venerdì 2 marzo 2012

SULLA VIA DELLA CROCE (3)

3 giorno
I piedi di Giovanni

Dette queste cose, Gesù fu profondamente turbato e dichiarò: «In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». I discepoli si guardavano l'un l'altro, non sapendo bene di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava. Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». Rispose Gesù: «È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò». E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda, figlio di Simone Iscariota. Allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui. Gli disse dunque Gesù: «Quello che vuoi fare, fallo presto». Nessuno dei commensali capì perché gli avesse detto questo; alcuni infatti pensavano che, poiché Giuda teneva la cassa, Gesù gli avesse detto: «Compra quello che ci occorre per la festa», oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. Egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte. (Gv 13, 21-30)

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all'altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario - che era stato sul suo capo - non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti. I discepoli perciò se ne tornarono di nuovo a casa. (Gv 20, 1-10)


Meditazione “I piedi di Giovanni” (T. Bello)

Carissimi,
è proprio un arrampicarsi sugli specchi
voler trovare nei singoli beneficiari della lavanda dei piedi operata da Gesù,
la sera del giovedì santo,
altrettanti simboli delle diverse condizioni umane sulle quali egli,
per impegnarci in un servizio preferenziale di amore, ha inteso richiamare la nostra attenzione?

Ed è proprio fuori posto vedere in Giovanni l’emblema di quel mondo ad alto rischio che si chiama gioventù,
e che oggi, nonostante il grande parlare che se ne fa
e nonostante il timore non sempre reverenziale che esso incute,
tarda ancora a divenire il referente privilegiato della nostra diaconia ecclesiale?

Ed è proprio una forzatura concludere che il Maestro,
piegato sui piedi di Giovanni, il più giovane della compagnia,
è l’icona splendida di ciò che dovrebbe essere la Chiesa,
invitata dal quel gesto a considerare i giovani come “ultimi”,
non tanto perché ai gradini più bassi della scala cronologica della vita,
quanto perché ai livelli più insignificanti nelle graduatorie di coloro che contano?

Penso proprio di no.
Gesù ha espresso tenerezze verso quel mondo che ha sempre fatto fatica a farsi ascoltare.

La figlia di Giairo, il servo del centurione, l’ unigenito della vedova di Nain,
il giovane ricco il figliol prodigo…
sono indice di uno sbilanciamento del Signore nei confronti di coloro che,
pur essendo oggetto di invidia struggente,
hanno da sempre accusato un deficit pesantissimo in fatto di accoglienza.

Ma torniamo ai piedi di Giovanni.
Come motivo iconografico, ma anche come suggestione omiletica, non hanno avuto molto fortuna.
E dire che la mattina di Pasqua,
nella corsa verso il sepolcro,
si sono dimostrati di gran lunga più veloci di quelli di Pietro,
aggiudicandosi, a un palmo della tomba vuota,
la prima edizione del trofeo “fede, speranza e carità”.
Ma al di là dello scatto irresistibile del giovane sull'affanno impacciato del vecchio,
quei piedi non sono entrati nell'immaginario della gente.

La spiegazione è semplice:
la testa del discepolo ricurva sul petto del Maestro
ha distratto l'attenzione dal capo del Maestro chino sui piedi del discepolo.

Noi ci affanniamo, sì, a organizzare convegni per i giovani,
facciamo la vivisezione dei loro problemi su interminabili tavole rotonde,
li frastorniamo con l'abbaglio del meeting,
li mettiamo anche al centro dei programmi pastorali,
ma poi resta il sospetto che, sia pure a fin di bene, più che servili, ci si voglia servire di loro.
Perché diciamocelo con franchezza, i giovani rappresentano sempre un buon investimento.
Perché se sul piano economico il loro favore rende in termini di denaro,
sul piano religioso il loro consenso paga in termini di immagine.
Servire i giovani, invece, è tutt'altra cosa.
Significa considerarli poveri con cui giocare in perdita,
non potenziali ricchi da blandire furbescamente in anticipo.
Significa ascoltarli.
Deporre i panneggi del nostro insopportabile paternalismo.
Cingersi l'asciugatoio della discrezione per andare all'essenziale.
Far tintinnare nel catino le lacrime della condivisione,
e non quelle del disappunto per le nostre sicurezze predicatorie messe in crisi.
Asciugare i loro piedi, non come fossero la pròtesi dei nostri,
ma accettando con fiducia che percorrano altri sentieri,
imprevedibili, e comunque non tracciati da noi.
Significa far credito sul futuro,
senza garanzie e senza avalli.
Scommettere sull'inedito di un Dio che non invecchia.
Rinunciare alla pretesa di contenerne la fantasia.
Camminare in novità di vita verso quei cieli nuovi e quelle terre nuove
a cui si sono sempre diretti i piedi di Giovanni, l'apostolo dagli occhi di aquila,
che è morto ultracentenario senza essersi stancato di credere nell'amore.

Servire i giovani significa entrare con essi nell'orto degli ulivi,
senza addormentarsi sulla loro solitudine,
ma ascoltandone il respiro faticoso e sorvegliandone il sudore di sangue.

Significa seguire, sia pur da lontano, la loro via crucis e intuire, come il Cireneo ha fatto con Gesù, che anche quella dei giovani, abbracciata insieme, è una croce che salva.

Significa, soprattutto, essere certi che dopo i giorni dell'amarezza
c'è un'alba di risurrezione pure per loro.
E c'è anche una pentecoste.
La quale farà un rogo di tutte le scorie di peccato che invecchiano il mondo.
Saremo capaci di essere una chiesa così serva dei giovani,
da investire tutto sulla fragilità dei sogni?

* * *

I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini. (Lc 2, 41-52)


Riflessione

  • Giovanni, il giovane tra gli apostoli, che morì ultracentenario. Il cammino sulla via della croce è segnato dal passaggio generazionale. Come avviene e quali sono le fatiche? “Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8)

  • Sappiamo ancora sognare o siamo schiacciati dagli eventi?

  • Rileggi le letture che sono state proposte e fa che parlino al tuo cuore.