sabato 30 giugno 2012

XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)






Dio non ha creato la morte
e non gode per la rovina dei viventi.
Egli infatti ha creato tutte le cose perché esistano;
le creature del mondo sono portatrici di salvezza,
in esse non c’è veleno di morte,
né il regno dei morti è sulla terra.
La giustizia infatti è immortale.
Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità,
lo ha fatto immagine della propria natura.
Ma per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo
e ne fanno esperienza coloro che le appartengono.
(Sapienza)

Fratelli, come siete ricchi in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella conoscenza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così siate larghi anche in quest’opera generosa.
Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà.
Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto: «Colui che raccolse molto non abbondò e colui che raccolse poco non ebbe di meno».
(2 Corinzi)



 la guarigione della figlia di Giàiro


Questa domenica la liturgia ci propone due concretizzazioni della nostra fede, due temi importanti che ci coinvolgono nel quotidiano: la felicità e la carità.

L’infelicità insegna la I lettura (Sapienza) non è un dono di Dio. Essa è entrato nella storia dell’umanità con la MORTE. Dio infatti è il Dio della vita ed vuole che ogni creatura viva. La morte e l’infelicità sono entrate nel mondo per l’invidia del diavolo.

La lettura poi ci pone un ammonimento: “ne fanno esperienza coloro che le appartengono”.
Iddio ci liberi da questa esperienza perché apparteniamo al suo popolo e non alla stirpe del demonio.

Ma come è possibile? Imitando la natura alla cui immagine siano stati plasmati.

Al di là della morte fisica, la nostra vita può fare molte esperienze di morte. Certo l’infelicità più grande non è la morte fisica, ma come dice il Poverello di Assisi è “la morte secunda”, cioè la morte eterna.

Scrive il Santo d’Assisi:
“beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no 'l farrà male”.
Felici quegli uomini che la morte troverà operanti nella santa volontà di Dio, perché la morte eterna non farà loro male.

Ma come Signore possiamo rimanere nella tua volontà in questa valle di lacrime?
Ecco il secondo tema: la carità.

La carità è in primo luogo spogliarsi del vecchio Adamo per rivestirsi del nuovo Adamo: Gesù Cristo.
Dice infatti l’Apostolo Paolo: Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà.

Diventiamo ricchi di umanità dell’umanità di Cristo.

La carità che afferma San Paolo è una carità che ripristina le giuste misure, che rigenera la “cosa buona” che Dio aveva creato fin dall’origine. Ecco il significato di uguaglianza affermato nella II lettura. Infatti la disuguaglianza è frutto dell’invidia bramosa che il diavolo ha seminato nel mondo… pensate al peccato dei progenitori!

La carità è quindi la misura per rimanere nella volontà di Dio. Carità quindi non è solo dare, ma come afferma l’Apostolo nella II secondo lettura è anche ricevere in giusta misura. La carità è reciprocità, la carità è giustizia, la carità è equità, la carità è … nuova umanità.

La carità è via per la felicità, la felicità trova la sua sorgente nella carità.

Ed eccoci al Vangelo: la felicità di Giàiro, della “donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni” nasce dalla carità.

La carità però non è un’opera buona, la carità è Cristo stesso. Lui è l’opera buona attesa da secoli, Lui l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo, Lui colui da accogliere per essere felici e buoni: cioè uomini secondo il suo Cuore.

Ed ecco perché all’inizio della Chiesa il libro degli Atti ci racconta:

Pietro gli disse: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina!».

Chi possiede Cristo è felice, dona felicità e crea “uguaglianza”.




‘E' lui ‘u parrinu da far fuori’ - PINO PUGLISI, BEATO!







