Codrongianos: paese natale
della beata Elisabetta Sanna
Beata
E lisabetta
Sanna, sposa, madre, vedova e terziaria. Non può avvenire un processo di
trasformazione se non avviene una relazione prima con Dio e poi con il mondo.
La proposta della penitenza evangelica e la proposta di essere nel mondo come
una soluzione per rendere il mondo migliore secondo la logica del Vangelo.
È
stata beatificata, in Sardegna, Elisabetta Sanna, sposa e madre di sette figli.
Il rito è stato presieduto dal card. Angelo Amato, prefetto della Congregazione
delle Cause dei Santi, nella Basilica della Santissima Trinità di Saccargia
(nel comune di Codrongianos) in provincia di Sassari. "Mama Sanna",
come viene affettuosamente chiamata, è vissuta a cavallo tra due secoli, il
1700 e il 1800: rimasta vedova, divenne terziaria professa dell'Ordine dei
Minimi di San Francesco, del Sodalizio dell'Unione dell'Apostolato Cattolico
fondato da San Vincenzo Pallotti.
R. - Elisabetta, nata a Codrongianos (Sassari)
il 23 aprile 1788, a sette anni fu vittima di una epidemia di vaiolo, che la
rese invalida alle braccia, tanto che non riusciva a sollevarle per lavarsi la
faccia o pettinarsi. Pur sentendosi attratta alla vita religiosa, seguì la
volontà della madre, che la esortava a sposarsi. Il matrimonio fu celebrato il
13 settembre 1807 e la famiglia fu allietata da sette figli. Morto il marito
nel 1825, Elisabetta continuò ad occuparsi dei suoi figli e ad amministrare i
beni della sua famiglia facoltosa.
D.
- Cosa dire della sua permanenza a Roma?
R. - Nel 1831 era partita per un
pellegrinaggio in Terra Santa, per la mancanza del visto per l'Oriente, non
riuscì a proseguire. Si fermò quindi a Roma, senza più fare ritorno in patria.
Ma non potè tornare in Sardegna, su consiglio dei medici, perché gravemente
sofferente di cuore. A Roma rimase 25 anni, lavorando, pregando e visitando i
poveri e gli ammalati. Morì il 17 febbraio 1857. Aggiungiamo subito,
soprattutto tenendo conto dell'odierna mentalità, che sorprende la vicenda di
questo suo allontanamento dai figli. Ma a Roma riceveva notizie
tranquillizzanti sulla loro crescita e formazione in casa del fratello
sacerdote Don Antonio Luigi. Inoltre, san Vincenzo Pallotti la rassicurava
continuamente dicendole: «Coraggio, figlia; la vostra famiglia non ha bisogno
di voi; anzi, sarà la meraviglia e l'invidia di tutto il paese». Queste parole
le davano una grande serenità di spirito. Era finalmente giunta a vivere la
vocazione, avuta fin da piccola, di consacrarsi totalmente a Dio.
D.
- Cosa pensa di tutto ciò?
R. - Dobbiamo ricordare la parola di Gesù che
dice: «Se uno viene a me e non mi preferisce a suo padre, sua madre, la moglie,
i figli, i fratelli, le sorelle e perfino alla propria vita, non può essere mio
discepolo» (Lc 14,26). È lungo l'elenco di coloro che hanno preso alla lettera
la parola del Signore. Qui ricordo, come esempio, l'esperienza della suora
orsolina francese, Santa Maria dell'Incarnazione, al secolo Marie Guyart
(1599-1672), canonizzata da Papa Francesco nel 2014. Rimasta vedova
giovanissima, affidò al collegio dei gesuiti il figlio Claudio per farsi
religiosa. Il bambino, che all'inizio piangeva implorando il ritorno a casa
della mamma, non solo non subì alcuna conseguenza psicologica nella sua
crescita, ma divenne monaco benedettino e il più fervido ammiratore della
madre, che, nel frattempo, era andata missionaria in Canada, pioniera
dell'evangelizzazione in quelle terre. Lo stesso si può dire di Santa Giovanna
Francesca Frémyot de Chantal (15721641), madre di sei figli. Rimasta vedova a
ventinove anni, dopo un po' di tempo, il 29 marzo 1610, lasciò la famiglia per
fondare le Visitandine e — dice la storia passò sul corpo del figlio Celso
Benigno, di 14 anni, che si era disteso sulla soglia, implorando che non
partisse.
D. - Si tratta, in ogni caso, di vocazioni
speciali, rare e riservate a pochi. Immagino che siano scelte fondate su un
fortissimo amore per Gesù...
