mercoledì 29 febbraio 2012

SULLA VIA DELLA CROCE (2)

2 giorno
I piedi di Giuda

Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi. In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica. Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto, ma deve compiersi la Scrittura: Colui che mangia il mio pane ha alzato contro di me il suo calcagno. Ve lo dico fin d'ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che Io Sono. In verità, in verità io vi dico: chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato». (Gv 13, 12-20)

Venuto il mattino, tutti i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù per farlo morire. Poi lo misero in catene, lo condussero via e lo consegnarono al governatore Pilato.
Allora Giuda - colui che lo tradì -, vedendo che Gesù era stato condannato, preso dal rimorso, riportò le trenta monete d'argento ai capi dei sacerdoti e agli anziani, dicendo: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente». Ma quelli dissero: «A noi che importa? Pensaci tu!». Egli allora, gettate le monete d'argento nel tempio, si allontanò e andò a impiccarsi. I capi dei sacerdoti, raccolte le monete, dissero: «Non è lecito metterle nel tesoro, perché sono prezzo di sangue». Tenuto consiglio, comprarono con esse il «Campo del vasaio» per la sepoltura degli stranieri. Perciò quel campo fu chiamato «Campo di sangue» fino al giorno d'oggi. Allora si compì quanto era stato detto per mezzo del profeta Geremia: E presero trenta monete d'argento, il prezzo di colui che a tal prezzo fu valutato dai figli d'Israele, e le diedero per il campo del vasaio,come mi aveva ordinato il Signore. (Mt 27, 1-10)


Meditazione “I piedi di Giuda” (T. Bello)

Carissimi,
è più facile parlare delle labbra di Giuda che dei suoi piedi.
Tutto a causa di quel famoso bacio.
Infatti dagli affreschi di Giotto alle tele di Salvatore Fiume, gli artisti hanno adoperato quelle labbra come simbolo del tradimento. Anche usiamo la memoria di quel bacio per smascherare un gesto di tradimento.

Un tradimento che suscita reazioni emotive.
Una vigliaccata che non lascia estraneo nessuno.
Un mistero d’iniquità che provoca processi di identificazione e che comunque induce a riflettere. Non c’è che dire: quelle di Giuda sono labbra scomode per tutti.
Se non altro perché stanno a ricordarci che anche noi ci portiamo sulla bocca la possibilità di darlo ogni giorno, un bacio infame del genere.

I suoi piedi invece benché sospesi sul vuoto di un crepaccio non destano emozioni.
Provocano solo ribrezzo. Gonfi nella tragedia del suicida,
sembrano il punto fermo di un discorso che ha finito di coinvolgere l’interlocutore.
Più che l’ultima propaggine di un corpo ancora caldo di vita,
sono l’epilogo di una esistenza sbagliata.
Il fotogramma finale di una storia infelice, l’estremo dettaglio di una prova fallita.

Eppure quei piedi sono stati lavati da Gesù.
Con la stessa tenerezza usata per Pietro, Giovanni, Giacomo.
Sono stati asciugati dalle sue mani col medesimo trasporto d’amore espresso per tutti.

I piedi di Giuda come i piedi degli altri.
Anche se più degli altri per paura o per imbarazzo hanno vibrato sotto lo scroscio dell’acqua.
Gesù se n’è dovuto accorgere.
Tant’è che qualche istante più tardi ha fatto riferimento a quei piedi:
“colui che mangia il pane con me, ha levato contro di me il suo calcagno”.

Ebbene, quel calcagno già levato nell’atteggiamento del calcio e ciononostante investito dell’acqua ristoratrice del maestro,
rimane per tutti un emblema di angoscioso bisogno di redenzione
che chiede il nostro servizio e non il rigore della nostra condanna.
Non importa quale sia l’esito della lavanda.

Così come non importa sapere se il destino finale di Giuda sia stato di salvezza o di perdizione. Sono affari del Signore: l’unico capace di accogliere fino in fondo il mistero della libertà umana e di comporne le scelte, anche le più assurde, nell’oceano della sua misericordia.
A noi tocca solo entrare nella logica del servizio, di fronte alla quale non esiste ambiguità di calcagni che possa legittimare il rifiuto o la discriminazione.

Carissimi fratelli se Giuda è il simbolo di chi nella vita ha sbagliato in modo pesante,
il gesto di Cristo curvo sui suoi piedi ci richiama a rivedere giudizi e comportamenti nei riguardi di coloro che secondo gli schemi mentali in commercio sono andati a finire sui binari morti di una esistenza fallimentare.
Di chi è finito fuori strada per colpa propria o per malizia altrui.
Di chi ha calpestato i sentimenti più puri.
Di chi ha ripagato la tenerezza con l’ingratitudine più nera.
Di chi ha deviato dalle rotte della fedeltà promessa.
Di chi ha infranto le regole di una amicizia giurata.
Di chi ha spezzato i legami di una comunione antica.
Di chi non ce l’ha fatta a seguire Gesù fino al calvario.
Di chi dai chiarori del cenacolo è precipitato nella notte della strada.
Di chi non ha avuto fortuna ed ha abdicato per debolezza o per ingenuità ai progetti della gioventù.

Sui piedi di questi fratelli col divieto assoluto di sollevare lo sguardo al di sopra dei loro polpacci, noi, i protagonisti di tradimento al dettaglio e all’ingrosso, abbiamo l’obbligo di versare l’acqua tiepida della preghiera, dell’accoglienza e dell’accredito generoso di mille possibilità di ravvedimento.

Purificati da un lavacro di amore quei piedi sia pur per carreggiate sconosciute non potranno fare a meno di orientarsi verso la casa del Padre.

Ringraziamo il Signore perché al cappio della disperazione che stringe la gola ci fa sostituire il cappio di un asciugamano che stringe i fianchi col nodo scorsoio della speranza.

* * *

Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: «Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta». Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: «Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati». Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: «Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio». Ma il padre disse ai servi: «Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: «Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo». Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: «Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso». Gli rispose il padre: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato»». (Lc 15, 1-3. 11-32)


Riflessione

  • Gesù lavò i piedi anche a Giuda, ma già in cuor suo sapeva. Che abisso tra noi e Lui nel guadare l’uomo, eppure noi non possiamo leggere il cuore dell’uomo! Come educare il nostro cuore dal giudizio alla misericordia?

  • Sappiamo darci e dare una nuova possibilità di redenzione?

  • Rileggi le letture che sono state proposte e fa che parlino al tuo cuore.

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