“Ho ucciso io don Pino Puglisi. Era la sera del 15 settembre di 19 anni fa. Non conoscevo quel sacerdote, mi dissero però che doveva essere ucciso perché dava fastidio a Cosa Nostra. Fu un altro picciotto, Carmine Spatuzza, a indicarmelo. Mi dissero che nel suo oratorio, che già allora si chiamava Centro di Accoglienza Padre Nostro, don Puglisi nascondesse di fatto u fficiali della Dia e agenti della Polizia di Stato che si erano trasferiti a Brancaccio per dare la caccia ai latitanti che si nacondevano abitualmente nel quartiere.
Mi dissero anche che bisognava far presto, ma il giorno della sua esecuzione non era stata programmato. Una sera Spatuzza mi indicò un uomo che stava telefonando in una cabina telefonica e mi disse ‘è lui ‘u parrinu da far fuori’. Corsi allora a prendere una pistola, scelsi una 7.65 con tanto di silenziatore e tornammo là dove avevamo visto don Pino telefonare. Lo avvicinammo, con la scusa di volerlo rapinare del borsello che aveva a tracolla, e lo uccisi con un colpo secco alla nuca. Poi per simulare una rapina gli portammo via il borsello, e ricordo che dentro cercammo una traccia qualunque, dei numeri di telefono, degli appunti, dei pezzi di carta che in qualche modo ci confermassero il suo legame con gli agenti della polizia. E invece nulla. In realtà trovai soltanto un biglietto di auguri e da questo capii che quel giorno il sacerdote compiva il suo cinquantesimo anno di vita”.
19 anni dopo aver compiuto per conto di Cosa Nostra quel delitto, era per lui il quarantaseiesimo della serie, Salvatore Grigoli ricostruisce ancora una volta e nei minimi dettagli la dinamica tragica di quella sera, e questa volta lo fa per uno Speciale Televisivo di Rai Vaticano (direttore Marco Simeon), spiegando anche che “nel caso io avessi avuto una sola titubanza e avessi tentato di salvare la vita del sacerdote di Brancaccio – dice – ri utandomi di ucciderlo, almeno altri 15 picciotti come me lo avrebbero fatto al mio posto. Con le sue prediche in Chiesa quel prete aveva creato grossi problemi e grossi fastidi alla ma a palermitana”.
Lo speciale fortemente voluto da Marco Simeon, direttore di Rai Vaticano, che sarà trasmesso in seconda serata da Rai Uno il prossimo 3 luglio dalle 23.15 in poi, è in realtà il racconto della vita Padre Pino Puglisi: si parte dal giorno della sua esecuzione, il 15 settembre 1993, per ripercorrere all’indietro le tappe fondamentali della sua vita e della sua missione pastorale, tra Godrano, Palermo, Brancaccio e il resto della Sicilia.
Un programma della durata di 56 minuti, fi rmato da Pino Nano (caporedattore dell’Agenzia nazionale della Tgr Rai, dopo aver guidato per tanti anni la redazione della Tgr Calabria) e Filippo Di Giacomo, il montaggio di Pierluigi Lodi, e che, nei fatti, anticipa la proclamazione da parte di Papa Ratzinger del “Beato Padre Pino Puglisi”, come annunciato ieri.
Benedetto XVI ha, infatti, riconosciuto il fatto che l’esecuzione ordinata dai boss, e avvenuta davanti alla parrocchia di San Gaetano, retta dal sacerdote, nel quartiere Brancaccio di Palermo, fu “in odio alla fede”: questo esonera, ora, dalla necessità di provare un miracolo compiuto con l’intercessione del servo di Dio.
Il riconoscimento del martirio, che il Papa ha decretato nell’udienza di qualche giorno fa al prefetto per le cause dei Santi, card. Angelo Amato, indica che la causa di beatificazione si è conclusa positivamente e che presto don Puglisi sarà elevato all’onore degli altari.
Filmati di repertorio, foto di famiglia, immagini girate da semplici parrocchiani, testimonanze inedite, partendo proprio dal ricordo freddo e dettagliato che fa di quella notte il suo killer Salvatore Grigoli. C’è tutto questo nello Speciale di Rai Uno che utilizza come titolo del programma una frase assai cara a Padre Puglisi “…Lascia perdere chi ti porta a mala strada…”, quasi uno slogan di quella che è stata poi nei fatti la sua grande missione pastorale in uno dei quartieri più degradati della Palermo degli anni ‘80.
Tra le testimonianze che lo speciale ripropone ve ne sono alcune particolarmente forti, piene di empatia , come quella del fratello di don Pino, Francesco Puglisi (“anche se lo faranno santo… a me manca da vent’anni il mio dolce fratello…”), o della stessa Suor Carolina Iavazzo che di don Puglisi per tre anni a Brancaccio è stata nei fatti il braccio destro (“…lo aspettavamo quella sera con i ragazzi del centro per fargli spegnere le candeline sulla torta e invece l’ho ritrovato steso all’obitorio con il sorriso stampato sul volto… non avevo mai visto un morto così…”).
Poi quella di un filosofo illuminato come Massimo Cacciari, che spiega il significato della “santità laica”: “Un santo non è necessariamente chi fa i miracoli, ma un santo è soprattutto quell’uomo che è stato un vero testimone del suo tempo, e che ha pagato con la vita questa sua capacità straordinaria di essere figlio e parte del suo tempo”.
Come dire? Non serve che la Chiesa aspetti oltre, o che nel suo caso accerti un miracolo avvenuto: il martirio di don Pino Puglisi potrebbe essere già di per sé un elemento suffi ciente perché la Chiesa faccia di lui un Santo.
Avvenne già in passato con Padre Massimiliano Maria Kolbe, ucciso il 14 agosto 1941 nel campo di concentramento di Auschwitz. Beati cato nel 1971, Padre Kolbe venne poi proclamato Santo da Papa Giovanni Paolo II nel 1982.
Ma si muove sulla stessa lunghezza d’onda del filosofo Massimo Cacciari l’interpretazione che ne fa l’attuale arcivescovo di Catanzaro, mons. Vincenzo Bertolone, che da Postulatore Ufficiale della Causa di Beaticazione, definisce l’impegno pastorale e umano di Padre Puglisi “un vero e proprio Monumento alla dignità e alla libertà: Padre Pino Puglisi diventerà Beato in virtù del suo martirio, del coraggio avuto e usato contro Cosa Nostra, e al prezzo altissimo pagato quella sera del 15 settembre del 1993”, “ma se questo accadesse davvero - dice Salvatore Grigoli in questa intervista esclusiva a Rai Vaticano – sono certo che il mio cammino futuro sarà sempre più diffi cile per avere io ucciso non solo un semplice sacerdote, ma anche un Santo…”.
Forse una coincidenza, o forse ancora meglio, una scelta fortemente voluta dal direttore di Rai Vaticano, Marco Simeon: lo Speciale sarà presentato a Palermo (ore 15) a Palazzo delle Aquile dal sindaco della città, Leoluca Orlando, insieme al Cardinale Paolo Romeo e al Vescovo Ausiliare Carmelo Cuttitta, proprio il 2 luglio, esattamente lo stesso giorno in cui Padre Puglisi, alla presenza in cattedrale del Cardinale Runi, diventava sacerdote. Era il 2 luglio del 1960.
Per la prima volta nella storia della Chiesa, dunque, un uomo che ha sfi dato apertamente la mafi a, e che ha pagato con la vita il prezzo più alto per questo suo impegno in difesa della legalità sarebbe ora pronto a diventare Beato.
“Un riconoscimento importante non solo per questa straordinaria terra di Sicilia – commenta il Direttore di Rai Vaticano Marco Simeon – ma lo sarebbe per l’intera umanità, tanti sono i popoli e le nazioni, oggi più che mai, costretti a fare i conti con il tema spinoso della criminalità organizzata”.
Pino Nano è attualmente componente della Giunta Esecutiva dell’Ucsi, l’Unione Cattolica Stampa Italiana, e del Collegio nazionale dei Probiviri della Federazione Nazionale della Stampa, dopo aver ricoperto per anni l’incarico di consigliere nazionale dell’Ordine dei giornalisti.






