sabato 4 settembre 2010

Rocco e i suoi fratelli (4)




S. Agazio di Bisanzio
Davoli (CZ)

PARTE TERZA

La terza parte tratta, in modo molto breve, della vita dei Santi:

  • Agazio di Bisanzio, patrono dei comuni di Guardavalle e Squillace (CZ) e dell’Arcidiocesi di Catanzaro-Squillace.
  • Andrea apostolo, patrono di Sant’Andrea Apostolo sullo Ionio (CZ)
  • Marziale di Roma, patrono di Isca sullo Ionio (CZ)
  • Teodoro di Amasea, patrono di Satriano (CZ)
  • Vittore di Marsiglia, patrono di Davoli (CZ)

S. Agazio di Bisanzio
Squillace (CZ)

Sant’Agazio DI  BISANZIO
Sant'Agazio, centurione e martire, che nel rito latino è commemorato l'8 maggio, morì intorno al 304. Era un centurione cappadoce dell'esercito romano di stanza in Tracia, fu accusato dal tribuno Firmo e dal Proconsole Bibiano di essere cristiano e, dopo aspre torture e tormenti, fu decapitato a Bisanzio sotto Diocleziano e Massimiano. L'imperatore Costantino il Grande costruì una Chiesa-Santuario in suo onore alla Karìa di Costantinopoli, dove divenne anche Patrono.

Da almeno tredici secoli è Patrono della Città e della Diocesi di Squillace (ora dell'Arcidiocesi di Catanzaro-Squillace).

Il corpo del Santo Martire è custodito e venerato in una monumentale Cappella della Cattedrale di Squillace, mentre un braccio venne portato dal Vescovo di Squillace, Marcello Sirleto, nel 1584 a Guardavalle, suo paese natale, dove è stato eletto come Patrono. Sue Reliquie risultano anche a Cuenca ed Avila in Spagna, provenienti da Squillace. E' venerato tra i Santi Ausiliatori in diverse parti dell'Europa centro-settentrionale.

A Squillace si celebrano tuttora due Feste: una il 16 gennaio, detta della Traslazione o delle Ossa, che rievoca l'arrivo miracoloso al lido di Squillace delle Sante Reliquie, e l'altra il 7 maggio, giorno del Martirio del Santo a Bisanzio tramandato dai Menologi bizantini e mantenuto ininterrottamente a Squillace (si ricordi la presenza bizantina in Calabria). In questo giorno, preceduto e seguito da un'antichissima Fiera, conviene nella Cattedrale di Squillace tutto il Clero della Diocesi che presta l'Obbedienza al Vescovo Diocesano e partecipa ai riti e alla processione solenne.

S. Agazio di Bisanzio
Guardavalle (CZ)

Anche la cittadina di Guardavalle festeggia il Martire Agazio due volte: il 16 gennaio e il 7 maggio. La festa vera e propria è quella del 7 maggio: di essa fa menzione anche padre Giovanni Fiore, lì dove dice che "un braccio del Santo trasferito da Monsignor Sirleto a Guardavalle sua Patria ha dato luogo ad una bellissima Festa". Nel passato, ogni sette anni, la statua del Santo veniva portata in processione da Guardavalle alla marina.





Sant’Andrea apostolo
Tra gli apostoli è il primo che incontriamo nei Vangeli: il pescatore Andrea, nato a Bethsaida di Galilea, fratello di Simon Pietro. Il Vangelo di Giovanni (cap. 1) ce lo mostra con un amico mentre segue la predicazione del Battista; il quale, vedendo passare Gesù da lui battezzato il giorno prima, esclama: "Ecco l’agnello di Dio!". Parole che immediatamente spingono Andrea e il suo amico verso Gesù: lo raggiungono, gli parlano e Andrea corre poi a informare il fratello: "Abbiamo trovato il Messia!". Poco dopo, ecco pure Simone davanti a Gesù; il quale "fissando lo sguardo su di lui, disse: “Tu sei Simone, figlio di Giovanni: ti chiamerai Cefa”". Questa è la presentazione. Poi viene la chiamata. I due fratelli sono tornati al loro lavoro di pescatori sul “mare di Galilea”: ma lasciano tutto di colpo quando arriva Gesù e dice: "Seguitemi, vi farò pescatori di uomini" (Matteo 4,18-20).
Troviamo poi Andrea nel gruppetto – con Pietro, Giacomo e Giovanni – che sul monte degli Ulivi, “in disparte”, interroga Gesù sui segni degli ultimi tempi: e la risposta è nota come il “discorso escatologico” del Signore, che insegna come ci si deve preparare alla venuta del Figlio dell’Uomo "con grande potenza e gloria" (Marco 13). Infine, il nome di Andrea compare nel primo capitolo degli Atti con quelli degli altri apostoli diretti a Gerusalemme dopo l’Ascensione.
E poi la Scrittura non dice altro di lui, mentre ne parlano alcuni testi apocrifi, ossia non canonici. Uno di questi, del II secolo, pubblicato nel 1740 da L.A. Muratori, afferma che Andrea ha incoraggiato Giovanni a scrivere il suo Vangelo. E un testo copto contiene questa benedizione di Gesù ad Andrea: "Tu sarai una colonna di luce nel mio regno, in Gerusalemme, la mia città prediletta. Amen". Lo storico Eusebio di Cesarea (ca. 265-340) scrive che Andrea predica il Vangelo in Asia Minore e nella Russia meridionale. Poi, passato in Grecia, guida i cristiani di Patrasso. E qui subisce il martirio per crocifissione: appeso con funi a testa in giù, secondo una tradizione, a una croce in forma di X; quella detta poi “croce di Sant’Andrea”. Questo accade intorno all’anno 60, un 30 novembre.
Nel 357 i suoi resti vengono portati a Costantinopoli; ma il capo, tranne un frammento, resta a Patrasso. Nel 1206, durante l’occupazione di Costantinopoli (quarta crociata) il legato pontificio cardinale Capuano, di Amalfi, trasferisce quelle reliquie in Italia. E nel 1208 gli amalfitani le accolgono solennemente nella cripta del loro Duomo. Quando nel 1460 i Turchi invadono la Grecia, il capo dell’Apostolo viene portato da Patrasso a Roma, dove sarà custodito in San Pietro per cinque secoli. Ossia fino a quando il papa Paolo VI, nel 1964, farà restituire la reliquia alla Chiesa di Patrasso.


