Il Martirologio Romano contiene molti santi e beati che hanno dato gloria al Santo Nome di Gesù, testimoni del suo amore tra gli omini.
Tra costoro nessuno si chiama Galileo, ma la Chiesa attende che un suo figlio, nato a Capranica (VT) nel 1882, possa presto salire agli onori degli altari.
Il nome Galileo è di derivazione ebraica: Galil e significa “circondario, regione”.
Ci riporta alla mente il grande padre della scienza moderna Galileo Galilei, nato a Pisa il 15 febbraio 1564 e morto ad Arcetri (FI) l’8 gennaio 1642: fisico, filosofo, astronomo e matematico, un genio della scienza.
Ma il nome Galileo ci ricorda anche la regione in cui visse Gesù Cristo, la Galilea. Con il soprannome “il Galileo”, Gesù, viene nominato nel Vangelo di Matteo nel famoso dialogo tra l’apostolo Pietro e suoi accusatori:
“Pietro intanto se ne stava seduto fuori, nel cortile. Una giovane serva gli si avvicinò e disse: «Anche tu eri con Gesù, il Galileo!». Ma egli negò davanti a tutti dicendo: «Non capisco che cosa dici». Mentre usciva verso l'atrio, lo vide un'altra serva e disse ai presenti: «Costui era con Gesù, il Nazareno». Ma egli negò di nuovo, giurando: «Non conosco quell'uomo!». Dopo un poco, i presenti si avvicinarono e dissero a Pietro: «È vero, anche tu sei uno di loro: infatti il tuo accento ti tradisce!». Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quell'uomo!». E subito un gallo cantò. E Pietro si ricordò della parola di Gesù, che aveva detto: «Prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte». E, uscito fuori, pianse amaramente”. (Mt 26)
Il nome Galileo ci vuole richiamare la devozione al Santo Nome di Gesù, che nella trazione cristiana non si è molto diffuso tranne che nelle forme di: Jesus, Salvatore, Gesuina, ed appunto Galileo.
L’onomastico, per coloro che portano questo nome, è certamente il 3 gennaio, memoria (se pur facoltativa, nel rito romano) del Santo Nome di Gesù. Ecco quello che scrive il Martirologio Romano: “Santissimo Nome di Gesù, il solo in cui, nei cieli, sulla terra e sotto terra, si pieghi ogni ginocchio a gloria della maestà divina”.
Ma ritorniamo all’unico testimone di santità che ha questo nome: Galileo Nicolini.
Il venerabile Galileo Nicolini, novizio passionista, morto in fama di santità, presso il noviziato del Monte Argentario (Grosseto), il 13 maggio 1897, sentì la chiamata alla vita passionista al momento di ricevere la Prima Santa Comunione.
Un ragazzo coraggioso, intraprendente, autoritario, volitivo, allegro, assennato: così era Galileo Nicolini. A 8 anni rimprovera un ospite a pranzo che parlava male della Chiesa: sale su una sedia e sicuro di se dice: “Lei è solo un gran maleducato, perché fa questi discorsi in casa nostra, pur conoscendo la nostra fede”.
È nato il 17 giugno 1882 a Capranica (Viterbo). A quattro anni, inizia la scuola, a cinque fa da segretario al papà e scrive le sue lettere di affari sotto dettatura. In due anni, supera quattro classi. Per gli esami di terza (media!), è mandato al regio ginnasio di Viterbo: meraviglia e stupore per i professori vista la sua eccellente preparazione.
Scopre “Gesù nascosto” nel Tabernacolo si intrattiene con Lui in lunghi colloqui.
A sei anni, comincia a confessarsi, a nove ha il direttore spirituale nel dotto francescano Padre Ahern. Legge libri di intensa vita spirituale e pone domande sorprendenti e profonde. Nel febbraio 1894, i Passionisti predicano una missione popolare a Capranica. Galileo si entusiasma: quei missionari dal saio nero, con il Cuore di Gesù e i segni della sua Passione sul petto, lo affascinano. Il successivo 26 agosto 1894, riceve la Prima S. Comunione nella chiesa dei Passionisti a Vetralla. Per prepararsi, ha trascorso dieci giorni di ritiro con i religiosi, partecipando alle loro preghiere e alla loro vita di comunità. Quando Galileo ritorna a Capranica ha compreso che la sua vera famiglia sarà quella dei Passionisti. Ogni giorno medita la Passione di Gesù. Si accosta sovente alla Confessione e alla Comunione. I frutti sono evidenti persino nell’aspetto esteriore. Essere religioso passionista e sacerdote diventa il suo unico desiderio. Il confessore lo invita a fare una novena allo Spirito Santo per allontanare ogni dubbio. Il ragazzo obbedisce ed è sempre più sicuro della chiamata di Dio.