Il Beato Giovanni Paolo II rimprovera la mafia

Beato Giuseppe Puglisi, sac. m.




Beato Giuseppe Puglisi, sacerdote martire,
prega per la Sicilia che tu tanto hai amato fino al dono della vita nel nome di Cristo.
Prega, don Pino, per l'Italia perchè riscopra Cristo!
Prega, Martire di Brancaccio, per l'Italia perchè purifichi la sua fede, perchè passi da una fede popolare alla fede della Chiesa.
Prega, Martire della mafia, per le famiglie coinvolte nelle cosche perchè abbia a finire questa piega e vergogna per il popolo italiano.
Prega, beato Giuseppe Puglisi!
Signore, unico e buon Pastore, ascolta la nostra voce che ti rivolgiamo accompagnati dal beato martire e sacerdote Giuseppe Puglisi.
AMEN.


Nuovi esempi di vera fede

per L'ANNO DELLA FEDE


Dopo il decreti del 10 maggio e la prossima proclamazione di due nuovi Dottori della Chiesa, il 28 giugno il S. Padre riapre lo scrigno della santità della Chiesa perchè possa essere segno nel mondo.




Il gruppo dei martiri spagnoli verrà beatificato il 27 ottobre p.v.





venerdì 29 giugno 2012

Santi Apostoli Pietro e Paolo ... (II)






Il Tullianum (o carcere Mamertino), è posto sul Clivio Argentario al di sotto della chiesa di San Giuseppe dei Falegnami, può essere considerata la più vecchia, e per molto tempo anche la sola, casa di detenzione di Roma e, secondo Livio, fu fatta realizzare da re Anco Marzio.
La parte frontale, che è possibile osservare ancora oggi, risalirebbe all’avvio dell’Età Imperiale come sembra confermare anche l’incisione che riporta i nomi dei consoli M. Cocceio Nerva e C. Vibio Rufino: la data della sua realizzazione non è precisa ma può essere fissata negli anni tra il 39 e il 42 d.C.
Questa parete avvolge una facciata ancora più antica, realizzata con mattoni in tufo della Grotta Oscura. Si può giungere all’interno passando attraverso un ingresso, aperto recentemente, che permette di avviarci verso una sala a forma trapezoidale, realizzata anch’essa con mattoni di tufo provenienti, questa volta, da Monteverde e dall’Aniene, e databile approssimativamente verso la seconda metà del II secolo a.C.
Originariamente l’ingresso era caratterizzato da una piccola porta, ora sostituita da un muro, posta ad un livello maggiore rispetto alla pavimentazione odierna che sorgeva nella parete di destra. Oltrepassando questa piccola porta si poteva accedere agli altri vani del carcere, conosciuti con la denominazione di Lautumiae in quanto erano ottenuti scavando vecchie cave di tufo.
Sulla superficie del pavimento si può notare un’apertura circolare che in origine rappresentava l’unica via d’accesso verso l’area sottostante, a cui oggi si può giungere percorrendo una moderna scalinata. Quest’area era chiamata Tullianum ed era quella più nascosta della prigione e la più temuta dai prigionieri: al suo interno, infatti, erano scaraventati i prigionieri di stato che poi venivano uccisi per strangolamento. Tra i prigionieri ai quali fu destinata questa triste sorte è possibile ricordare: Seiano e i suoi figli nel 31 d.C.; il capo dei Galli, Vercingetorice, durante il 49 a.C.; i Catilinari, nel corso del 60 a.C.; il sovrano della Numidia, Giutura, durante il 104 a.C.; i partigiani di Gaio Gracco, nel corso del 123 a.C.
Secondo quanto narrato da un’antica tradizione qui vi furono imprigionati anche i Santi Apostoli Pietro e Paolo: in particolare sembra che San Pietro, durante la discesa nel Tullianum insieme a San Paolo, cadde battendo la testa contro un muro e lasciandovi la sua impronta. Una volta rinchiusi al buio in questa stanza gli apostoli riuscirono a far scorrere per miracolo una polla d’acqua (la locuzione polla d’acqua deriva dal latino tullus, da cui viene ripreso il nome Tullianum). Gli apostoli, inoltre, riuscirono a convertire al cristianesimo Processo e Martiniano, i loro carcerieri, e una volta fatto ciò, lasciarono il carcere.
Il Carcere Mamertino è divenuto luogo di culto nel 314 d.C. quando il Papa Silvestro lo dedicò a S. Pietro in Carcere.
Nel recente restauro sono in parte emersi ex novo gli affreschi, in parte riletti anche se conosciuti per tradizione, rafforzano la costanza del culto per S. Pietro e un’iconografia riconducibile alla sua Vicarietà di Cristo, fra cui quello che rappresenta Gesù che pone le sue mani sulle spalle di Pietro, che lo guarda intensamente e sorride.
È essa stessa una esperienza incredibile di rafforzamento di fede e di riconoscibilità della continuità fondamentale del luogo, della tradizione e del transito fra l’esperienza civile romana e quella religiosa cristiana, e non solo.
Dopo la Basilica di S. Pietro, cuore del culto petrino, il Carcere è un importante luogo della Roma petrina.