Santi Felicita e figli martiri a Roma




SAN MARZIALE DI ROMA
Padre Tavone, non meglio descritto dai documenti dell’epoca, nel 1726 aveva fatto pervenire a Isca una reliquia di San Marziale martire (con Santa Felicita) e dal sindaco fu subito convocato il "parlamento" per verificare l’esistenza del favore della popolazione alla proclamazione di S. Marziale a protettore del Paese. Fu così che nei primi giorni del mese di agosto dell’anno 1726 il sindaco di Isca ha indirizzato al vescovo di Squillace una lettera in cui chiedeva il riconoscimento della reliquie e la proclamazione di S. Marziale a patrono del paese. Il vescovo accordava il desiderio con decreto datato il 2 agosto 1726. La festa patronale viene celebrata il 10 luglio.
Periodicamente attori locali in costumi romani rievocano sul palcoscenico la vita e il martirio di S. Marziale in base ad un copione, di autore anonimo, che risale alla fine del secolo XIX.

La festa del Martire viene solennemente celebrata anche a Toronto, Montreal, Philadelphia e Kulpmont (PA), qui introdotta da emigrati iscani.

Il Martire è anche venerato a Torricella Peligna (CH), di cui è patrono.

Ma chi è S. Marziale?
A Torricella Peligna si narra che era un bambino di sette anni, perciò è rappresentato con una statua alta solo 70 cm. Il Martirologio Romano il 10 luglio scrive: “A Roma, santi martiri Felice e Filippo nel cimitero di Priscilla, Vitale, Marziale e Alessandro in quello dei Giordani, Silano in quello di Massimo, e Gennaro in quello di Pretestato: della loro congiunta memoria si rallegra la Chiesa di Roma, in un solo giorno glorificata da tanti trionfi, perché da tanta messe di esempi trae il sostegno di un’abbondante intercessione”.


S. Marziale
Isca sulla Joinio (CZ)

La vicenda S. Marziale, coem attesta la tradizione iscana, è legata alla martire romana Santa Felicita e ai suoi sette figli martiri.


San Marziale
Pennsylvania, USA

Il più antico documento che ricorda la martire Felicita è il Martirologio Geronimiano, il quale, alla data del 23 novembre, scrive: "Romae in cimiterio Maximi, Felicitatis" (il cimitero di Massimo è sulla via Salaria Nuova). Questa notizia del Geronimiano è confermata dagli itinerari, i quali indicavano ai pellegrini il sepolcro della martire in quel cimitero, e dalle biografie dei papi che lo avevano restaurato. Felicita è conosciuta comunemente come la madre dei sette fratelli martiri. La sua passio è pervenuta attraverso due testi: il primo, molto breve, è conservato in numerosi manoscritti, il secondo si riallaccia ad una traslazione di reliquie a Benevento ed è un rimaneggiamento senza valore del primo.
Secondo la passio più antica, composta tra la fine del sec. IV e l'inizio del sec. V, Felicita, ricca vedova, fu denunciata, in quanto cristiana, da sacerdoti pagani all'imperatore Antonino.
Publio, prefetto di Roma, incaricato dall'imperatore di giudicare la santa, cominciò ad interrogarla da sola, e tuttavia non ottenne alcun risultato. Il giorno dopo fece condurre la madre e i sette figli presso il foro di Marte, ma Felicita esortò i figli a rimanere saldi nella fede. Il giudice se li fece condurre davanti l'uno dopo l'altro: Gennaro, Felice, Filippo, Silano, Alessandro, Vitale e Marziale. Non riuscendo a piegare la loro costanza, li assegnò a diversi giudici incaricati di eseguire la sentenza di morte, che fu eseguita con diversi supplizi. I sette nomi, dati ai figli di Felicita, si trovano nella Depositio Martyrum alla data del 10 luglio, senza alcun rapporto di parentela fra loro e con Felicita. Poiché questi martiri erano sepolti in quattro cimiteri, l'agiografo ha giustificato il fatto in quanto la sentenza fu eseguita da quattro giudici. Sul sepolcro di Felicita, papa Bonifacio I (418-22) edificò una basilica nella quale egli stesso fu sepolto, come indicano il Martirologio Geronimiano (VI sec.) e il Liber Pontificalis. Nella basilica, s. Gregorio Magno recitò un'omelia nel dies natalis della martire, facendo riferimento alla passio. I resti di un dipinto del sec. VIII, nella stessa catacomba, mostrano il Redentore che dà la corona a Felicita e a sette martiri, quegli stessi che sono stati definiti figli di Felicita (vedi copertina). Il Martirologio Romano commemora Felicita alla data del 23 novembre, con un elogio preso dalla passio. E' invocata, a causa dei pretesi sette figli, dalle donne che desiderano avere prole.


San Teodoro martire
Satriano (CZ)

