La
tradizione locale ritiene santa Gioconda
discepola del vescovo san Prospero —
per questo si celebra all’indomani della festa del Patrono—, il cui episcopato
risale al secolo V. Tuttavia, il suo culto si è esteso a tutta la città di
Reggio e alla Diocesi verso l’anno 1030; in seguito sarà largamente
sottolineato anche dall’iconografia reggiana. Il corpo della Santa è conservato
e venerato nel tempio cittadino dei santi Pietro e Prospero. Nell’ultima
revisione del Proprio diocesano, che risale al 1989, nella memoria di santa
Gioconda si propone alla meditazione dei fedeli un passo dell’Esortazione apostolica
Gaudete in Domino di San Paolo VI.
Una statua che raffigura Santa Gioconda si trova nella facciata della
chiesa di San Prospero e nel transetto al termine della navata della chiesa di
san Pietro si può ammirare la Madonna del Giglio, dove ai suoi piedi si possono
notare gli sguardi e i gesti dei personaggi in primo piano che sono san Pietro
e santa Gioconda, che si volgono alla Madonna, con gli angeli in volo circondano
e sembrano sostenere il quadro con la Madonna e il Bambino.
Infine nel santuario della Ghiara c’è la sua immagine nel tamburo della
cupola centrale.
La festa per Santa Gioconda nel proprio della diocesi è stata fissata nel
giorno 25 novembre.
Santa Gioconda,
prega per noi affinché non perdiamo la gioia di essere amati …. salvati!
Da GAUDETE IN DOMINO di S. Paolo VI
Soffermiamoci ora a contemplare la persona di
Gesù, nel corso della sua vita terrena. Nella sua umanità, egli ha fatto
l'esperienza delle nostre gioie. Egli ha manifestamente conosciuto, apprezzato,
esaltato tutta una gamma di gioie umane, di quelle gioie semplici e quotidiane,
alla portata di tutti. La profondità della sua vita interiore non ha attenuato
il realismo del suo sguardo, né la sua sensibilità. Egli ammira gli uccelli del
cielo e i gigli dei campi. Egli richiama tosto lo sguardo di Dio sulla
creazione all'alba della storia. Egli esalta volentieri la gioia del seminatore
e del mietitore, quella dell'uomo che scopre un tesoro nascosto, quella del
pastore che ritrova la sua pecora o della donna che riscopre la dramma perduta,
la gioia degli invitati al banchetto, la gioia delle nozze, quella del padre
che accoglie il proprio figlio al ritorno da una vita di prodigo e quella della
donna che ha appena dato alla luce il suo bambino. Queste gioie umane hanno
tale consistenza per Gesù da essere per lui i segni delle gioie spirituali del
Regno di Dio: gioia degli uomini che entrano in questo Regno, vi ritornano o vi
lavorano, gioia del Padre che li accoglie. E per parte sua Gesù stesso
manifesta la sua soddisfazione e la sua tenerezza quando incontra fanciulli che
desiderano avvicinarlo, un giovane ricco, fedele e sollecito di fare di più,
amici che gli aprono la loro casa come Marta, Maria, Lazzaro. La sua felicità è
soprattutto di vedere la Parola accolta, gli indemoniati liberati, una
peccatrice o un pubblicano come Zaccheo convertirsi, una vedova sottrarre alla sua
povertà per donare. Egli esulta anche quando costata che i piccoli hanno la
rivelazione del Regno, che rimane nascosto ai dotti e ai sapienti (20). Sì,
perché il Cristo «ha condiviso in tutto, eccetto il peccato, la nostra
condizione umana» (21) ha accolto e provato le gioie affettive e spirituali,
come un dono di Dio. E senza sosta egli «ai poveri annunziò il vangelo di
salvezza, agli afflitti la gioia» (22). Il Vangelo di san Luca offre una
particolare testimonianza di questa seminagione di allegrezza. I miracoli di
Gesù, le parole di perdono sono altrettanti segni della bontà divina: la folla
intera esulta per tutte le meraviglie da lui compiute (23) e rende gloria a
Dio. Per il cristiano, come per Gesù, si tratta di vivere, nel rendimento di
grazie al Padre, le gioie umane che il Creatore gli dona.