BEATA CANDIDA DA MILAZZO ... (III)






Santa Candida Martire Romana
venerata a Milazzo (ME)
Gent.mo Prof.,
dimenticavo se non si è ben capito: il mio problema non è  IDENTIFICARE l’individuo cui appartennero le spoglie, qui io mi attengo all'AUTENTICA della S. Madre Chiesa, la mia questione era dire che l'IDENTIFICAZIONE con la BEATA omonima alla Martire è ERRATA!  E dopo questo suo ultimo post si capisce che è frutto, non di manipolazione (grazie a Dio!), ma di spessa IGNORANZA degli storici locali del XX secolo e me lo permetta, anche del clero locale che glielo ha permesso ... ripeto legga il Beato Schuster in materia e capirà.

BEATA CANDIDA DA MILAZZO ... (II)







Gent.mo Regio18,
la sua animosità toglie lucidità al suo giudizio e la induce ad ulteriori fraintendimenti e contraddizioni: sarebbe forse in grado di IDENTIFICARE l’individuo cui appartennero le spoglie, definendone anche soltanto il sesso? Ed inoltre, dato che l’autentica, come lei stesso riconosce, di fatto ASSEGNA arbitrariamente un nome a dei resti di epoca imprecisabile, da essa si può ricavare soltanto un terminus post quem e nient’altro. Non ravviso quindi come possa essere scorretta o contraddittoria la mia affermazione. Le offro infine la soluzione al dilemma che la tormenta: la devozione popolare a San Francesco e alla sua Discepola, fortemente radicata e caratterizzata a Milazzo, si “impossessò” dell’ “anonimo” corpo della presunta Martire e lo ascrisse alla Beata, con il beneplacito di tutti gli storici locali del XX secolo, tratti in inganno dalla forza della tradizione. Nessun raggiro, ma solo un eccesso di devozione che deve essere "rieducata".


Gent.mo,
lei prende un abbaglio chiamandolo anonimo corpo quello della Martire Candida. Sono certo che lei è a conoscenza per problema archeologico odierno circa i “corpi santi” o martiri delle catacombe.

Due le soluzioni: distruzione o segno. Segno della fede apostolica custodita dalla testimonianza dei Martiri così come ce li ha consegnati la S. Madre Chiesa di cui l’AUTENTICA è documento incontrovertibile. Il porre il nome non è arbitrario, deve leggersi il tomo di 800 pagine del Boldetti, erudito tecnico in materia.

La mia animosità, come lei la definisce, e segno di una passione per la verità. Tanto più dopo aver letto le sue ultime: “si “impossessò” dell’ “anonimo” corpo della presunta Martire” … tutto questo è scandaloso e delinea un’ignoranza in materia degli storici locali del XX secolo. Legga gli scritti del Beato Schuster in materia e vedrà come egli non cade in questo caos causato dagli storici… anche lui storico del XX secolo! Il corpo non era anonimo, aveva un nome, CANDIDA, ed una AUTENTICA, e si capisce bene il loro ingannarsi: non sapendo rileggere i segni tecnici dei martiri delle catacombe. Questa si chiama beata ignoranza, non ha altri nomi, senza nessuna animosità o altro.

Infine, io non voglio identificare chi è e cosa fece la MARTIRE CANDIDA, ma tutta la nostra questione era solo dire che il corpo della MARTIRE CANDIDA, così come c’è stato consegnato dall’autorità ecclesiastica, NON è la BEATA CANDIDA.
Il resto credo sia un altro percorso che va oltre lo scandalo causato dagli storici locali del XX secolo.