R. - Esattamente. Gesù aveva conquistato
totalmente il loro cuore. Per quanto riguarda Elisabetta Sanna, né la terra
natia, né la famiglia, né le afflizioni della vita la separarono mai dalla
carità di Dio. Venne da Dio l'ispirazione di andare in pellegrinaggio in Terra
Santa e di rimanere per sempre a Roma. Non si trattò di un impulso arbitrario,
ma di una vocazione seria, vagliata e approvata da padri spirituali saggi e
prudenti, ai quali la Beata si affidava con obbedienza e umiltà. Di lei i
testimoni affermano: «Iddio le era più caro di tutti i beni terreni messi
insieme e di qualunque persona più diletta». L'amore di Dio le fece superare
contrasti, dicerie, offese e soprattutto il peccato. Il male non fece breccia
nel suo cuore, che rifuggiva il peccato come i bambini temono il buio.
L'Eucaristia era l'approdo della sua anima, adoratrice instancabile del SS.
Sacramento dell'altare. Da lei stessa apprendiamo che ascoltava anche cinque o
sei messe al giorno.
D.
- Quale fu il suo apostolato a Roma?
R. - Elisabetta era una donna di quotidiana
adorazione eucaristica. Questo fervore spirituale lo riversava nell'amore del
prossimo con un cuore aperto a tutti nel consiglio e nel servizio. A Roma era
nota la sua disponibilità verso chi si rivolgeva a lei, nobili e plebei, amici
e nemici, ricchi e poveri, romani e forestieri, grandi e piccoli. Con le sue
parole metteva pace nelle famiglie e ristabiliva la concordia tra i coniugi. Un
suo biografo scrive: «Aveva una grazia particolare per consolare gli afflitti,
che, parlando con lei, sentivano tornare nei loro cuori pace e tranquillità.
Inculcava a tutti carità e perdono dei torti ricevuti».
D.
- Come possiamo definire la nuova beata Elisabetta Sanna?
R. - Elisabetta era la donna della
misericordia. La sua vita fu una pratica continua delle opere di misericordia
corporale e spirituale. Nonostante il freddo, la fatica del cammino e le
braccia rattrappite, si recava all'ospedale san Giacomo o in case private per
servire le ammalate. Delle elemosine che riceveva, toltone quel poco che
serviva per il suo misero vitto, ne faceva elemosina agli altri. Non si turbava
per gli insulti ricevuti. Non permetteva che si parlasse male del prossimo.
Pregava e faceva pregare per i condannati a morte. Le opere di san Vincenzo
Pallotti furono il principale destinatario della sua carità: per esse lavorava
di maglia e cucito e ad esse mandava oggetti e denaro. Il Pallotti soleva dire
che due erano i grandi benefattori dell'Istituto: una donna povera, Elisabetta
Sanna, e il Cardinale Luigi Lambruschini (1776-1854). Alla sua morte, avvenuta
il 19 febbraio 1857, nella sua stamberga nei pressi della Basilica Vaticana, la
gente sussurrava: «È morta la Santa, la donna che stava sempre a pregare in S.
Pietro».
Basilica di Santissima Trinità di Saccargia
Il
santuario Santissima Trinità di
Saccargia è una delle chiese più spettacolari della Sardegna. Situata nella
zona campestre di Saccargia, nella cittadina di Codrongianos in provincia di
Sassari, la struttura religiosa rientra fra le chiese risalenti all’epoca del
medioevo, una tra le poche dell’isola ed ora appartenenti ai monaci
camaldolesi.
È
immersa nella natura circostante ed ha un campanile altissimo che richiama l’attenzione
dei passanti che in molte occasioni sono venuti a far visita al santuario.
L’importanza
della chiesa è data oltre che dalla grandezza, anche dagli affreschi situati
sull’abside, un gioiello decorato a regola d’arte in epoca romana.
La
chiesa è stata costruita in due momenti diversi, ai quali corrispondono delle
parti strutturali precise. Inizialmente, si risale al periodo che va tra l’XI e
il XII secolo, vi era un’aula molto corta e un transetto con volta a crociera.
In
un secondo momento, dalla seconda metà dell’XII secolo, l’aula interna fu
allungata e sopraelevata, costruendo una nuova facciata strutturata su tre
ordini, il portico presente ancora oggi, la sagrestia e il campanile.
Attualmente,
anche se ha subito dei restauri che hanno intaccato l’originalità del tempio,
la chiesa rimane comunque un luogo di culto.
“Vorrei pieno il Cielo, svuotato il
Purgatorio, chiuso l’Inferno”.
Beata Elisabetta Sanna Porcu