SAN TEODORO MARTIRE
Secondo la tradizione fu arruolato nell'esercito romano e, al tempo dell'imperatore Galerio Massimiano (305 – 311), trasferito con la sua legione, denominata Marmarica (ovvero la Cohorte terza Valeria) nei quartieri invernali di Amasea (l'odierna Amasya nel Ponto, a ridosso del Mar Nero). Era allora in atto la persecuzione contro i cristiani già avviata da Diocleziano (284 – 305) e reiterata da Galerio, Caesar dal 293, con un editto che, nel 305, prescriveva a tutti di fare sacrifici e libagioni agli dei.
Teodoro rifiutò di sacrificare agli dei, nonostante le sollecitazioni dei compagni. Venne accusato di essere cristiano e deferito al giudizio del tribuno. Durante l'interrogatorio, nonostante l'alternanza di minacce e promesse, rifiutò nuovamente di sacrificare agli dei. È nota la riluttanza dei governatori a mandare a morte gli accusati, ancor di più in questo caso trattandosi di un legionario: essi preferivano ricorrere alla tortura per piegarne la resistenza e far loro salva la vita. Il prefetto Brinca, comandante della Legione Marmarica, vista anche la giovane età e l'intelligenza di Teodoro, si limitò a minacciarlo e gli concesse una breve dilazione temporale per permettergli di riflettere. Teodoro invece ne approfittò per continuare l'opera di evangelizzazione e, per dimostrare che non aveva alcuna intenzione di abiurare la religione cristiana, incendiò il tempio della gran madre degli dei Cibele che sorgeva al centro di Amasea, presso il fiume Iris. Venne così nuovamente arrestato e il giudice del luogo, tale Publio, ordinò che venisse flagellato, rinchiuso in carcere e lasciato morire di fame. Ma questa punizione sembrava non avere nessun effetto su Teodoro, che anzi rifiutò persino il bicchiere d'acqua e l'oncia di pane al giorno, che i suoi carcerieri gli porgevano.
Scampato miracolosamente alla morte per fame, Teodoro venne infine tolto dal carcere e ricondotto in giudizio. I magistrati gli fecero grandi promesse, lo sollecitarono vivamente di accondiscendere alla volontà degli imperatori anche solo in apparenza, promettendo che lo avrebbero lasciato libero. Gli offrirono perfino la carica di pontefice. Teodoro rifiutò sdegnosamente e tenne testa al tribunale, non riconoscendo i loro dei, beffandosi delle proposte che gli venivano fatte e testimoniando che non gli avrebbero strappato una sola parola né un solo gesto contro la fedeltà che doveva al Signore. Il giudice, vedendo l'ostinazione di Teodoro, ordinò allora che venisse torturato con uncini di ferro, fino a mettere a nudo le costole, e lo condannò ad essere bruciato vivo. Una donna di nome Eusebia chiese il corpo di Teodoro, lo cosparse di vino e altri unguenti, lo avvolse in un sudario ponendolo poi in una cassa e lo portò, da Amasea, in un suo possedimento ad Euchaita, l'attuale Aukhat, distante un giorno di cammino, dove venne sepolto. In questo luogo già nel IV secolo venne edificata una basilica frequentata da pellegrini in visita al sepolcro del santo. Ed è in questa chiesa che san Gregorio di Nissa pronunciò sul finire del IV secolo un discorso che riporta i passi della vita e del martirio di san Teodoro.

S. Teodoro è patrono della città di Satriano dove viene festeggiato il 9 novembre. Nella città si conservano una statua lignea (dello scultore locale Pietro Drosi, seconda metà del XIX secolo) e una reliquia del Santo custodita in una bellissima teca-ostensorio d'argento.



S. Vittore martire
Davoli (CZ)

SAN VITTORE DI MARSIGLIA
I santi Gregorio di Tours e Venanzio Fortunato, nelle loro opere, ricordano come la tomba del santo nella città francese fosse una delle mete di pellegrinaggi più frequentate nell’intera nazione.
Vittore, probabilmente appartenente ad una famiglia senatoriale, svolse il ruolo di ufficiale nell’esercito romano. Verso la fine del III secolo, in occasione della visita dell’imperatore Massimiano a Marsiglia, si trovò a dover incoraggiare i cristiani indigeni a restare saldi nella loro fede ed a resistere alla persecuzione. Questa ebbe forse inizio quando, assediata la città nel 287, i cristiani rifiutarono categoricamente di combattere, di sacrificare agli dèi e di riconoscere il dogma della divinità imperiale. Denunciato e portato dinnanzi all’imperatore, Vittore fu condannato alla tortura.
La “Passio” gli attribuisce la conversione alla religione cristiana di tre guardie, che sarebbero così state giustiziate ancor prima di lui. Decapitato poi anch’egli, i quattro cadaveri furono gettati in mare. Alcuni cristiani riuscirono però miracolosamente a ritrovarli ed a seppellirli ove sorse poi il cimitero di Marsiglia, in una cavità ricavata nella roccia.

La prima citazione ufficiale del Martire Vittore in un martirologio avvenne solo nell’806 con quello Lionese. A San Giovanni Cassiano, che fondò a Marsiglia un convento dedicato al santo martire, è attribuita da alcuni la stesura della “Passio”. Il nuovo Martyrologium Romanum commemora San Vittore al 21 luglio.

La città di Davoli venera come Patrono S. Vittore martire di Marsiglia il 21 luglio; di cui custodisce il bel simulacro ligneo del 1700 e già dal XVII secolo una insigne santa reliquia.