Infatti se si vuole dopo aver accettato il primo motivo, già definito dall’articolo, fare un’indagine sul corpo della MARTIRE CANDIDA, ben venga. Ma partiamo già dal presupposto che della Martire non si può dire nulla se non quello che dice l’AUTENTICA, tutt’al più si può confermare che è un individuo di sesso femminile o si potrebbe dire (senza scandalo dei semplici!) che siano ossa di più individui o di un individuo maschile. Ma questo non sarebbe una novità in materia di “corpi santi” o martiri delle catacombe. Ma qui apriamo un nuovo capitolo …

Santi Apostoli Pietro e Paolo



Santi Pietro e Paolo in carcere


O gloriosi Principi degli Apostoli, San Pietro e San Paolo, vi preghiamo con tutto il fervore del nostro cuore, che ci otteniate dal Santo Divino Spirito una fede viva, una ferma speranza ed una perfetta carità verso Dio e verso il prossimo.







Vi raccomandiamo la Santa Chiesa, il Sommo Pontefice, la conversione degli infedeli, acciò presto si faccia un solo ovile sotto un solo Pastore .
Amen.

(Preghiera tratta da - ORATE ET PSALLITE - Ed . Ancora Pag. 238)

giovedì 28 giugno 2012

martedì 26 giugno 2012

BEATA CANDIDA DA MILAZZO ...





“Se la logica non fa difetto, dato che l’articolo commentato è a firma di Tricamo e che in esso si fa riferimento ad uno studio di D. Grenci, non resta da definire altro che la paternità del testo citato (e vilipeso) che appare sul sito “Santi e Beati”, tratto da un articolo da me pubblicato su un mensile locale nel 2006 e quindi “liberamente” copiato, alterato, reso anonimo e diffuso indecorosamente … Ai fraintendimenti derivanti dalla corruzione del testo suddetto si deve, presumo, l’animosità di chi grida allo scandalo, senza neanche sapere di cosa parla… Per sintetizzare: di Candida discepola di San Francesco, sepolta nella cripta del Santuario, non resta altro che la consolidata tradizione che ho raccolto e “codificato”. Le presunte reliquie non sono invece identificabili in alcun modo: occorrerebbe uno studio di un anatomopatologo per definire, ad esempio, il sesso, le caratteristiche etniche, l’epoca e le modalità della morte dell’individuo a cui appartennero le spoglie…”  da oggimilazo.it

Gent.mo Prof. S. Italiano,
il fatto che santibeati.it citi un articolo (modificato o reinterpretato) di cui lei dice di essere il “padre”, ci crediamo.

Purtroppo ed è strano che il suddetto sito non offre la fonte. In realtà però questa versione dei fatti sulla Beata Candida e sul suo presunto corpo è ripreso da altre parti sul web.

C’è un articolo, citato con un link nei miei precedenti post, dove si è arrivato ad interpretare il simulacro della Martire Candida rileggendolo alla luce della vita della beata Candida … che mi lasciò senza parole!

Lo scandalo c’è .. a mio parere per il fatto che si è venerato il corpo di una Martire per il corpo della Beata con tanta superficialità ed ignoranza in materia! Di chi la colpa … io non lo so, ed non voglio essere giudice di nessuno!

Le presunte reliquie non sono invece identificabili in alcun modo”: afferma lei!
Diciamo che la sua affermazione è scorretta.

L’urna della Martire Candida è ben identificata dall’autentica citata, di cui lei aveva affermato (ed ora si contraddice) abbiamo il documento; se poi vogliamo usare i criteri della critica moderna sul culto dei “corpi santi” o martiri delle catacombe allora è un’altra questione ed bisognerebbe fare, come lei afferma, “uno studio di un anatomopatologo per definire, ad esempio, il sesso, le caratteristiche etniche, l’epoca e le modalità della morte dell’individuo a cui appartennero le spoglie…” Ma ripeto è un altro percorso va oltre la questione Beata Candida e Martire Candida.

La stessa cosa ad esempio è stata fatta dal parroco di Acate per dimostrare che il loro corpo delle catacombe romane di nome Vincenzo era il martire Vincenzo di Saragozza: trasformando uno studio scientifico in una pagliacciata che doveva solo affermare la tesa già assodata. Contento lui… contenti tutti!

“Per sintetizzare: di Candida discepola di San Francesco, sepolta nella cripta del Santuario, non resta altro che la consolidata tradizione” della comunità cristiana di Milazzo, un po’ ingannata dall’urna della Martire Candida spacciata per decenni (? secoli? boh!) come la Beata Candida.

La Santa Martire Candida le cui reliquie sono venerate in Milazzo, si presume, da dopo il 1784 (data riportata sull’autentica!) sono quelle di una martire della catacomba di S. Ciriaca (stando all’autentica e qui al’autorità della Santa Sede), se poi si vuole (ma perché?) indagare sulle reliquie della Martire Candida si può compiere “uno studio di un anatomopatologo per definire, ad esempio, il sesso, le caratteristiche etniche, l’epoca e le modalità della morte dell’individuo a cui appartennero le spoglie”, ma questo, lo ripeto, va oltre il nostro problema, cioè la non identità di quelle reliquie con la Beata Candida.
E, mi ripeto infine, che la Beata Candida ebbe solo culto popolare a causa di quell’urna con il corpo della Martire Candida, se no rimaneva un ricordo come lo sono le altre beate milazzesi (Angelica, ecc..).




sabato 23 giugno 2012

Un pensiero ...






