martedì 9 giugno 2015

I protomartiri del Laos





Saranno beatificati 15 tra missionari e catechisti locali. I vescovi sperano in un’unica celebrazione con Borzaga e Thoj Xyooj, già riconosciuti, da tenersi nel piccolo paese del Sudest asiatico

di Paolo Affatato
Roma 

Si avvera un sogno per la piccola Chiesa del Laos. Una speranza diventa realtà. Dopo il riconoscimento del martirio del missionario Mario Borzaga e del primo catechista locale, Paolo Thoj Xyooj, uccisi in odium fidei nel 1960, la Santa Sede ha approvato il martirio del primo sacerdote laotiano, Giuseppe ThaoTien, e di altri 14 compagni: dieci sono missionari appartenenti a due ordini religiosi che hanno operato nel piccolo pese del Sudest asiatico, la Società delle Missioni Estere di Parigi (MEP) e la Congregazione dei Missionari Oblati di Maria Vergine Immacolata (OMI), a cui appartiene anche Borzaga. Vi sono poi quattro laici catechisti indigeni. I quindici nuovi martiri sono stati uccisi tra il 1954 e il 1970 dai guerriglieri comunisti Pathet Lao. 

Il processo, promosso dai vescovi del Laos, è stato affidato alla diocesi di Nantes, da cui proveniva uno dei missionari, Jean-Baptiste Malo. Il Postulatore della causa, appena conclusasi con buon esito, è stato Roland Jaques, OMI. 

Oltre a Giuseppe Tien, sacerdote diocesano e primo martire laotiano in assoluto, ucciso nel 1954, ci sono cinque preti missionari francesi del MEP: Jean-Baptiste Malo, René Dubroux, Noël Tenaud, Marcel Denis, Lucien Galan, morti tra il 1954 e il 1968. Altri cinque sono degli OMI, anch'essi francesi, uccisi tra il 1961 e il 1969: Louis Leroy, Michel Coquelet, Vincent L’Hénoret, Jean Wauthier, Joseph Boissel. 

In particolare, a dare onore e speranza alla Chiesa laotiana sono i martiri indigeni: Thomas Khampheuane, Joseph Outhay (nato in Thailandia), Luc Sy, Maisam Pho Inpeng, che hanno perso la vita nell'ultima ondata di persecuzione, intorno al 1970. 

Era stato il vescovo Marie Ling Mangkhanekhoun, Vicario apostolico di Paksé, responsabile dell’Ufficio dei martiri nella Conferenza episcopale di Laos e Cambogia (Celac) ad esprimere l’auspicio di un’unica celebrazione di beatificazione. All’indomani del riconoscimento del martirio di Borzaga e Thoj Xyooj, Ling ha detto all’agenzia vaticana Fides di «voler celebrare i 17 martiri tutti insieme, in una messa che sarà grande testimonianza cristiana per la Chiesa in Laos», aggiungendo il desiderio di tenerla sul suolo nazionale. 

La maggior parte di martiri appartiene al vicariato di Luang Prabang, guidato da Tito Banchong Thopayong, vescovo 68enne che ha conosciuto Mario Borzaga e diversi altri. Banchong ha verificato, con ricerche personali, la dinamica dell’omicidio di Borzaga e Thoj Xyooj, gettati in una fossa mai identificata con precisione. 

Oggi il suo motto è il passo evangelico «se il chicco di grano non muore non porta frutto: se invece muore produce molto frutto», che indica la prospettiva giusta con cui guardare la vicenda dei martiri laotiani. Non una rivendicazione per accusare il regime comunista, ma lo sguardo di fede che ne celebra la vittoria sulla morte e sull’ingiustizia. 

Era questa la prospettiva che essi vivevano. Nel 1953 quando i militanti comunisti avevano invaso l’area di Sam Neua, molti missionari per sicurezza, fuggirono. Giuseppe Tien Thao, giovane sacerdote laotiano ordinato nel 1949, decise altrimenti: «Resto tra la mia gente. Sono pronto a dare la mia vita per i miei fratelli e sorelle», disse. Catturato, un anno dopo fu condannato a morte e fucilato, dopo aver rifiutato di rinunciare al sacerdozio. 

Gli annali ricordano la gioia e con cui gli stessi missionari accolsero le istruzioni diramate dalla Santa Sede che nel 1959, in piena espansione dei guerriglieri, concedeva a sacerdoti e religiosi «di restare nel paese finchè non fossero stati espulsi». Per Jean-Baptist Malo e René Dubroux questa scelta significò la morte nei campi di prigionia. 

Nel 1961 Louis Leroy, Michel Coquelet e Vincent L’Hénoret vennero strappati dalle loro stazioni missionarie e messi a morte senza pietà. Stessa sorte per Noel Tenaud e il suo fedele catechista Outhay, presi e subito uccisi. Uno dei loro confratelli ha scritto: «Sono stati missionari lodevoli, pronto per qualsiasi tipo di sacrificio. Vivevano in condizioni di povertà assoluta, desiderando dare la vita totalmente a Cristo. Visitavano i villaggi per prendersi cura dei malati e per annunciare la Buona Novella di Gesù». 

Molti ricordano ancora John Wauthier, infaticabile apostolo dei rifugiati, Lucien Galan, che aveva iniziato la sua esperienza missionaria in Cina, e Joseph Boissel, ucciso in un un’imboscata mentre si stava recando a visitare la piccola comunità cristiana in una zona isolata. 

Colpevoli dello stesso «reato», quello di muoversi per visitare i catecumeni, i laici Luca Sy, giovane catechista e padre di tre figli, e Maisam Pho Inpeng, inviati in un villaggio dove gli abitanti da tempo chiedevano un supporto pastorale. Sulla via del ritorno, una raffica di proiettili ha messo fine al loro slancio missionario.

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