Bibliografia
  1. AA. VV. - Biblioteca Sanctorum (Enciclopedia dei Santi) – Voll. 1-12 e I-II appendice – Ed. Città Nuova
  2. AA.VV., PP. Benedettini - Parigi, Vies des Saintis et des Bienheureux, Ed. Letouzey et Ane, 1952, Tome IX, pp. 199. 338-341
  3. Archivio Parrocchia San Pietro in Mili, S. Pietro Superiore (ME)
  4. Archivio Parrocchia Santa Maria del Monte “Pignatelli”, S. Sostene (CZ)
  5. Associazione Croce Azzurra “San Sostene”, Statuto e Regolamento, Tipografia Giannotti
  6. Bollandisti , Acta Sanctorum Septembris, Tomus III , p. 488
  7. C.E.I. - Martirologio Romano - Libreria Editrice Vaticana – 2007 - pp. 1142
  8. Enciclopedia Cattolica - Città del Vaticano, Vol. II, pp. 954-957
  9. Grenci D. M. e I. Coletti - San Sostene martire - dattiloscritto
  10. Grenci Damiano Marco - “Mi sarete testimoni”, Rocco De La .Croix, pellegrino di Dio - Ed. DMG, II edizione, 2008
  11. Grenci Damiano Marco - “Mi sarete testimoni”, Rocco De La Croix, pellegrino di Dio - Ed. DMG, I edizione, 2005
  12. Grenci Damiano Marco – Archivio privato iconografico e agiografico: 1977 – 2010
  13. Grenci Damiano Marco - Sostene di Calcedonia. Testimone di Cristo - Tip. Rossini, Busto A. (VA)
  14. Grenci Damiano Marco, San Rocco di Montpellier: un buon compagno di viaggio - Ed. DMG, III edizione, 2010
  15. Gualtieri Bernardino – S. Vittore di Marsiglai. Patrono di Davoli – AP Editrice Tipografica, 2003
  16. Gualtieri Margherita, San Sostene paese mio, Ed. Ursini
  17. Iconografia di Rocco De la Croix in Italia ed in Europa in La Voce di San Rocco, Anno XLVII, n. 1, agosto 1996, Torrepaduli (LE)
  18. Jacopo da Varagine, Leggenda Aurea, Libreria Editrice Fiorentina, Voll. 2, pp. 630- 632
  19. Miriello Armando – S. Marziale Martire. Stria e Culto – Tip. Sudgrafica, Davoli Marina 1987
  20. Paolo Gentile, Diario di un Pellegrino - “Rocco di Montpelier” - Romanzo storico-religioso
  21. Parrocchia S. Maria Assunta, San Vitale martire romano…, opuscolo in proprio
  22. Racco - Scali, Guida a Roccella Jonica, Ed. Brenner
  23. Ranieri Giuseppe – Breve vita di S. Vittore Martire. Protettore di Davoli (Catanzaro) - AP Editrice Tipografica,1993 (originale del 1954)
  24. Sito Web di Irsina.net
  25. sito Web di pagus.it
  26. sito Web di santibeati.it



 * * *


“La devozione ai santi ha un significato speciale per il fatto che essi sono contemporanei: ci richiamano che il mistero di Cristo è presente a noi. (…) Il miracolo più grande che io conosca… il miracolo è il dimostrare della potenza con cui Iddio “mena per il naso” tutti, facendo cose grandi senza il concorso di nessuno! Perciò guardatevi dal prendere in giro i nomi dei santi e invece siatene devoti. La prima devozione deve essere ai santi contemporanei nostri… attraverso di essi, vuole (la Chiesa) insegnare quello che è importante per la Chiesa oggi”.

(don Luigi Giussani, sacerdote ambrosiano, fond. di CL)



Ed.  D. M. G.
2 settembre 2010
secondo giorno della Novena di San Sostene Martire
Nel XV anniversario della “grazia” (1995 - 10 settembre -  2010)

venerdì 3 settembre 2010

Rocco e i suoi fratelli (3)





PARTE SECONDA
San Sostene di Calcedonia

La vita cristiana è segnata dal dono della Spirito Santo il quale, parlando in noi, ci fa riconoscere  Dio come Padre. Lo Spirito Santo, la grazia di Dio, è concesso a tutti, è dono gratuito di Dio, è dono uguale per tutti, perché è uno e indivisibile. Ciò che crea diversità è soltanto causato dalla risposta della libertà di ciascuno. E’ qui solo che c’è differenza tra noi tutti e i Santi.
Sostene  è santo, cioè esempio per noi di vita cristiana, perché ha risposto liberamente e prontamente alla grazia di Dio. Fu l’esempio di Eufemia  che interrogò il cuore del giovane soldato. Lo Spirito Santo che dava coraggio ad Eufemia, così da renderla testimone della fede in Gesù, guidò la coscienza di Sostene che confessò la sua fede in Cristo riconoscendolo suo unico Signore e Re.

È il IV secolo che vide i natali di Sostene, in una famiglia pagana, a Calcedonia in Bitinia, terra dell’odierna Turchia. Nulla si sa della sua fanciullezza. Possiamo solo affermare che si arruolo nell’esercito romano sotto il comando di Massimiano Erculeo e riportò numerose vittorie. Visse in un periodo di aspre persecuzioni contro i cristiani: la prima sotto il regno di Decio e poi di Diocleziano. Nella sua vita sicuramente senti parlare dei cristiani, ma ne gusto la fede e la fermezza solo accostando la giovane Eufemia che doveva, per comando ricevuto, martirizzare. Sostene rimase colpito dalla fede e dalla forza che si sprigionava da una così fragile giovane. Sicuramente in cuor suo si sarà domandato da dove le veniva una tale forza, chi era quel dio per il quale si potevano sopportare così atroci tormenti. Possiamo immaginare il travaglio interiore del giovane soldato e la sua ricerca di una risposta alle tante domande che la coscienza gli poneva. Così anche lui come un novello Paolo ebbe in Eufemia la via di Damasco: ascoltò la voce di quel Dio che in Eufemia gli parlava. Non era un dio come quello dei suoi padri, un dio padrone, ma un Dio Padre, che lo amava e che nel suo immenso amore aveva dato il suo Figlio che anche per lui era morto e risorto. Ecco la forza e la speranza che animava la giovane vergine di Calcedonia!
Aveva così scoperto il vero Dio, il Creatore e Signore dell’Universo. Non trascorse molto tempo che anche lui fu scoperto cristiano e come santa Eufemia fu chiamato a testimoniare pubblicamente la sua fede.

Governava in quel tempo la Bitinia il console Prisco. Egli lo fece arrestare quale cristiano e rinchiudere in carcere. Era la prova della fedeltà a Cristo, ma fu solo l’inizio. Fu sottoposto a ripetuti interrogatori con i quali il console sperava di persuaderlo dalla fede in Gesù. Sostene fu irremovibile. Dalle parole persuasive e dalle promesse di ricchezza ed onore si passo alle torture. Venne fustigato, poi dilaniato da uncini, ma tutto questo non vinse la sua fede, anzi egli lodava Dio che lo rendeva degno di soffrire per il suo Nome. Altre prove lo attendono. Venne gettato alle belve feroci, ma per grazia divina superò anche questa prova. La sua fine però era segnata: fu preparata una catasta di legna e acceso un immenso fuoco. Sostene fu condotto per essere arso vivo. Però anche lui, come Eufemia, aveva così fermamente testimoniato la fede in Gesù che ebbe il primo frutto della sua testimonianza: un compagno nell’ultima prova, Vittore . I due dopo aver scambiato il bacio di pace furono gettati nel rogo testimoniando così fino al sangue la loro fedeltà a Cristo. Fu questa la loro vittoria: i discepoli sono conformati al Maestro. Sostene e Vittore ci insegnano il modo eroico di morire per Gesù, ognuno di noi è chiamato forse anche, per grazia divina, a questa sorte, ma sicuramente è chiamato a dar testimonianza della propria fede in Gesù nella CARITÀ: “Aspirate ai carismi più grandi! E io vi mostrerò una via migliore di tutte. Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli Angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna... La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine...” .