I santi non si fanno a pennello, ma a scalpello: sul Tabor si abbozzano, e sul Calvario si perfezionano.

(Beata Teresa Maria della Croce Manetti)



il Tabor


il Calvario

giovedì 21 giugno 2012

Un pensiero ...






Donandosi si riceve, dimenticando se stessi ci si ritrova.

San Francesco d'Assisi



San Papino o Pappiano o Papia, martire



San Papino, particolare della pala d'altare
della Chiesa del S. Martire in Milazzo (ME)


San Papino o Pappiano o Papia, martire III secolo (anno 290, circa)

Ricordato dai Sinassari bizantini al 28 giugno ed è riportato nella stessa data nel Martirologio Romano di Gregorio XIII (aggiornato e rivisto da Clemente X e Clemente XI, edito in italiano nel 1702). L’odierno Martirologio Romano (edito nel 2001) non menziona più il Martire Papio.



Alcuni agiografi lo vogliono armeno, altri di Segesta, ma è incerto se la città fosse quella siciliana o spagnola. La tradizione lo dice martirizzato in Sicilia nel 303, sotto l'Imperatore Diocleziano, nel luogo detto La Bruca (oggi Brucoli ) perché non volle sacrificare agli dei. Fu sospeso a un palo, battuto con le verghe e quindi decapitato. Era festeggiato il 17 giugno a Milazzo (ME) come antico Patrono: la data corrisponde al giorno della sua traslazione, come riportano gli Acta Sanctorum Junii: «Ditem autem ejusdem mensis XVII esse nove alicuijus translationis vel dedicationis apud Mylas celebrate».




Tracce di questo culto è una Chiesa a lui intitolata nel 1620, con una pala d’altare settecentesca con S. Papino, con la Vergine e altri Santi.



Secondo una tradizione locale viene detto “cavaliere”, termine inusuale per un martire del III secolo. Il termine è desunto dalla pala d’altare della Chiesa di San Papino che secondo l'agiografia spagnola del tempo, lo rappresenta nelle vesti di cavaliere, in difesa della città dalle incursioni dei pirati saraceni.





Il 27 settembre 2011, l'arcivescovo di Messina, Calogero La Piana, ha benedetto il nuovo simulacro in cartapesta di san Papino martire.

A Sant'Angelo di Brolo (ME) nella chiesa dei Santi Filippo e Giacomo è custodita una statuetta del Martire del secolo XVII.


* * *


O glorioso Martire San Papino, nostro amatissimo Patrono, noi consacriamo a Te le nostre famiglie e il nostro Paese. Allontana le insidie del maligno, proteggi i nostri figli e ottienici dal Signore l’unità, la concordia, la salute dello spirito e del corpo. Fa che non ci manchi mai il lavoro e il pane quotidiano.

O Signore, non guardare la nostra povera fede, ma per l’intercessione della Beata Vergine Maria, di Santo Stefano, di San Francesco di Paola, della beata Angelica Leonti e per i meriti di San Papino Martire, donaci tutte le grazie che noi devotamente Ti chiediamo. Amen.

San Nicola da Tolentino a Brugherio







La diocesi di Milano custodisce innumerevoli tracce della santità cristiana. Tra queste, presso la Comunità Pastorale “Epifania di Gesù” in Brugherio, custodisce il Tempietto Civico di San Lucio in Moncucco.

Qui è, ed era, venerato il Santo Pontefice in un antico oratorio: a conferma di ciò, esiste una lapide, custodita in sacrestia, che reca la data 1633.

Ma l’odierno Tempio di S. Lucio è frutto di un’opera di mecenatismo del secolo XIX.

Infatti la chiesa di San Lucio in Moncucco, nacque nel XVI secolo come cappella dedicata a Sant’Antonio da Padova, annessa al convento di San Francesco in Lugano.

All’inizio dell’Ottocento a causa della soppressione napoleonica fu annoverato tra gli edifici da alienare. Fu messo all’asta. Un certo Natale Albertolli nel 1815 acquisto l’edifico e il terreno: tutto doveva essere abbattuto e qui doveva sorgere una palazzina neoclassica. Un certo Giocondo Albertolli, fratello di Natale, architetto e insegnante all’Accademia di Brera, era deciso di salvare almeno la chiesetta di sant’Antonio (da lui attribuita al Bramante). Bisognava ricostruirla altrove, rivendendola, così da salvare capre e cavoli: cioè gli interessi di famiglia e quella dell’arte.

Il conte Gianmario Andreani fu il mecenate. Fu intrapresa un’opera veramente singolare. La chiesa non venne demolita, ma smontata nei suoi ornamenti (cornici, leséne, cassettoni e le belle pietre di saltrio). Con 150 carri e lungo le vie d’acqua, il tutto giunse al porto Mattalino, tra Cologno e Gobba, poi ancora con i carri fino al parco di Villa Andreani. Iniziò il rimontaggio, che comportò alcune modifiche senza alterare la struttura cinquecentesca dell’interno, e fu completato nel 1832: la chiesa fu dedicata a San Lucio I Papa.