Ma qui è importante cogliere bene il segreto
della gioia inscrutabile che dimora in Gesù, e che gli è propria. È
specialmente il Vangelo di san Giovanni che ne solleva il velo, affidandoci le
parole intime del Figlio di Dio fatto uomo. Se Gesù irradia una tale pace, una
tale sicurezza, una tale allegrezza, una tale disponibilità, è a causa
dell'amore ineffabile di cui egli sa di essere amato dal Padre. Fin dal suo
battesimo sulle rive del Giordano, questo amore, presente fin dal primo istante
della sua Incarnazione, è manifestato: «Tu sei il mio figlio prediletto, in te
mi sono compiaciuto» (24).
Questa certezza è inseparabile dalla coscienza di
Gesù. È una Presenza che non lascia mai solo (25). È una conoscenza intima che
lo colma: «Il Padre conosce me e io conosco il Padre» (26). È uno scambio
incessante e totale: «Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie»
(27). Il Padre ha rimesso al Figlio il potere di giudicare, quello di disporre
della vita. È una reciproca inabitazione: «Io sono nel Padre e il Padre è in
me» (28). A sua volta, il Figlio rende al Padre un amore senza misura: «Io amo
il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato» (29). Egli fa sempre ciò
che piace al Padre: è il suo «cibo» (30). La sua disponibilità giunge sino al
dono della sua vita d'uomo, la sua fiducia sino alla certezza di riprenderla:
«Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla
di nuovo» (31). In questo senso, egli si rallegra di andare al Padre. Non si
tratta per Gesù di una effimera presa di coscienza: è l'eco, nella sua
coscienza umana, dell'amore che egli conosce da sempre come Dio nel seno del
Padre: «Tu mi hai amato prima della creazione del mondo» (32). Vi è qui una
relazione incomunicabile d'amore, che si 'identifica con la sua esistenza di
Figlio, ed è il segreto della vita trinitaria: il Padre vi appare come colui
che si dona al Figlio, senza riserva e senza intermissione, in un impeto di
generosità gioiosa, e il Figlio come colui che si dona nello stesso modo al
Padre, con uno slancio di gratitudine gioiosa, nello Spirito Santo.
Ed ecco che i discepoli, e tutti coloro che
credono nel Cristo, sono chiamati a partecipare a questa gioia. Gesù vuole che
essi abbiano in se stessi la pienezza della sua gioia (33): «E io ho fatto
conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l'amore col quale mi hai
amato sia in essi e io in loro» (34).
Questa gioia di dimorare nell'amore di Dio
incomincia fin da quaggiù. È quella del Regno di Dio. Ma essa è accordata su di
una via scoscesa che richiede una totale fiducia nel Padre e nel Figlio, e una
preferenza data al Regno. Il messaggio di Gesù promette innanzi tutto la gioia,
questa gioia esigente; non si apre essa attraverso le beatitudini? «Beati, voi
poveri, perché vostro è il Regno di Dio. Beati voi che ora avete fame, perché
sarete saziati. Beati voi che ora piangete, perché riderete» (35).
(20) Cfr. Luc.
10, 21
(21) Prex
Eucharistica, IV; cfr. Hebr. 4, 15
(22) Ibid.;
cfr. Luc. 4, 18
(23)
Cfr. Luc. 13, 17
(24) Luc.
3, 22
(25)
Cfr. Io. 16, 32
(26) Io.
10, 15
(27) Ibid.
17, 10
(28) Ibid.
14, 10
(29) Ibid.
14, 31
(30)
Cfr. Io. 8, 29; 4, 34
(31) Io.
10, 17
(32) Ibid.
17, 24
(33)
Cfr. Io. 17, 13
(34) Io.
17, 26
(35) Luc.
6, 20-21