San Sostene (CZ)

Il culto del Martire Sostene è testimoniato nell’entroterra di Roccella Jonica (RC), in una piccola chiesa in località omonima. Le tracce più significative del suo culto sono a San Sostene (CZ) ed a Mili San Pietro (ME). Anche a Waterford (NJ, USA) si è diffuso il culto del S. Martire ad opera degli emigrati siciliani. Le sue sante reliquie sono venerate nel paese omonimo della costa ionica, ma anche a Irsina (MT) e a Piacenza nella Basilica di Santa Eufemia.



San Sostene Martire
 Saint Anthony Church,
Waterford, NJ, USA

Concludiamo questa seconda parte con alcune preghiere dedicate al Santo.




 
PREGHIERA A SAN SOSTENE (don Aristide Stillo, 1928)
O glorioso nostro protettore, S. Sostene, illustre campione della fede in Gesù Cristo, che, con eroico coraggio, professasti fino al generoso olocausto la tua giovine esistenza, volgi, come sempre, il tuo sguardo benigno e sorridente su questo popolo che, con orgoglio santo, si fregia del tuo invitto Nome!

Tu che,. Tra le file dei soldati legionari, ambiziosi, adulatori  corrotti, aventi un solo odio, l’odio contro al Religione di Gesù, portasti la parola infuocata della verità e dell’amore, sì che, all’ombra della tua gloriosa bandiera, i fratelli di armi e di fede si sentivano protetti e fortificati, fa che anche noi, all’ombra benefica della tua Santa protezione, possiamo sentirci sorretti nella fede.

In mezzo al turbinoso succedersi delle passioni umane, nell’aspra e continua lotta per mantenere intatto il patrimonio delle sante virtù cristiane, che i padri nostri ci han tramandato, noi, con occhio puro e confidente,a Te guardiamo per ricevere monito e ammaestramento, alla tua Reliquia Santa ci volgiamo come al nostro invitto Carroccio!
Fa che il fuoco del Divino Amore bruci nel cuore di tutti noi, figli del tuo amore, affinché nel Divino Amore possiamo trovare la nostra felicità, la nostra vera pace. Sì, o nostro grande Protettore, regni in noi lo spirito sincero e devoto di fede e non abbiano luogo in mezzo a noi il peccato, le traversie, i morbi del corpo dell’animo.
Tu che, dalla fornace di Calcedonia, con la palma dei forti nelle mani, sei volato, al canto di gloria e di Vittoria, tra le fiamme inestinguibili della carità di Dio, fa che anche noi, dopo le aspre battaglie della vita e la prova morale del fuoco in questo mondo, possiamo raggiungerti, al canto della gloria, nella patria celeste, dove per tutta l’eternità benediremo la bontà di Dio. Cosi sia.


CORONCINA A SAN SOSTENE MARTIRE
(E’ riportata secondo il testo cantabile nella melodia locale di S. Sostene - CZ)

Oh che grazia, oh che favore, la Patria nostra tutta quanta vuol seguire il Signore e noi Sostene lodiamo e questa Chiesa santa di cui Sostene è l’onore manifesta i suoi canti lodandolo con fervore con la lingua e con il cuore. Uniti agli Angeli cantiamo alla gloria del Signore perché tutto a te dobbiamo, per Patrono vi lodiamo, dà Iddio a noi donato, liberateci noi speriamo da ogni male che incontriamo.

Della grazia sei colmato, la promessa che ci dai è troppo grande
deh! leviamo il nostro canto.

San Sostene vide l’errore di quel popolo suo diletto, con amore e grande affetto il suo cuore ci porge in dono:
san Sostene gran Patrono.

Una Vergine martire, della fede ti infuoco, qual soldato tu chiamato a godere il divin trono:
san Sostene gran Patrono.

Per provarti quel tiranno, la tua fede a te domanda, con intrepido parlare, tu rispondi si io sono:
san Sostene gran Patrono.

Per l’amore verso Iddio le promesse degli onori, le ricchezze, i tesori tutto lasci in abbandono:
san Sostene gran Patrono.

Che spettacolo d’amore sfavillò nel tuo gran petto, tu da Dio sei protetto e ti doni senza pensar:
san Sostene gran Patrono.

In quel carcere rinchiuso, notte e giorno cristiano, disprezzando il mondo vano, incoraggi con dolce sprono:
san Sostene gran Patrono.

Quando poi l’aspri tormenti laceraron la tua vita,
la costanza troppo ardita avvilì Prisco dal trono:
san Sostene gran Patrono.

Calcedonia sull’altare dà a Iddio la grande offerta, la tua vita se la scelta tu l’offristi a Iddio in eterno dono:
san Sostene gran Patrono.
Finalmente all’alto Regno vieni caro, Dio ti disse, la sua gloria ti donò e per l’Eterno li perdonò:
san Sostene gran Patrono.

Oh Cielo, felice Regno, abbi pietà di noi meschini.
Tu a Dio porgi il nostro impegno invita pure i Serafini.
Da a noi pellegrini, miserabili che ti ammiriamo, i favori tuoi divini:
Gesù mio misericordia, peccato noi abbiamo.
La nostra anima in Cielo conduci giubilando.
Iddio ci salvi dall’Inferno per tuo merito e per sua misericordia.
La sua grazia Egli ci doni e ci faccia in eterno gioire tutti uniti con Maria.
La nostra anima fa che per i meriti della tua vita possa godere in tua compagnia l’Eterna vita.