Tra le belle pietre di saltrio ci sono i medaglioni cinquecenteschi (ci sono presenti ben due date, che attestano l’epoca: 1520 e 1542), tra questi spicca sulla colonna cinque di sinistra (secondo la numerazione e lo studio di Laura Valli in Il viaggio di pietra) il medaglione con raffigurato il santo di Tolentino.

Secondo la Valli, il tondo potrebbe essere S. Bernardino da Siena, ma certamente è San Nicola da Tolentino perché l’abito non è francescano ma agostiniano (ha la cintola e non il cordone), e poi non ha sul petto il monogramma del Santo Nome ma il sole.

Questa iconografia è attestata ad esempio da una del Perugino ed una di Piero della Francesca.

San Nicola da Tolentino è raffigurato con l'abito nero degli Eremitani di Sant'Agostino, con una stella sopra di lui o un sole sul petto, e in mano un giglio o una croce con ghirlande di gigli. Talvolta, al posto di un giglio, tiene una sacca riempita di denaro o pane.

È raffigurato con un sole al centro della tonaca nera, per uno dei fatti della vita del santo: si narra che un astro lucente lo seguisse continuamente nei suoi spostamenti e illuminasse la sua figura.

Rimane solo un dubbio: perché raffigurare un santo agostiniano in un complesso francescano?




BIBLIOGRAFIA E SITI

* AA. VV. - Biblioteca Sanctorum (Enciclopedia dei Santi) – Voll. 1-12 e I-II appendice – Ed. Città Nuova
* C.E.I. - Martirologio Romano - Libreria Editrice Vaticana – 2007 - pp. 1142
* Grenci Damiano Marco – Archivio privato iconografico e agiografico: 1977 – 2012
* Grenci Damiano Marco - quaderno 77 - Il Santo di Moncucco: Lucio I papa – Ed. D.M.G. 2009
* Sito web di cartantica.it – in collaborazioni, don Damiano Grenci: Il Santo di Moncucco: Lucio I papa
* Sito web di sannicoladatolentino.it
* Valli Laura – Il viaggio di pietra – Ed. Città di Brugherio 1989

domenica 17 giugno 2012

XI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)





“Ci sforziamo di essere a lui graditi” (2 Cor 5)

Mi domando: cosa vuol dire essere graditi al Signore?
La nostra vita è un cammino: elevare la nostra umanità alla divinità, conformarla al mistero trinitario in forza di Cristo che si fa cibo per il nostro cammino, ma come io posso riscrivere in me tutto ciò?

Scrive il Dottore della Chiesa, Teresa di Lisieux:

“Voi lo sapete, madre mia, che ho sempre desiderato essere una santa; ma ahimé! Ho sempre constatato, nel paragonarmi ai santi, che vi è tra loro e me la stessa differenza che esiste tra una montagna la cui vetta si perde nei cieli e il granello di sabbia calpestato dai piedi dei passanti.
Invece di scoraggiarmi, mi sono detta: Il buon Dio non saprebbe ispirare desideri irrealizzabili; posso quindi, malgrado la mia piccolezza, aspirare alla santità. Diventare più grande è impossibile; devo sopportarmi quale sono con tutte le mie imperfezioni. Ma voglio trovare il modo di salire al cielo attraverso una piccola via diritta, corta, una piccola via nuova. Noi siamo in un secolo di invenzioni; ora non è più il caso di salire i gradini di una scala; nelle case dei ricchi un ascensore li sostituisce con vantaggio. Io vorrei trovare l'ascensore per elevarmi fino a Gesù, poiché sono troppo piccola per salire la dura scala della perfezione.
Allora ho cercato nei libri santi l'indicazione dell'ascensore, oggetto del mio desiderio; e ho letto queste parole uscite dalla bocca della saggezza eterna: "Chi è inesperto, corra qui!" (Pr 9,4). Allora sono venuta, capendo che avevo trovato ciò che cercavo. E volendo sapere, o mio Dio, che cosa farete agli inesperti che risponderanno alla vostra chiamata, ho continuato le mie ricerche, ed ecco che ho trovato: "Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò; vi porterò in braccio e vi accarezzerò sulle ginocchia" (Is 66,13).
Ah! Mai parole più tenere, più melodiose sono venute a far gioire la mia anima; sono le vostre braccia, o Gesù, l'ascensore che deve portarmi fino al cielo. Io non ho bisogno di diventare più grande; al contrario, bisogna che io resti piccola, che lo diventi sempre di più.
O mio Dio, voi avete superato la mia attesa! Voglio cantare la vostra misericordia”.

Anche noi come Teresina cerchiamo nei “libri santi”.
Nella II lettura, Paolo ai Corinzi, ci esorta alla fiducia perché noi portiamo la zavorra del corpo o meglio il corpo è segno della nostra fragilità umana che con fatica si sforza a elevarsi alla divinità.

Ecco allora l’immagine dell’esilio del corpo: abbandonare la carnalità, come strada che allontana dal divino, per “abitare presso il Signore”.