Ne parla ai genitori. La mamma rimane sorpresa e perplessa. Il papà è contrario. I Passionisti non lo vogliono perché è soltanto un bambino e non accettano allievi inferiori ai 14 anni. I genitori pensano di far di lui un ingegnere, un futuro dirigente della loro ditta. Ma Galileo, soffre e prega, deciso a far la sua strada. Per il dolore perde l’appetito e deperisce a vista d’occhio. Si affida alla Madre di Dio. Il papà un giorno gli dice: “Se proprio sei chiamato per questa via, io stesso mi adopererò per le pratiche necessarie”.
Il 5 marzo 1895 entra nel Seminario di Rocca di Papa (Roma) dove altri ragazzi come lui si preparano alla vita religiosa. Gli pare di toccare il cielo con il dito. Anzi si sente già in cielo, così scrive in una lettera ai suoi famigliari: “Non smetto di ringraziare Dio che si è degnato di rivolgere su di me il suo sguardo benigno. Noi qui siamo in un piccolo paradiso terrestre”. Sta bene di salute e rassicura i suoi: “Sono diventato più alto e sono cresciuto di dieci chili”.
In seminario è il ragazzo di sempre e prende come modello S. Gabriele dell’Addolorata (1838-1862) ed affermerà: “Voglio farmi santo come lui”.
Trascorsi 13 mesi a Rocca di Papa, può entrare in noviziato a Lucca, da dove scrive ai genitori: “Da tempo desideravo essere inviato al noviziato. Eccomi finalmente appagato. Già vi sono con grandissimo mio piacere”. Il 9 luglio 1896 veste l’abito passionista, cambiando nome, ma tutti continuano a chiamarlo Galileo, perché è il più piccolo della Congregazione e poi quel nome raro fa pensare a Gesù.
Il maestro dei novizi, il servo di Dio P. Nazareno Santolini, resta meravigliato: “Appena lo conobbi, vidi in lui una perla preziosa affidatami da Dio e mi stimai fortunato di averlo tra i miei allievi”. Ammira in lui una grande maturità di senno e uno spirito forte e lieto: del fanciullo ha solo l’ingenuità e la semplicità.
Dal noviziato un giorno scrive: “Per avere la pace del cuore e gustare il Paradiso sulla terra, bisogna vivere in continua obbedienza, rinnegando la propria volontà per conformarsi a quella di Dio”.
Il Signore ha altri sogni per il giovane Galileo. All’alba del 27 febbraio 1897 (ora festa liturgica di San Gabriele dell’Addolorata!), Galileo alzandosi sente sangue venirgli alla bocca. La tisi lo ha già afferrato. Il Generale, il beato Bernardo Silvestrelli, che vuole un gran bene a Galileo, informato della malattia, vorrebbe mandarlo a casa per un breve periodo, sperando nel miracolo della guarigione “all’aria natia”. Galileo, però, rifiuta per poter morire tra i confratelli. Accetta però di trasferirsi al Monte Argentario, nella prima casa aperta dal fondatore dei Passionisti, S. Paolo della Croce.
Tutti pregano per la sua guarigione a cominciare dai superiori che ordinano una novena solenne alla Madonna. Galileo, da parte sua, prega soltanto così: “Mamma mia, io sono molto malato né altri può guarirmi se non Tu. Guariscimi se è per la maggior gloria di Dio e per il bene dell’anima mia”. I confratelli si alternano al suo letto diventato altare, per assisterlo. Il più giovane figlio della Congregazione sta morendo come i santi, offrendo a tutti esempio di rassegnazione e di perfetta letizia.
Un giorno sussurra: “Il patire per amore non è dolore / che se il patir si sente / amabile lo rende il puro amore”. Patire per amore: il suo segreto, il segreto dei santi.
Rivede la madre e con un permesso speciale del superiore generale, emette la professione religiosa “in articulo mortis”, offrendo a Dio i tre voti di castità, obbedienza e povertà: ora è Passionista.
Galileo riceve il S. Viatico, poi protende le braccia in alto, stringe nella mano destra una medaglia della Madonna e sorride. Sono le tre del 13 maggio 1897. È vissuto solo 14 anni, 10 mesi e 26 giorni. Il 27 novembre 1981, il beato Giovanni Paolo II, riconosce l’eroicità delle sue virtù cristiane e lo dichiara venerabile. Ora la Chiesa attende un miracolo per poterlo beatificare.
Il servo di Dio Luigi Olivares, Vescovo di Nepi e Sutri, diocesi di Galileo, lo definì “un altro Domenico Savio, entrambi ragazzi santi”.