PREGHIERA a San Sostene (in dialetto, San Sostene - CZ)
O Santu Sosti nobili e galanti,
funtana d’ogni grazia mia surgente
‘nbiato (l)u pitturi chi bi ficia protetturi ed avvocatu.
O Santu Sosti di martirii siti
chi per (l)u mundu tuttu si aduratu
e sa bandera a ‘mmanu chi teniti,
tuttu (l)u mundu teni incatinatu.
E sa palma chi allu pettu teniti
n’ angialu dellu celu vi là calata
e quandu a sansosti
vi vittaru venira
all’armi li sonaru li campani.



giovedì 2 settembre 2010

Rocco e i suoi fratelli (2)





PRIMA PARTE
San Rocco Il Pellegrino

“Ognuno - ha affermato il Papa, all’udienza generale di mercoledì 26 agosto 2010 - dovrebbe avere qualche santo che gli sia familiare, per sentirlo vicino con la preghiera e l’intercessione, ma anche per imitarlo. Siate certi che diventeranno buone guide per amare ancora di più il Signore e validi aiuti per la vostra crescita umana e cristiana”.

“Come sapete – ha continuato –, anch’io sono legato in modo speciale ad alcune figure di Santi: tra queste, oltre a san Giuseppe e san Benedetto dei quali porto il nome, e ad altri, c’è sant’Agostino, che ho avuto il grande dono di conoscere, per così dire, da vicino attraverso lo studio e la preghiera e che è diventato un buon ‘compagno di viaggio’ nella mia vita e nel mio ministero”.
Ognuno di noi hai sui “compagni di viaggio”!

Se penso alla mia vita, il Signore mi ha dato come “accompagnatore” nel cammino della vita, il santo Pellegrino di Montpellier. Lui è stato un vero viaggiatore, un giovane come altri del suo tempo (nato nel 1345/1350 e morto nel 1376/1379). Come ogni giovane sarà arrivato all’età delle domande esistenziali: “Chi sono? Da dove vengo? Dove vado? Cosa devo fare della mia esistenza? A cosa sono chiamato, per non sciupare malamente i talenti che il Signore mi ha donato e per farli fruttare in modo positivo?”. Da qui le scelte di povertà evangelica, sulla scia del francescanesimo nascente, e la decisone di farsi pellegrino e si mettersi in marcia verso Roma. Un viaggio del cuore! Nel suo cuore, ma anche nel cuore di ogni uomo che incontrerà, facendosi pellegrino di Misericordia. In lui si rende viva la parabola evangelica del Buon Samaritano.
Questo suo viaggio diventa, non un caso, oppure un gesto tipico del suo tempo (riscoperto nella nostra epoca!), ma il compimento del suo destino.

Guardare la santità, significa ricordarsi che “Gesù è venuto a comunicarci che non siamo fatti solo di terra, siamo fatti anche di Cielo”. (Mons. Francesco Lambiasi).

Della vita San Rocco De La Croix, popolare guaritore di appestati vissuto nel Milletrecento, si hanno poche notizie precise e i pochi dati concreti si mescolano a episodi leggendari e avvolti nel mistero. Nato a Montpellier, come dono di Maria Santissima alla sua famiglia, rimasto presto orfano, Rocco distribuisce tutti i suoi averi ai poveri e parte in pellegrinaggio diretto a Roma. Giunto ad Acquapendente, vicino Viterbo, si ferma ad assistere i malati di peste in un ospedale, dimostrando eccezionali capacità taumaturgiche. Si reca in varie altre città per svolgervi lo stesso servizio curativo e poi raggiunge Roma dove incontra il Papa. Sulla via del ritorno, si ammala di peste e si ritira in campagna nelle vicinanze di Piacenza. Una volta guarito, riparte ma a Voghera viene arrestato come spia e rinchiuso in prigione. Qui vi rimane sino alla morte, avvenuta cinque anni più tardi.
Le biografie più attendibili dicono che, quando la morte di lui era ormai prossima, avvisato da un angelo, chiese al carceriere di condurgli un sacerdote; il messaggero celeste continuò a confortarlo e il volto del santo diventò raggiante, mentre una grande luce illuminava la cella. Ricevuti i sacramenti, desiderò di essere lasciato solo; ma il sacerdote, stupefatto, corse ad avvisare il governatore di quanto stava accadendo, mentre il carceriere, altrettanto sbalordito, chiamò altre persone e rivelò i prodigi di cui era stato testimone. Nel frattempo, Rocco, pregò Dio di concedergli una grazia: tutti coloro che avrebbero invocato, nel nome di Cristo, la sua memoria, sarebbero stati sanati dalle malattie. Infatti, vicino al suo corpo verrà trovata una tavoletta sulla quale è scritto: “Coloro che colpiti dalla peste, ricorreranno al nome e all’intercessione di Rocco, saranno liberati dal male”. Secondo alcune fonti, poi, insieme a questa tavoletta c’era anche una breve storia della sua vita nella quale era svelato il suo nome. Comunque, quando la porta della cella venne riaperta, il santo era già morto: era il 16 agosto, cioè il giorno dopo la festa dell’Assunzione di Maria Vergine al cielo.
Tutte le antiche fonti riportano, infine, un vero e proprio colpo di scena. Infatti, mentre il governatore viene portato a conoscenza dei fatti accaduti, sua madre, molto anziana, sussulta quando sente dai testimoni questa affermazione: “Sul petto del defunto vi è incisa una croce…” Da questo particolare, ne avrebbe intuito la vera identità. Commossa, ricordando la stretta parentela, disse: “È il figlio di messere Jean di Montpellier!” Con molta probabilità era una parente della mamma di Rocco, la quale era originaria della Lombardia. Così, il governatore, pentito e amareggiato, organizza, nella città di Voghera, una sontuosa cerimonia funebre, fa seppellire il nipote con tutti gli onori in una splendida tomba e costruendovi poi attorno una chiesa. Negli archivi storici di Voghera, nell’elenco delle festività (inserito nella raccolta degli “Statuti Civili e Criminali” completati fino al 1389 e approvati da Gian Galeazzo Visconti il 25 febbraio 1391), figura anche quella di san Rocco. Questo lascia supporre che la festa fosse ormai già consolidata da qualche tempo nella tradizione della città: siamo a soli tre anni dalla morte del santo o al massimo sei. Poi, un certo monsignor Manfredi, in una sua storia cittadina, ricorda che nel 1388 i Visconti vollero fare a Voghera una solenne processione al fine di chiedere l’intervento divino a favore di Padova (da poco entrata a far parte dei loro domini) per salvarla dalla peste. Il culto di san Rocco, invece, nella città di Montpelier, sembrerebbe risalire a molti anni dopo: questo è provato da un atto d’archivio del 1440.
Per quanto riguarda la canonizzazione del santo pellegrino, è bene tenere presente una indicazione dello storico François Pitangue. Egli parla di un testo del 16 luglio 1629, nel quale il Papa Urbano VIII, citando una lunga serie di indulgenze accordate all’invocazione di san Rocco, si mette, con tutto il popolo romano, sotto la sua speciale protezione contro le epidemie… Successivamente, il 26 ottobre, avrebbe dichiarato l’autenticità delle virtù eroiche del santo taumaturgo.

