche penitenze disturbava le abitudini di ordinaria amministrazione di certo clero che in alcuni centri era molto più numeroso del necessario e talvolta pigro e senza iniziative.

La Regina del Preziosissimo Sangue, l’immagine che san Gaspare portava nelle missioni
La Regina del Preziosissimo Sangue, l’immagine che san Gaspare portava nelle missioni
Leggo alcuni passi negli atti del processo canonico: «Fu per il Servo di Dio cosa sempre dolorosa il vilipendio del clero, però non poteva dissimulare i bisogni grandi della Chiesa. Più volte deplorava lo stato misero in cui ci troviamo e parlava della necessità di una riforma, che doveva avere principio dal sacro. “Preghiamo” diceva, “e preghiamo assai per la riforma dei tempi”».
Con grande umiltà, ma con non minore fermezza scriveva: «Sarebbe un atto assai pio fare conoscere a Sua Santità che tolga ogni idea di commissione speciale... né ciò lede la stima di chi che sia... Così anche far rilevare che non è giusto che gli ecclesiastici siano sindacati dai ministri di polizia... Tali ingerenze toccano ai vescovi». Il 20 di giugno 1825 scrive così: «Un’anima grande... mi fa dire dal suo direttore che dicasi al Santo Padre che se non si principia la riforma e principiando dal sacro, noi siam vicini a nuovi flagelli. Io ho in pronto alcuni fogli intitolati: Claustrali, Clero, Nobili... Oltre le altre memorie rimesse in altre occasioni».
E più avanti: «Il Romano Pontefice dirami un’enciclica ai vescovi acciò riassumano il nervo dell’ecclesiastica disciplina ed insistano sulle leggi sinodali da modificarsi se occorra. In questa enciclica si parli del rimedio necessario alle oscenità di pittura, rami ed altro di simile oggetto. Inoltre, si raccomandi loro la vigilanza sul vestiario delle donne e sui punti insomma i più interessanti della riforma».
«Altra enciclica rendesi necessaria a tutti i principi facendo ad essi amorosamente conoscere come, decaduta la pietà, l’educazione, la dipendenza dalla Chiesa, a repentaglio sono stati i loro troni».
«In punto prelati, oimè! che vedesi oggidì, parlando in genere. Accomunarsi a conversazioni di brio, a danze, a veglie... e come ciò? E come conciliabile con la riserva ecclesiastica e con l’adempimento dei sacri canoni? E con che cuore potransi ritogliere nei secolari tante cose, causa di effeminatezza e cose simili, se portano ad esempio il prelato, il costituito in dignità, e talvolta finanche si è stampato nei fogli pubblici il dettaglio di certi divertimenti e nominati in essi i soggetti intervenuti con vilipendio vero della dignità a cui non sono proporzionati? Le Delegazioni, in specie, sono queste da affidarsi alle persone le più mature».
«Il clero, oimè! qual bisogno è in esso e di scienza e di santità! E quanto interessa reggere le nostre Case di Missioni e Spirituali Esercizi a scuotere dall’inerzia, ad accreditare gli ecclesiastici presso i popoli, a distaccarli dall’amore dei parenti, dalla roba e dalla oziosità. Tolti i parroci ed i canonici, gli altri del clero nei convitti, tanto celebri nei primi tempi della Chiesa, e dai quali ogni bene si dirama alle rispettive diocesi; ed oh quanti operai si invierebbero anche alle missioni estere di Propaganda! Ma a questo gran bene, che è la pupilla degli occhi di Dio, conviene unire il convitto dei giovani che, sortiti dai seminari, han bisogno formarsi alle parrocchie, ai ministeri, alla coltura della vigna di Gesù Cristo».

La scuola di economia domestica presso la missione di Manyoni in Tanzania
La scuola di economia domestica presso la missione di Manyoni in Tanzania
«La riforma non presenta tuttora i suoi veri principi. Orabimus igitur coram Domino, a quo omne bonum... Tutte le carte che io scrissi in varie epoche, le avrà sicuramente date al Santo Padre. Io temo di qualche gran castigo, perché fin qui le basi della riforma non si vedono. Oremus ergo provoluti coram Domino... Sa perché ho detto che la riforma non è principiata? Perché questa deve principiare dal sacro... Si fa, ma non con quella imponenza di principi, di encicliche... Diciamo il di più nelle Piaghe del Signore. I nostri peccati ritardano le grazie, i lumi, le misericordie».


Leggo un altro passo sempre negli atti del processo canonico: «Dico che tutto il quadro delle cose, mentre a tanti sembra in regola, in punto sacro non può essere più lacrimevole. A me non compete fare altro che pregare, tacere e patire. Per esempio, l’episcopio di Pontecorvo è a uso di affari politici ed il Vescovo non ha ove andare. E si sta nello Stato Pontificio. Quanti altri luoghi pii ridotti a tale metodo di unire e regolari e militari. Si è dato mai un assesto a punti di tale relazione, tacendo di altri? E Dio non è pago di noi».
Certamente è impossibile interpretare con fedeltà questi richiami e questi commenti accorati se non li si inquadra nelle tormentate vicende del papato in quegli anni, fatte di prevaricazioni civili, di umiliazioni, di tentativi di conciliazione spesso disattesi, di impossibilità perfino di una ordinaria amministrazione della Chiesa e dello Stato.
Lungo la relativamente breve vita di san Gaspare (1786-1837) si susseguirono ben cinque papi: Pio VI, Pio VII, Leone XII, Pio VIII e Gregorio XVI; la storia di tutti e cinque fu quasi sempre drammatica e spesso avvilente.

Santa messa presso la parrocchia di Chibumagwa in Tanzania
Santa messa presso la parrocchia di Chibumagwa in Tanzania
Le lamentele perché con le loro missioni don Gaspare e i suoi sacerdoti disturbavano i superiori arrecavano al santo amarezza, ma non lo distoglievano da una precisa vocazione riformatrice. Del resto l’arcivescovo di Camerino, che era andato a visitare il papa Leone XII infermo, alla presenza anche di altri vescovi raccolse questo suo giudizio: «Il canonico del Bufalo è un angelo, un santo e un dotto». (...)


FONTE: 30Giorni
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La memoria liturgica è il 21 ottobre.

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