Tutto questo ci sembra impossibile, ma la I lettura (Ezechiele) e il Vangelo, ci danno la speranza.

Ezechiele ci esorta nel confidare nel Signore, egli parla e compie la trasformazione, perché egli è dalla nostra parte: egli tifa per noi!
Come direbbe Teresina: “Il buon Dio non saprebbe ispirare desideri irrealizzabili”
Egli infatti innalza l’albero basso: cioè, Egli è consapevole della nostra bassezza (però in questa bassezza, l’umanità, Egli si è fatto visibile) per elevarci alla sua altezza. Egli attende e pazienta, se con umiltà camminiamo verso di Lui.
Facciamoci “coltivare” dal Signore così come il profeta ci racconta.

Passiamo ora al Vangelo:
«Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».

C’è un seme buono che cresce in noi!
È il seme della vita che il Cristo ha piantato in forza della sua Pasqua: un seme se pur piccolo “come un granello di senape” ma seme di speranza.

La nostra vita cristiana, la nostra fatica di essere di Cristo, l’avvento del Regno di Dio sono dentro questa piccola speranza ma che “cresce e diventa più grande”.
Sii perché dice il profeta Ezechiele “Io, il Signore, ho parlato e lo farò”. Assecondiamo la sua parola e tutto si compirà… perché alla fine diremo: grazie Signore “è arrivata la mietitura”!

Concludo con un pensiero del Santo di Padova:
“Bassa è la porta del Cielo: chi vuole entrarvi è necessario che si abbassi”. (Sant'Antonio)

Rimaniamo bambini in Dio, per essere uomini maturi secondo il Cuore di Cristo per essere segni del Regno di Dio!

giovedì 14 giugno 2012

San Panfilo sacerdote e martire






Martirologio Romano, 16 febbraio: A Cesarea in Palestina, santi martiri Elia, Geremia, Isaia, Samuele e Daniele: cristiani di Egitto, per essersi spontaneamente presi cura dei confessori della fede condannati alle miniere in Cilicia, furono arrestati e dal governatore Firmiliano, sotto l’imperatore Galerio Massimiano, crudelmente torturati e infine trafitti con la spada. Dopo di loro ricevettero la corona del martirio anche Panfilo sacerdote, Valente diacono di Gerusalemme, e Paolo, originario della città di Iamnia, che già avevano trascorso due anni in carcere, e anche Porfirio, domestico di Panfilo, Seleuco di Cappadocia, di grado avanzato nell’esercito, Teodúlo, anziano servitore del governatore Firmiliano, e infine Giuliano di Cappadocia, che, tornato proprio in quel momento da un viaggio, dopo aver baciato i corpi dei martiri, si rivelò come cristiano e per ordine del governatore fu bruciato a fuoco lento.

mercoledì 13 giugno 2012

Santa Felicola Martire e i "santi" del 13 giugno





Felicola, santa, martire di Roma, la passio di Nereo e Achilleo la vuole sorella di latte di S. Petronilla. Sepolta al VII miglio della via Ardeatina, nel 1112 venne scoperta dal presbitero Benedetto e traslata a S. Lorenzo in Lucina. Il suo corpo qui ritrovato nel 1605 è conservato presso l’altare maggiore. Il primo rinvenimento dei resti avvenne, secondo la lapide del 1112, insieme alle spoglie del martire Gordiano.

[ Tratto dall'opera «Reliquie Insigni e "Corpi Santi" a Roma» di Giovanni Sicari ] 
Antico Martirologio Romano, 13 giugno - A Roma, sulla via Ardeatina, il natale di santa Felicola, Vergine e Martire. Non volendo maritarsi a Flacco, ne sacrificare agli idoli, fu data in mano ad un Giudice, il quale, perseverando essa nella confessione di Cristo, dopo tenebroso carcere e lunga fame, tanto tempo la fece tormentare nell'eculeo, finchè essa non rese lo spirito, e così finalmente la fece deporre e gettare in una cloaca. Il suo corpo, estratto da san Nicomede Prete, fu sepolto sulla medesima via.

Martirologio Romano, 13 giugno: A Roma al settimo miglio della via Ardeatina, santa Felícola, martire.

Oltre a questa martire di Roma, la Chiesa ricorda in data 13 giugno:

    1. Beata Marianna Biernacka martire del XX secolo
    2. Beato Achilleo (Sant'Achilla) vescovo di Alessandria
    3. Beato Alfonso Gomez de Encinas sacerdote mercenario e martire
    4. Beato Gerardo di Clairvaux monaco
    5. San Ceteo (Peregrinus) vescovo di Amiterno
    6. San Fandila di Cordova martire
    7. San Massimo martire romano venerato a Cravagliana
    8. San Ramberto (o Ragneberto) martire
    9. San Salmodio (o Psalmodio) eremita
    10. San Smbat il Confessore generale armeno
    11. San Trifilio vescovo di Leucosia (Nicosia)
    12. Sant'Antonio di Padova sacerdote OFM e dottore della Chiesa
    13. Sant'Aventino eremita
    14. Sant'Eulogio vescovo di Alessandria
    15. Santi Agostino Phan Viet Huy e Nicolao Bui Viet The martiri