A partire dalla prima metà del XV secolo il culto di San Rocco da Montpelier si diffonde in tutta Europa e sorgono in suo onore numerose confraternite, ospedali e chiese: è la speranza di protezione contro morbi ritenuti invincibile a indurre la gente a rivolgersi al Santo che seppe sconfiggere la peste. L'interesse degli artisti del XV secolo per San Rocco, è testimoniato dalle numerose opere d'arte presenti nelle città di tutta Europa. Pittori e scultori hanno raffigurato il Santo, generalmente, di aspetto giovane.



SAN ROCCO E I SUOI ATTRIBUTI ICONOGRAFICI
Nella schiera dei Santi e dei Beati, San Rocco spicca per gli attributi inconfondibili che connotano la sua vita di apostolato tra i malati: il cane, il pane, il bastone, l'Angelo, la zucca, il sanrocchino, la conchiglia, la piaga, la tavoletta e meno frequentemente la Corona del Rosario, la Croce rossa, la Corona e il Libro.





Il cane fu per il Taumaturgo il segno tangibile della Provvidenza Divina che lo soccorreva nelle condizioni di bisogno estremo. È simbolo della sua fedeltà alla chiamata divina e della fedeltà di Dio verso i suoi figli.



Il pane fu il sostegno nella famosa pausa a Piacenza, dove il Santo si isolò perché malato. Un cane gli portava l’alimento, prelevandolo dalla mensa del suo padrone Gottardo. È il simbolo dell’Eucarestia, sostegno nel cammino della vita.




Il bastone richiama le marce lunghissime del pellegrino, con cui esercitò la carità in maniera insigne ed eroica, lenendo piaghe fisiche e morali, asciugando lacrime e consolando il dolore degli uomini. È simbolo del pellegrinaggio della vita, un cammino verso l’Eterno.



L'Angelo Celeste è l'anello che congiunge l'esperienza terrena del Santo alla presenza Divina che infonde coraggio, specie nei momenti di sofferenza solitarie e di umana ingratitudine. È simbolo della presenza Divina, che accompagna i passi del quotidiano.



La zucca (e la borraccia) richiama ancora una volta il pellegrinaggio, custodiva l’acqua per lenire l’arsura nel cammino. È simbolo della sete del divino che c’è in ogni uomo.



Chiesa Parrocchiale di Dorno (PV)

Il sanrocchino è sempre un abito legato al pellegrinaggio, mantello corto di tela, che serviva a proteggere dalle intemperie. È simbolo della protezione divina e del senso della come pellegrinaggio verso l’Eterno.


La conchiglia ricorda il pellegrinaggio a Santiago. Ogni pellegrino che si recava in Galizia prelevava la conchiglia dalle spiagge, come segno dell’avvenuto pellegrinaggio. È simbolo della perseveranza: la vita di fede è per il discepolo è un cammino di fedeltà rinnovabile nelle cadute.



La piaga ricorda il morbo della peste che il Santo contrae nei pressi di Piacenza. La carità non è un donarsi con parsimonia, ma totalmente, fino al dono totale di se. È simbolo della carità cristiana.





La tavoletta fa memoria della scena agiografica in cui si racconta della grazia chiesta nel momento della morte da San Rocco: Il Signore accoglie la preghiera sincera dei suoi figli: Rocco anche in morte si mostra uomo di Carità. È simbolo della comunione dei Santi e quindi della preghiera di intercessione.


Cattedrale di Como

La Corona del Rosario, presente solo in alcune icone del Santo, ricorda la sua vita di preghiera: preghiera del Rosario che nasce proprio nel periodo storico in cui visse Rocco di Montpellier. È simbolo della preghiera cristiana semplice e quotidiana.


La “Croce rossa”, presente solo in alcune immagini del Pellegrino francese, ricorda la voglia a forma di croce che aveva sul petto fin dalla nascita. È simbolo della predilezione divina ad essere Apostolo di Carità.




La Corona, presente in modo particolare in un dipinto di Pietramelara (CE), ricorda, secondo la tradizione, l’origine nobile del Santo. È simbolo della corona di gloria che va conquistata in Cristo attraverso le opere della fede e della carità.



Il Libro, presente in modo particolare nella statua di San Sostene (CZ), ricorda la capacità del Santo di mettersi alla scuola di Cristo, il Gesù dei Vangeli. È simbolo della sequela cristiana, che attinge la sua Verità nella Sacra Scrittura.

Ci sono poi altri simboli iconografici, ma che hanno una rilevanza relativa come: malati, borsa da viaggio, e cappello parasole. Essi richiamano nel loro insieme l’apostolato pellegrinante, caritativo e consolatorio di San Rocco.

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opera di Giulia Procopio


LE RELIQUIE DI SAN ROCCO E IL LORO CULTO
Rocco muore a Voghera. Il Martirologio Romano così scrive: “In Lombardia, san Rocco, che, originario di Montpellier in Francia, acquistò fama di santità con il suo pio peregrinare per l’Italia curando gli appestati”.

Un documento consolare dell’archivio cittadino, datato 27 febbraio 1469, parla di una perizia del corpo di san Rocco, nella chiesa di Sant’Enrico, richiedendo l’autorizzazione al vicario vescovile venuto espressamente in città. Ma, nel 1485, avvenne il furto delle reliquie del santo. Nel trafugamento, vennero dimenticate dal ladro o lasciate volontariamente per una sorta di scrupolo, alcune ossa di un braccio. Altra puntualizzazione è datata A.D. 1494: “Nella chiesa di San Rocco si conserva una cassa in noce, tarlata alle estremità, di centimetri 88x43, alta centimetri 34, in forma di cofano, nel cui spiovente anteriore si apre un foro rettangolare di centimetri 26x14… Nell’interno vi si trovò un cartoncino, sul quale è scritto a stampatello: “Hic iacuit corpus sancti Rochi”, e un foglio con le seguenti parole: “Questa è la cassetta che fu ritrovata nelle mura della chiesa di San Rocco quale era stata di noce foderata di fustagno con due fortissime chiavi serrata, dentro la quale vi è stato il corpo di detto san Rocco et questo per scrittura del 1497”.
Per quanto concerne il furto delle reliquie di san Rocco, esistono versioni diverse di questa poco edificante impresa, ma la più nota è quella di Giorgio Fossati, che ce l’ha tramandata nella sua biografia di san Rocco edita nel 1751. L’antefatto del furto va ricercato nella profonda devozione al santo assai sentita anche a Venezia, soprattutto per via della locale Confraternita di San Rocco. Il Ministro della Confraternita, la cosiddetta “Scuola di San Rocco”, era Tommaso Alberti mercante veneto, il quale commissionò il furto.
È il 1485, il 29 aprile, il sacro Corpo fu esposto alla pubblica venerazione. Da questa squallida vicenda derivarono comunque conseguenze di ben altro valore. Venne costruita una nuova chiesa fu già in condizione di essere aperta al culto nel 1489; il 3 marzo 1490 vi fu domiciliato il corpo di san Rocco e il l° gennaio 1508 l’edificio fu consacrato. La devozione popolare fu grandemente risvegliata da queste lodevoli iniziative e il culto del santo si rafforzò per secoli.
A Voghera, intanto, il sacrilegio fu scoperto solo il 16 maggio 1485, perché il ladro aveva provveduto a rimettere in ordine l’altare profanato e a cancellare ogni sua traccia. Si vede che non esisteva la televisione! Ma si fece nulla, ormai tutto era avvenuto. Solo nel 1494 furono casualmente ritrovate le due ossa del braccio, sfuggite al furto e ancor oggi venerate nell’attuale chiesa di San Rocco, riedificata su quella più antica di Sant’Enrico nel XVI secolo.



OMELIA
San Sostene (CZ), 16 agosto 2010

"Guardiamo i santi, ma non soffermiamoci troppo a contemplarli, piuttosto contempliamo con loro Colui la cui contemplazione ha riempito la loro vita (...) Prendendo da ciascuno quel che ci sembra più conforme alle parole e agli esempi di nostro Signore Gesù, nostro solo e vero modello".

Così scrive un autore spirituale del XIX – XX secolo.
È dal 1817, che gli occhi di generazioni contemplano questa sacra immagine del Pellegrino santo e caritatevole di Montpellier!

Sono quasi 200 anni, che Egli ci guarda e ci dice di guardare, ponendosi a lato della mensa eucaristica, Colui che fu in Lui l’origine della sua carità.

Noi infatti non possiamo imitare i santi, lo stesso San Rocco, essi sono unici doni dello Spirito; noi nei santi siamo stimolati a conformarci a Cristo, e in questo “assomigliamo” a qualche santo.
Ma ora poniamo lo sguardo su questa sacra immagine!
Nel suo BASTONE noi ricordiamo il suo cammino di carità e di fede; egli pellegrinò a Roma per attingere la Verità della sua vita nella fede della Chiesa: testimoniata  dagli Apostoli e dai Martiri.
Ma quel BASTONE è anche segno del destino della nostra vita: noi siamo in cammino verso il Cielo! La sua intercessione ci aiuti a vivere già su questa terra una vita che abbia il gusto del Cielo.
Ma il gusto del Cielo non si inventa!
Quel LIBRO che Egli porta con se, ci rammenta che la vita, sua e nostra, deve essere in continuo confronto con la Parola di Dio, la quale ci dice la misura del Cielo.
Quindi ascoltiamo la Parola di Dio, “mastichiamola” ogni giorno, facciamoci dire dalla Parola qual è la misura del Cielo: cosa è il bene e cosa è il male!
Infine quel CANE. Egli è simbolo di fedeltà: Dio è fedele con i suoi figli, e la sua fedeltà è oltre ogni misura pensabile.
Dio ama di amore eterno l’uomo, e lo spinge, lo innalza a vivere di amore eterno!
Anche Rocco di Montpellier fu innamorato dell’Amore, così visse e lo ricordiamo come strumento della Carità.
Poi il nostro piccolo cagnolino porge un pane: la fedeltà di Dio si fece “cibo”, si “fece carne” in mezzo a noi! La fedeltà di Dio è Gesù.
La nostra vita avrà il gusto del Cielo nella misura di un confronto quotidiano con la Parola di Dio e nella Grazia di una vita sacramentale che è cibo di vita eterna e perdono riconciliante. Sarà Cielo, se sarà in Gesù!

Lo Spirito Santo che guidò i passi di San Rocco, guidi i nostri in una gara verso il Cielo, affinché già da ora il Cielo sua sulla terra.
Amen!